Quando parliamo di fattori che mettono a repentaglio
la salute del suolo, come la siccità, l’erosione,
la salinizzazione o l’inquinamento, dobbiamo tenere
presente il valore  del patrimonio naturale che si
perde quando non si fa di tutto per  evitare il peggio

Ci sono molte buone ragioni per temere la nuova ondata di siccità che, con buona probabilità, ci aspetta nei prossimi mesi, soprattutto nei distretti nord-occidentali del territorio nazionale. È del tutto  evidente che gli eventi meteorologici sono in stretta relazione con il  cambiamento climatico, e che quest’ultimo andrebbe affrontato con  una “vera” politica basata su “veri” accordi multilaterali volti a una riduzione drastica delle emissioni serra e alla messa in opera di  contromisure per la mitigazione e l’adattamento. L’attenzione per la quantità e la qualità delle risorse idriche è obiettivo di tutti i MAB (programmi scientifici Man and the Biosphere) dell’Unesco, quindi, ben venga qualsiasi programma di  monitoraggio, recupero e valorizzazione degli ambienti acquatici, a  condizione che non si tratti delle solite dichiarazioni di principio a  cui non seguono fatti concreti. 

Nel frattempo, però, non possiamo aspettare che al disastro si sommi un altro disastro. La siccità dello scorso anno in Italia ha lasciato criticità ecologiche che ancora oggi non sono state ben comprese, i cui effetti però verranno certamente amplificati dalla  nuova ondata di siccità che è stata preannunciata dai climatologi del  CNR e del IPCC. La siccità non va monitorata e combattuta soltanto per le sue ricadute rovinose su paesaggi, agricolture ed  economie ma anche per le conseguenze drammatiche che produce  quando diventa un fattore limitante e persistente in grado di inibire o  depotenziare le funzioni degli ambienti naturali, a detrimento di una  miriade di organismi che vi risiedono. 

Sulla Terra l’acqua si trova allo stato liquido nell’intervallo di temperatura più idoneo all’utilizzo da parte degli esseri viventi.  Le sue molecole contraddistinte da una lieve polarizzazione sono sempre ionizzate, rendendo l’acqua in forma liquida un eccellente  solvente. Inoltre, in ragione dell’alto valore della sua costante dielettrica, l’acqua permette che i sali in essa disciolti restino in  soluzione per tempi relativamente lunghi. Proprio per queste sue proprietà, l’acqua è un costituente inalienabile della biosfera, grazie anche alla sua funzione di regolazione termostatica in grado di controllare le fluttuazioni termiche mantenendole all’interno di un  range di variazione favorevole agli organismi e alle comunità  biologiche (biocenosi).

Una regola essenziale dell’ecologia scientifica evidenzia che nel caso in cui una comunità biologica sia già stata sottoposta a uno stress significativo (per esempio il lungo periodo di siccità del  2022), il verificarsi di una nuova perturbazione a carico della stessa comunità produrrà un effetto imprevedibilmente più grave sulla sua  “resistenza fisiologica”. In pratica, fenomeni di disturbo di questo tipo aboliscono qualsiasi possibilità di stabilizzazione  dell’ecosistema per molto tempo, compromettendo quella che, in condizioni di buona salute, è la sua principale proprietà: la resilienza. 

È bene sottolineare che il ciclo dell’acqua è strettamente associato al ciclo dei nutrienti (in particolare nel suolo), in quanto la  stragrande maggioranza degli organismi assorbono le sostanze  nutritive mediante soluzioni acquose, per cui la disponibilità di  acqua e dei soluti che essa trasferisce dall’idrosfera alla biosfera  gioca un ruolo biologico insostituibile in tutte le dinamiche  ambientali. Anche se può sembrare strano, la prima conseguenza di un apporto insufficiente di acqua negli ambienti naturali è che gli  esseri viventi muoiono di fame più che di sete. Ciò spiega la ragione per cui la scarsità di acqua nei sistemi naturali e negli agro ecosistemi può costituire uno stressogeno che nel lungo periodo diventa pericoloso e difficilmente controllabile.

