Il 15 marzo 1962, il Presidente degli Stati Uniti D’America, John F. Kennedy, enunciò nel Bill of Rights i cinque diritti fondamentali del consumatore: alla salute, alla sicurezza, alla difesa economica, alla difesa legale, alla rappresentanza. “Quando al consumatore viene proposto un prodotto non di qualità, quando i prezzi sono esagerati, i farmaci non sono sicuri o utili, quando il consumatore non è in grado di decidere sulla base di una corretta informazione, allora i suoi dollari diventano avariati, la sua salute e la sua sicurezza sono minacciati, l’interesse nazionale ne risente.” Questo discorso divenne una solida base per il movimento che protegge i consumatori. Il discorso del Presidente USA divenne così importante che, nel 1983, le Nazioni Unite, istituirono la Giornata Mondiale del Consumatore. Nel 1985, oltre i diritti fondamentali, vennero aggiunti diversi diritti, in occasione dell’emanazione delle Linee Guida della protezione dei Consumatori: diritto di veder soddisfatti i bisogni primari; diritto al risarcimento; diritto all’aggiornamento e alla formazione
al consumo; diritto alla conservazione dell’ambiente; diritto alla rappresentanza degli interessi politici.

Una data scomparsa da quasi tutte le agende che non viene più ricordata e celebrata quasi da nessuno e men che meno da quelle associazioni di tutela dei consumatori che sui principi kennediani sono nate e si sono sviluppate. Eppure, negli anni Novanta, in Italia, sembrava partita una vera rivoluzione nel riconoscimento dei diritti dei cittadini. La legge n. 142 dell’8 giugno 1990, poi abrogata dal D. Lgs. n. 267/2000, prevedeva il diritto delle associazioni dei cittadini di avere accesso alle strutture e agli atti amministrativi. La successiva legge n. 146 del 15 giugno 1990 stabilisce l’obbligo di ascoltare le organizzazioni dei consumatori e degli utenti durante gli scioperi. La legge n. 287 del 10 ottobre 1990 dà alle associazioni dei consumatori la facoltà di denunciare alcune iniziative. Nel 1998, con la legge n. 281 del 30 luglio, l’ordinamento italiano recepisce i principi contenuti nelle normative comunitarie riconoscendo i diritti individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti e promuovendone la tutela anche in forma collettiva e associativa. L’articolo 1 di questa legge afferma che sono «fondamentali i diritti: alla salute; alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi; ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità; all’educazione al consumo; alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi; alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti; all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza». La legge è stata poi abrogata con l’entrata in vigore del Codice del consumo (D. Lgs. n. 206/2005). A seguito di questa legge, sempre nel luglio 1998 si costituisce, presso il Ministero per le attività produttive, il CNCU (Consiglio Nazionale dei Consumatori e Utenti), al quale fanno capo numerose associazioni di consumatori. Le associazioni si sono rese protagoniste negli anni, con interventi di tutela nei contratti con clausole vessatorie, nei disservizi nelle telecomunicazioni e nei trasporti (ferrovie, autostrade, aerei), nei casi di rincari ingiustificati dei prezzi, nella gestione di forme alternative di soluzione delle controversie con grandi aziende, ecc. Va detto che molti degli impulsi alle attività di tutela sono dovuti alle direttive emanate dalla Comunità europea a partire dal 1973 (anno in cui viene approvata la Carta europea di protezione dei Consumatori) quando, per la prima volta si affermano concetti importanti quali la responsabilità delle aziende per i danni provocati da prodotti difettosi, la pubblicità ingannevole, la tutela dei consumatori sulle indicazioni dei prezzi, delle garanzie al consumo e della sicurezza dei prodotti.

Centro, Cliente, Clienti, ConsumatoreOggi a me pare che questa spinta propulsiva e innovativa degli anni Novanta sia andata esaurendosi: la pratica dell’ascolto dei consumatori organizzati da parte delle istituzioni è praticamente scomparsa e quando c’è, è praticamente ininfluente. Il rapporto con il mondo aziendale è fondato più su obblighi di legge o su convenienze di marketing piuttosto che su una condivisione di obiettivi e di risultati in favore degli utenti finali. Ne è prova significativa il fatto che, negli anni, la gestione di varie decine di migliaia di reclami e contenziosi, con la formazione di un vero e proprio catalogo di reiterate scorrettezze produttive, commerciali e comunicative da parte del mondo aziendale, non è stato mai condiviso e non ha prodotto alcun mutamento significativo nelle strategie imprenditoriali e di mercato, né nella produzione di beni, né nell’organizzazione di servizi, né nelle offerte al pubblico di entrambi. Le attività di tutela sono oggi graniticamente in mano alle varie autorità indipendenti di controllo e regolazione che considerano come un fastidio, non eliminabile, la presenza delle associazioni dei consumatori, almeno a giudicare dalla scarsa considerazione che prestano alle segnalazioni prodotte da quest’ultime trattate, quando sono trattate, con burocratica ordinarietà.

