No, non vogliamo sembrare quelli che vogliono mettere i puntini sulle “i” ad ogni costo. Né vogliamo apparire come i “bastian contrari” ad oltranza, ma certo è che quando si fa informazione, specie se a tema ambientale, si ha il dovere della precisione e quello della completezza e non si può indulgere in sensazionalismo o in impressionabilità. Già abbiamo la pubblicità interamente fondata sull’emotività e priva di concreti contenuti informativi, ma quando vogliamo far crescere la consapevolezza e la coscienza collettiva su un determinato problema (nella specie: i rischi climatici) non si fa un buon servizio omettendo informazioni complete che chiariscono meglio i contorni della notizia data.

Scusandoci per il pistolotto iniziale, andiamo subito al dunque.

Nei giorni scorsi, commentando una notizia di fonte ONU, i media italiani, con qualche rara eccezione che citeremo avanti, si sono sbizzarriti ad affermare e titolare: “Il buco dell’ozono sta per chiudersi”. I pensieri indotti in chi non approfondisce (la maggioranza di noi) sono quindi evidenti: “La Terra è salva”, “Smentiti i soliti catastrofisti ambientali”.

Iniziamo col dire che l’ozono è un gas presente nella parte più alta dell’atmosfera (ca. 50 km di altitudine, più esattamente nella stratosfera) ed ha una funzione importantissima poiché agisce come una sorta di scudo protettivo naturale dell’ecosistema contro i raggi UV più potenti e intensi emessi dal sole (per la verità, una minima parte di ozono esiste anche nella parte più bassa dell’atmosfera -la troposfera– ed è anch’essa a rischio a causa delle attività inquinanti dell’uomo che provocano i danni polmonari tipici dell’inquinamento). Il “buco” altro non è che un assottigliamento dello strato di ozono che si verifica con regolarità e stagionalità sopra la regione antartica dove durante la primavera locale e in particolare nel mese di ottobre, si verifica un assottigliamento di questo strato dovuto alla distruzione di un ingente quantitativo di molecole di ozono. La definizione di “buco” è dovuta alla forma prevalentemente circolare con cui si manifesta la riduzione dello strato.

Nelle animazioni che seguono (tratte dal sito della NASA, OzoneWatch) si nota l’evoluzione dello strato di ozono nell’ultimo triennio (2020, 2021 e 2022), la sua caratteristica stagionalità, senza sostanziali differenze tra le due annualità.

I colori viola e blu sono dove c’è è il minimo ozono;
i gialli e i rossi sono dove c’è più ozono.

Anno 2020

Anno 2021 

Anno 2022

Dalle animazioni ben si vede come questo assottigliamento sarebbe, come detto, un fenomeno naturale e, soprattutto, stagionale se non fosse che le attività umane l’hanno artificiosamente aggravato facendo affluire nella stratosfera cloro, bromo e altri composti chimici, cosiddetti clorofluorocarburi (CFC), utilizzati per decenni all’interno dei condizionatori, dei frigoriferi o nelle bombolette spray. Per lunghi anni si è ritenuto che tali gas si fermassero nella parte più bassa dell’atmosfera fino a svanire, ma negli anni Ottanta dello scorso secolo ci si è accorti che, invece, essi salgono verso la stratosfera, generando una reazione nociva per lo strato di ozono, a causa delle radiazioni solari.  Dopo alcuni anni di consultazioni, culminati in particolare nel decisivo Protocollo di Montreal del 1987, il primo di una serie di accordi internazionali siglati da oltre 200 Paesi, si è arrivati a sancire l’impegno mondiale per una forte riduzione nella produzione e nell’utilizzo dei CFC.

E arriviamo ai giorni nostri e alle Nazioni Unite che annunciano che il “buco” sta per chiudersi. In realtà, nel rapporto (che trovate in calce a quest’intervento, in lingua originale) è testualmente scritto: “L’ozono totale della colonna (TCO) nell’Antartide continua a riprendersi, nonostante la sostanziale variabilità interannuale. Il TCO dovrebbe tornare ai valori del 1980 intorno al 2066 in Antartide, intorno al 2045 in Artico e intorno al 2040 per la media quasi globale (60°N–60°S).”

E, sin qui, quello che anche i nostri media hanno raccontato.

Ma, poi, nel rapporto si specifica: “Al di fuori delle regioni polari, osservazioni e modelli concordano sul fatto che l’ozono nella stratosfera superiore continua a riprendersi. Al contrario, l’ozono nella bassa stratosfera” (quello influenzato dall’inquinamento antropico, n.d.a.) non ha mostrato segni di ripresa. I modelli simulano un piccolo recupero dell’ozono stratosferico inferiore alle medie latitudini in entrambi gli emisferi che non si vede nelle osservazioni. Conciliare questa discrepanza è la chiave per garantire un pieno completo recupero dell’ozono”.

