Ho deciso di raccontarvi un episodio accadutomi alcuni anni fa.

Assistevo professionalmente un noto artista e con lui mi ritrovai a pranzare in un ristorante di Torino quando fummo avvicinati da una persona che ci chiese di potersi sedere con noi. Accettammo e lui si presentò, ma noi l’avevamo riconosciuto subito come un importante fisico, ricercatore e ordinario universitario. Ci spiegò i risultati di una ricerca che da anni dirigeva nella sua facoltà, sui cambiamenti climatici. Ci descrisse una situazione incredibilmente allarmante che ci lasciò letteralmente a bocca aperta. Ma ciò che ci meravigliò di più furono le sue conclusioni: “Da tempo giro l’Italia in conferenze, seminari e ne parlo con tutti, ma niente, niente, nessuno fa niente. Allora la prego, lo dica lei che è un comico, a lei l’ascoltano! Quando lo dico io, che sono uno scienziato, continuano ad ignorarmi.”

Racconto per la prima volta pubblicamente questo episodio, perché lo ritengo emblematico di come circolano informazioni e notizie in Italia (ma nel resto del mondo non va meglio), specie sul tema ambientale: le fonti autorevoli sono ignorate fintanto che non vengono rilanciate (a modo loro) da personaggi dello spettacolo, divi della televisione, frequentatori dei social, e solo allora diventano patrimonio della gente comune.  Il nostro non deve essere stato né un caso isolato né superato dai tempi se nell’ultimo report della Banca mondiale tra le criticità che frenano lo sviluppo dell’economia circolare viene segnalata proprio l’informazione. E se, nello scorso agosto, 29 tra scienziati, professori universitari, rettori, ricercatori, climatologi, hanno sottoscritto una lettera aperta ai media italiani, promossa dal Climate Media Center Italia, con un appello: “Giornalisti, parlate di crisi climatica, delle sue cause e delle soluzioni. Ne va del nostro futuro” (trovate l’appello qui). Sarà un problema di linguaggi diversi; sarà un problema di ruoli nella società o sarà, più banalmente, perché l’uomo della strada tende a non credere alle notizie, oggettivamente vere e verificate autorevolmente, che turbano il suo vivere quotidiano, di conseguenza sono notizie che non fanno “notizia”. Almeno fintanto che non vengono ripetute, soggettivizzate, dal vicino di casa, dai social, dal chiacchiericcio abituale misto a vene di pettegolezzo. Una volta la patente di autorevolezza ad una notizia veniva indicata nel “l’ha detto il telegiornale”; oggi ci sono i talk show dove si esibiscono con disinvoltura più o meno qualificati “esperti” che rileggono e commentano con proprie parole le fonti ufficiali, ma non quelle più verificate, quelle più “tranquillizzanti” (anche se con rare eccezioni). E poi ci sono gli influencer, influenzatori, che vantano milioni di contatti sui social e milioni di euro in banca, versati dalla nota bevanda che consumano, con etichetta ben in vista, durante una diretta su TikTok.

Detto questo, mi domando come reagirete se adesso vi dico che manca poco, pochissimo, tempo per invertire la rotta ed evitare il collasso climatico e, con esso, quello del genere umano. Badate non dovete credermi sulla parola (non sono neppure uno scienziato), ma potete leggere, studiare, documentarvi e crearvi una propria personalissima opinione. Non ignorando neppure le tesi dei cosiddetti “negazionisti climatici”, che non mancano. Certo, è un esercizio faticoso al quale non tutti sono portati ma, del resto, non è compito mio convincervi, ma solo di lanciare un allarme -un alert, direbbe il vostro smartphone– presentarvi dei dati di fatto, aperti alla vostra valutazione. Se volete, è un aiuto ad acquistare consapevolezza. “È nostra responsabilità, come cittadini italiani e membri della comunità scientifica” -scrivono i 29 sottoscrittori dell’appello- “avvertire nel modo più chiaro ed efficace possibile di ogni seria minaccia che riguarda le persone e il nostro Paese”.

