Iniziamo da oggi, con la collaborazione di ACU Associazione Consumatori Utenti, una rassegna sugli additivi presenti negli alimenti d’uso quotidiano perchè consentiti, ma che possono far male alla Salute e anche all’Ambiente. . Iniziamo dai Solfiti che sono conservanti comunemente utilizzati nell’industria alimentare e vinicola. Leggete di seguito cosa sono esattamente i solfiti, dove si trovano e perché vengono aggiunti. E quali controindicazioni presentano. Leggiamo insieme come l’assunzione continua di solfiti può avere effetti negativi sulla salute. Inoltre, il biossido di zolfo (SO2), che è correlato ai solfiti, ha anche un impatto significativo sull’ambiente. Ad esempio, l’anidride solforosa nell’aria può causare danni alla clorofilla nelle foglie delle piante e la necrosi dei tessuti. Pertanto, è fondamentale prestare attenzione all’uso e al consumo di queste sostanze per proteggere sia noi stessi che l’ambiente. L’ACU insiemead UNI ha promosso da anni una regola tecnica (PdR 57:2019) che prevede l’eliminazione
di additivi nella preparazione di alimenti e bevande.
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Da centinaia di anni, anche negli angoli più remoti delle zone vitivinicole è conosciuto il bisolfito. Una sostanza chimica che perfino il farmacista del paesino di collina poteva legalmente vendere al contadino del “vino fatto in casa”. Una sostanza apparentemente magica, un fine granulato da usare all’inizio della fermentazione del mosto, ovvero dell’uva subito dopo la pigiatura, ma che nei mesi successivi poteva essere ancora di aiuto allo scopo di evitare, al vino in formazione, eventuali fermentazioni anomale che avrebbero provocato un difetto irreparabile. Ma anche le prodighe massaie della marmellata fatta in casa avevano imparato qualcosa dall’esperienza del cantiniere domestico e lo stesso farmacista forniva le giuste indicazioni sulle dosi di bisolfito da impiegare.
Così i bambini si mangiavano la dolce marmellata e gli adulti il gustoso vino sia dei giorni feriali come di quelli festivi.
Quante volte è accaduto che dopo aver cenato e bevuto, soprattutto vino bianco, è arrivato il cerchio alla testa, che veniva giustificato con l’aver mangiato troppo e la lenta digestione. Si dirà, oggi tutto è cambiato. Sì e no.

Ad esempio non sono mutate le tolleranze di solfiti nei vini destinate al consumo umano, mentre è decisamente accresciuta la professionalità degli operatori del settore e l’introduzione di tecnologie innovative che in generale permettono di ridurre l’uso di additivi chimici.
Rilevanti le innovazioni che sono state introdotte sul piano della coltivazione dei vitigni con le tecniche agronomiche nel sogno della sostenibilità ambientale, con le restrizioni sull’uso dei fitofarmaci e la sicurezza d’impiego. Si prescrive che l’acqua di lavaggio delle attrezzature utilizzate nei trattamenti fitosanitari, vengano raccolte e smaltite in sicurezza. Le concimazioni chimiche ridotte e sostituite con quelle organiche fino ad arrivare al conseguente sviluppo della produzione biologica.
Oggi è obbligatorio indicare nell’etichetta del vino contiene solfiti.
Dobbiamo purtroppo registrare che le organizzazioni di questo settore produttivo si sono opposte per decenni a questo obbligo. Avrebbero invece fatto bene proporsi protagoniste attive del percorso per la sostenibilità e la sicurezza richieste a gran voce dai consumatori europei, a tutto il comparto agricolo.
Ma finalmente con il Regolamento europeo 1333 del 2008, il vino e tutti gli altri prodotti devono riportare in etichetta la presenza di solfiti.

ETICHETTA 1. Alcuni di questi alimenti possono essere prodotti in paesi appartenenti all’Unione Europea e anche non essere commercializzati sul mercato italiano, ma devono comunque rispettare i limiti indicati, che sono imposti dal regolamento UE 1333 del 2008 e successivi aggiornamenti

 

Certamente nel prodotto biologico le dosi ammesse sono inferiori a quelle dei prodotti convenzionali, ma sia per l’aceto che per il vino si potrebbe evitare l’utilizzo dei solfiti, sia con tecnologie più avanzate che con la sostituzione dei solfiti (nel vino) con gli estratti naturali a base di tannini, già in commercio. Insomma si possono applicare tecnologie e coadiuvanti tecnologici più sostenibili per l’ambiente e più sicure per la salute umana e per tutti gli ecosistemi.

A che cosa servono i solfiti
L’anidride solforosa e i suoi derivati (solfiti) ha come funzione principale quella antimicrobica in quanto agisce contro muffe e batteri, ma anche in parte contro i lieviti, per questo viene utilizzata per inibire la fermentazione delle uve, per controllare lo sviluppo dei lieviti che producono alcol. Altra funzione è quella antiossidante: impedisce il deterioramento enzimatico o imbrunimento e “fissa” il colore degli alimenti, rendendoli così più “presentabili” e allettanti per l’acquisto! Perciò i solfiti possono essere usati e indicati in etichetta sia come conservanti sia come antiossidanti. Le categorie merceologiche nelle quali sono autorizzati i solfiti sono ben 69. Dagli ortofrutticoli freschi alla frutta essiccata, dalle confetture agli zuccheri, dai cereali ai succhi di frutta, dai pesci e crostacei alle carni fresche, dalle bevande analcoliche a quelle alcoliche.