 

E ancora, le associazioni dei consumatori hanno preferito (e preferiscono) la più comoda sistemazione in modalità “patronato”, grazie alle cosiddette “conciliazioni paritetiche” che garantiscono sempre qualche tessera e qualche spicciolo per i propri quadri, piuttosto che il ruolo di un vero attore protagonista in un mercato di prodotti e di servizi, capace di influenzare, condizionare, indirizzare, condividere, le scelte di quello stesso mercato. È mancata, insomma, una volta raggiunto l’obiettivo del riconoscimento dei diritti, la capacità di “autorigenerarsi” trasformando i diritti in opportunità di cambiamento culturale, sociale ed economico per la società.

Eppure, le occasioni non sono mancate. L’11 aprile 2018 la Commissione europea ha presentato due proposte di direttive, denominate “New Deal per i consumatori“; il 13 novembre 2020 la Commissione europea ha presentato la “Nuova Agenda dei Consumatori” per il periodo dal 2020 al 2025, documenti che per la prima volta indicano una nuova via rigenerativa: responsabilizzare i consumatori sulla transizione verde. Una indicazione del tutto logica e coerente considerando che l’attivismo consumerista e quello ambientalista tutelano sempre lo stesso cittadino, hanno gli stessi interlocutori pubblici e privati, hanno lo stesso terreno di confronto e azione (il mercato) e un’unica opzione operativa: la sostenibilità.

Negozio Di Alimentari, SupermercatoPurtroppo, la chiara indicazione non è stata recepita, o recepita solo da poche  associazioni consumeriste, ne sono chiari esempi le vicende più recenti legate all’aumento dei prezzi dei generi alimentari: è stata l’occasione (persa) per sviluppare gli argomenti in favore di un’alimentazione sana, di qualità, favorendo circuiti produttivi e distributivi non convenzionali e ambientalmente sostenibili. Si è lasciato invece il pallino in mano ad un governo che ha lanciato un discutibile piano anti-inflazione dato in gestione alla grande distribuzione organizzata senza nessuna forma di incentivazione per il consumo sostenibile. Aumento prezzo benzina: quale migliore occasione per concentrarsi sui temi della mobilità collettiva, su quella elettrica, sulle forme di condivisione degli spostamenti: la lotta ai cambiamenti climatici ne avrebbe tratto giovamento. Si è preferito litigare sui pochi centesimi di risparmio destinati ai combustibili fossili e ai motori endotermici e fanc… all’ambiente. Non che la difesa economica dei cittadini non abbia un valore, ma se non si approfitta dell’occasione per discutere di costi sociali oltre che economici, le associazioni non svolgeranno mai un ruolo di guida, di indirizzo e di cambiamento dei comportamenti individuali ma continueranno a svolgere il più riduttivo ruolo di street lawyer. Lo stesso scenario visto sui costi energetici, tipico caso di unione d’interessi per il cittadino utilizzatore di servizi ma attento all’ambiente. Si è preferito dedicarsi ai micro-problemi contrattuali da pochi euro per bolletta piuttosto che concentrarsi sul tema dell’energie rinnovabili, dell’autoproduzione, dell’autoconsumo, delle comunità energetiche rinnovabili. Ho finanche avuto occasione di verificare personalmente pratiche commercialmente scorrette da parte di gruppi d’acquisto d’energia, sostenuti e patrocinati da associazioni di consumatori. Per non dire dell’assoluta assenza dei consumeristi dal dibattito sui fattori ESG (Environment, Social, Governance) per le aziende che credono nella Sostenibilità o, in tema, sugli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU. Come se le pratiche aziendali, quando improntate alla sostenibilità, non portassero numerosi benefici per il cittadino consumatore di beni e utente di servizi, interessato o meno all’ambiente e all’ecologia.

L’incontro tra associazioni consumeriste e ambientaliste era nell’ordine naturale delle cose, favorito da una sempre più prolifica legislazione tematica e da una maggiore sensibilità collettiva; si è preferita la strada dell’individualismo, del protagonismo, della visione dell’oggi piuttosto che quella del domani.

Per fortuna non tutte le associazioni dei consumatori sono state travolte da questa deriva. Leggete in questo stesso blog e troverete anche chi sa considerare la tutela dei cittadini non solo dal punto di vista economico ma anche dell’ambiente e della sostenibilità.

Giuseppe d’Ippolito