E allora, non è questo quello che fanno anche gli attivisti climatici che imbrattano le opere d’arte con vernici lavabili (“modi più efficaci possibili”), ricordando l’opera di Pollock, uno dei maggiori rappresentanti dell’action painting? Eppure sono stati definiti criminali, addirittura terroristi catastrofisti. L’indignazione di taluni fa il paio con il loro disinteresse verso il problema segnalato. L’imbrattamento (momentaneo) del portone del Senato, definita come un’offesa alle istituzioni. Quelle stesse istituzioni che non riescono (o non vogliono?) ad eliminare i sussidi che finanziano, le emissioni climalteranti (vedi nostro intervento in questo sito Vi spieghiamo come lo Stato paga (con i nostri soldi) chi inquina).  È stato addirittura richiesto per alcuni attivisti l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale che si applica ai sospettati di terrorismo, di traffico di stupefacenti, di partecipazione alla criminalità organizzata. Li si imputa di aver cagionato disagi per le manifestazioni stradali (della durata di 15-30 minuti). Perché quale sciopero, quale manifestazione pubblica non crea disagi alla collettività? Ma non dimentichiamo che lo sciopero costituisce un diritto di libertà riconosciuto e garantito dall’art.40 della Costituzione, cioè un diritto il cui esercizio non può essere limitato, né può comportare alcuna sanzione da parte dell’ordinamento. Provoca più antipatie che simpatie per il tema trattato? Lasciamo deciderlo a loro, a chi sceglie di manifestare in questo modo; io osservo solo che dopo le azioni al Senato e alla Borsa di Milano, il tema dei cambiamenti climatici è uscito dalle aule universitarie ed è finito nei salotti televisivi, sulle prime pagine dei giornali, bucando quel muro di gomma che lo circonda, da sempre.

Ognuno sceglie i propri efficaci strumenti per lanciare i propri messaggi, sempre a condizione di non creare danni permanenti. Anche noi, metaforicamente parlando, imbrattiamo il web con inchiostro virtuale e cancellabile con un click. Se loro sono colpevoli di qualcosa (e non lo sono), siamo colpevoli anche noi tutti di questo blog. Se è vero, come dicevo prima, che le fonti autorevoli non sono ascoltate, non ci resta che ricorrere a strumenti innovativi, alla provocazione, alla sollecitazione dell’interesse pubblico, all’istigazione alla reazione. “Tacere le vere cause dei sempre più frequenti e intensi eventi estremi che interessano il nostro pianeta e non spiegare quali sono le soluzioni per una risposta efficace rischia di alimentare l’inazione, la rassegnazione o la negazione della realtà, traducendosi in un aumento dei rischi per il presente e il futuro delle nostre comunità”, ammoniscono gli scienziati nel loro appello. “Le soluzioni esistono già e necessitano di essere messe in campo con urgenza. Per agire servono volontà politica e dialogo, a tutti i livelli della società, riconoscendo che le cause del cambiamento climatico sono le emissioni di gas serra prodotte dall’utilizzo di combustibili fossili”. Si rivolgevano ai media, ma “volontà politica e dialogo” sono compiti dei nostri eletti e di tutti i cittadini. Senza indignazioni, condanne e paludati pregiudizi. “Siamo ancora in tempo” -concludono- “per scegliere il nostro futuro climatico. Siamo ancora in tempo per scegliere un futuro sostenibile che metta al primo posto la sicurezza, la salute e il benessere delle persone, come previsto peraltro dai fondamentali obiettivi europei di riduzione delle emissioni del 55% al 2030 e di neutralità climatica al 2050. Possiamo farlo grazie a una corretta comunicazione, alla buona fede, e alla cooperazione tra noi tutti.”

Altrimenti fate anche di noi dei sorvegliati speciali ma con noi, sia sorvegliato speciale anche l’Ambiente.

Giuseppe d’Ippolito, Website Founder