Quindi, in sostanza, non ci troviamo di fronte alla descrizione di una realtà verificata, ma alla probabilità che l’evento auspicato si verifichi, nei prossimi 20-45 anni, solo al verificarsi di determinate condizioni.

Quali sono queste condizioni? 

Ce lo dice chiaramente il rapporto ONU: “Diversi strumenti spaziali che forniscono misurazioni globali risolte verticalmente di componenti atmosferici correlati all’ozono (ad esempio, cloro reattivo, vapore acqueo e traccianti di trasporto di lunga durata) dovrebbero essere ritirati entro pochi anni. Senza sostituzioni di questi strumenti, la capacità di monitorare e spiegare i cambiamenti nello strato di ozono stratosferico in futuro sarà ostacolata. Le crescenti preoccupazioni circa le influenze sull’ozono del 21° secolo includono impatti di: ulteriori aumenti di protossido di azoto (N2O), metano (CH4) e concentrazioni di CO2; uso ed emissioni di materie prime ODS e HFC in rapida espansione; cambiamenti climatici sul TCO ai tropici; straordinari incendi ed eruzioni vulcaniche; aumento della frequenza dei lanci di razzi civili e delle emissioni di una nuova proposta flotta di aerei commerciali supersonici. (…) Le emissioni di sostanze a base di cloro di origine antropica a vita molto breve, dominate dal diclorometano (CH2Cl2), continuano a crescere e contribuire alla riduzione dell’ozono. Se le emissioni di CH2Cl2 continuano al loro livello attuale, continueranno ad esaurire circa 1 DU (per misurare la quantità di ozono presente in atmosfera in un determinato punto della Terra si usano le unità Dobson -DU- corrispondente, ciascuna, ad uno spessore di 0.01 mm, n.d.a.)  di TCO globale medio annuo. L’eliminazione di queste emissioni invertirebbe rapidamente questo esaurimento.”

In sintesi, è come se qualcuno ci dicesse che nei prossimi anni c’è la probabilità che le vittime di incidenti stradali diminuiscano a condizione che tutti guidino con più prudenza e, nei prossimi vent’anni, si riduca il numero di veicoli circolanti. Saremmo allora autorizzati a titolare, oggi, “Le vittime della strada stanno diminuendo”? Ma la gran parte dei nostri media hanno preferito la strada della semplificazione e non della precisione. 

Tra le poche eccezioni degne di segnalazione, il pur sintetico (ma efficace) intervento dell’ottimo meteorologo Paolo Sottocorona su La7 nella trasmissione della brava Tiziana Panella che potete rivedere qui.

Ora, tutti insieme con Sottocorona ci auguriamo che questa minaccia che incombe sul nostro Pianeta venga definitivamente superata, ma è proprio la realtà a dirci che sulla riduzione dell’inquinamento atmosferico (di quegli stessi gas inquinanti che dovrebbero, tra l’altro, contribuire alla ripresa dell’ozono) si sta facendo poco, molto poco in Italia e nel mondo (COP27 docet). Tra l’altro, per scongiurare un danno se ne provoca un altro, poiché i clorofluorocarburi (CFC) dannosi per l’ozono, sono stati sostituiti dagli idrofluorocarburi, che aumentano il rischio di riscaldamento globale. E contrastare i cambiamenti climatici è ben più complicato che ridurre l’assottigliamento dello strato di ozono. Giustamente osserva Luca Mercalli su Il Fatto Quotidiano: “I CFC erano gas tecnici prodotti da poche aziende chimiche internazionali che avevano dei sostituti relativamente facili da mettere in produzione a costi comparabili. Invece, le emissioni di gas climalteranti derivano principalmente dalla combustione di materiali fossili -petrolio, gas e carbone- su cui si basa l’85% dell’economia mondiale. Sostituirli non è semplice e attorno ad essi si muovono enormi interessi e infrastrutture. (…) Inoltre il riscaldamento globale mette in luce l’inadeguatezza dell’intero sistema economico e demografico mondiale, crescere all’infinito in un pianeta finito con enormi resistenze al cambiamento, mentre il protocollo di Montreal riguardava un piccolo dettaglio tecnico tra addetti ai lavori che non coinvolgeva scelte e responsabilità quotidiane dei singoli”.

Scelte e responsabilità quotidiane dei singoli, appunto!

 Giuseppe d’Ippolito, Website Founder

 

APPROFONDIMENTI

Il Rapporto ONU Scientific, Assessment of Ozone Depletion: 2022