Rischi, pericolosità e limiti
I solfiti vengono elencati e regolamentati come additivi. Vi è l’obbligo di inserire la dicitura “trattato con solfiti” o il nome preciso del solfito nell’etichetta, solo se superiori a 10 mg per litro/Kg. Ciò significa che, anche se non lo troviamo scritto sull’etichetta, se il prodotto è inserito tra quelli che possono essere trattati, è possibile che lo sia stato. È estremamente importante sapere se si stanno comprando prodotti con solfiti, visto che l’anidride solforosa è tossica, in particolare per i bambini, anche per il suo accumulo nell’organismo e per la grande varietà di prodotti in cui la possiamo trovare. Nel 2016, l’agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) aveva fissato la dose giornaliera massima in 0,7 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo. Un più recente tentativo di revisione non ha fornito un esito positivo per mancanza di dati scientifici probanti. In attesa di una revisione basata su nuove evidenze scientifiche dobbiamo fare riferimento ai 0,7mg/kg di peso corporeo come dose massima giornaliera. Per esempio, una persona di 70 kg può superare la dose massima (in questo caso 49 mg) mangiando 1 kg di crostacei cotti oppure 50 grammi di albicocche essiccate. Fate voi le proporzioni per il vostro peso e per quello dei vostri figli!

L’anidride solforosa e i solfiti, inoltre, interagiscono con gli enzimi cellulari e con alcune vitamine (per esempio inattiva la tiamina che è la vitamina B1).
L’anidride solforosa e i solfiti sono stati oggetto di studio per quel che concerne le allergie, ovvero reazioni inusuali a specifici alimenti da parte del sistema immunitario del corpo. Come nel caso di altri allergeni, i sintomi possono essere vari (mal di testa, asma, vomito, dermatiti…) e nei casi più gravi potrebbe comportare anche uno shock anafilattico. Perciò l’Unione Europea ha stabilito il limite numerico di 10 ppm ovvero 10 mg/kg sopra il quale tale molecola viene considerata un allergene per le persone che ne sono sensibili. Vale a dire che, quando è presente, deve essere evidenziata nell’elenco ingredienti con un carattere differente rispetto gli altri (come, per esempio, il grassetto o un font diverso) di modo da essere immediatamente individuabile da chi non la deve consumare. Un numero senza limiti di prodotti consumati in ogni età e condizione fisiologica e dove è facilissimo superare la dose giornaliera ammissibile stabilita dalle autorità. Questa esagerata estensione dell’uso dei solfiti penalizza decisamente la sostenibilità dell’intero ciclo di vita del prodotto alimentare dalla “culla alla tavola” e non incentiva né le produzioni né i consumi senza additivi e sostenibili.

ETICHETTA 2. Gli alimenti sono raggruppati e denominati in base alle loro caratteristiche merceologiche, che solitamente corrispondono alle denominazioni riportate nelle etichette.

La lettura delle etichette ci consente di distinguere i vini, anche biologici in relazione al loro tenore di solfiti.

“Senza solfiti”. I solfiti devono essere del tutto assenti (se in sede di analisi risultasse la presenza, sarebbe possibile contestare all’operatore la frode in commercio). Attenzione però: i lieviti sviluppano naturalmente solfiti endogeni nella fase di fermentazione e sono presenti anche nei vini a cui non sono stati aggiunti solfiti.

“Contiene solfiti”. Il vino contiene solfiti in misura superiore ai 10 mg/l, seppure entro i limiti fissati per i vini

Nessuna indicazione. Se l’etichetta non riporta diciture quali ‘contiene solfiti’, la loro presenza non può venire esclusa, ma dev’essere rigorosamente contenuta entro la soglia di 10 mg/l (se la soglia viene superata scatta l’obbligo di citazione specifica in etichetta, ai sensi della direttiva allergeni).

Si impone una inversione di rotta.
L’aspetto ancora più inquietante è quello che i solfiti non devono essere indicati in etichetta se non superano i 10ppm/kg o litro nel prodotto posto in commercio.
Questo significa che alle moltissime persone che sono allergiche ai solfiti, non basta assolutamente leggere l’etichetta e non trovarli tra gli ingredienti, ma dovrebbe essere scritta la dicitura “senza additivi”, corredata degli estremi di certificazione così come proposto con la PdR 057 UNI.
La Prassi di Riferimento UNI 57:2019 – Linee guida per prodotti alimentari e bevande senza additivi- (la trovate qui) consente di fornire le certezze richieste dai consumatori in virtù delle verifiche condotte secondo le procedure della certificazione di terza parte.

Gianni Cavinato presidente ACU-Associazione Consumatori Utenti perito agrario e tecnologo alimentare
Emilio Senesi giornalista e tecnologo alimentare

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