Ora, è chiaro che la lotta alla siccità non può essere affrontata riponendo unicamente la fiducia sulla costruzione di grandi invasi, le cui pesanti controindicazioni ambientali sono arcinote. Ciononostante, tenendo conto delle considerazioni riportate poco  sopra, un atteggiamento pragmatico oggi suggerisce che, a causa  della situazione emergenziale (o pre-emergenziale) che si è venuta  a creare nei distretti nord-occidentali del territorio nazionale, si  faccia ricorso a tutto ciò che può garantire un utilizzo razionale  dell’acqua basato anzitutto sul risparmio (ovunque sia possibile) ma in grado di sostenere gli ecosistemi e l’agricoltura, senza  penalizzare eccessivamente altri usi. La questione, in buona sostanza, riguarda ciò che nelle emergenze si rischia di  compromettere se non si prendono decisioni rapide anche se  queste non sono perfette: in un contesto di emergenza, non si può pretendere la perfezione.

Una simile azione deve inoltre tenere conto del fatto che si sta operando in una condizione “a valle” del problema e non “a monte”,  a causa dell’incapacità delle istituzioni pubbliche e delle agenzie  competenti di prevenire i problemi, anziché affrontarli in una fase  ex-post senza strumenti adeguati.

Tutto ciò premesso, è chiaro e intuitivo che quando si parla di sistemi agricoli e di sistemi naturali si parla implicitamente anche di  suoli, perché la vitalità di tutti i sistemi ecologici di terra dipende  dalla loro matrice pedologica. Il suolo viene spesso e giustamente associato alla produzione alimentare ma, in un’ottica più generale, si deve osservare che i suoli sani sono fondamentali nei processi vitali di tutti i biotopi, in quanto provvedono a molte altre funzioni cruciali, tra cui la disponibilità di nutrienti, i meccanismi biochimici di ciclizzazione della materia, il sequestro del carbonio, la  purificazione dell’acqua, la detossificazione dei composti tossici, e  una miriade di altre funzioni. Peraltro, suoli in buona salute sostengono molti settori dell’economia, che vanno ben oltre i singoli appezzamenti di terreno per la coltivazione o per altre attività, a prescindere dal fatto che siano suoli di proprietà o pubblici.  Il suolo è un ambiente estremo che ospita quantità gigantesche di organismi microscopici, spesso caratterizzati da morfologie spettacolari, che con le loro relazioni reciproche rendono la  fisiologia del suolo particolarmente complessa, variabile e di grande  interesse in termini eco-evolutivi. Basti pensare al fatto che il suolo ospita tra il 25% e il 30% di tutta la biodiversità del pianeta ed è la sede da cui si dipartono le innumerevoli catene alimentari che  rendono il nostro pianeta “vivo” oltre che “vivibile” per la nostra  specie. Per distruggere le proprietà fisiche, chimiche e biologiche di un suolo bastano pochi anni, ma per ripristinarle occorrono secoli e talora millenni. Quindi, quando parliamo di fattori che mettono a repentaglio la salute del suolo, come la siccità, l’erosione, la  salinizzazione o l’inquinamento, dobbiamo tenere presente il valore  del patrimonio naturale che si perde quando non si fa di tutto per  evitare il peggio. Questo fragile strato di qualche decina di centimetri che avvolge la Terra deve essere protetto dagli effetti delle attività umane per motivi etici ma anche per motivi molto  pratici. Soprattutto per il fatto che entro il 2050 i suoli del mondo dovranno purificare l’acqua e fornire il cibo che serve per soddisfare  le necessità di una popolazione mondiale di quasi 10 miliardi di  persone.

Chiunque abbia seguito con interesse in questi anni le politiche europee sa che l’UE ha messo sul tavolo molte iniziative finalizzate a consolidare la salute del suolo. Tuttavia, anche quando queste misure sono state formalmente adottate, non sono state applicate in  modo efficace ad affrontare il problema del rapido degrado dei suoli  europei, a partire proprio dall’Italia. Secondo la Commissione europea, circa due terzi (60-70%) degli ecosistemi dell’UE presentano suoli malsani e in continuo degrado, a causa dei molti  fattori di stress, tra cui il global warming, che hanno causato una  temibile “decomplessificazione” delle loro proprietà e funzioni ecologiche.  I dati relativi a questi fenomeni degenerativi sono preoccupanti sotto molti punti di vista: si tratta di questioni che vanno dalla  sicurezza dell’agro-alimentare alla conservazione della biodiversità,  dalla protezione della salute umana al problema dei mezzi di  sussistenza, dalla contaminazione da pesticidi alla desertificazione dei terreni agricoli, fino ad arrivare a scenari che oggi possiamo  definire di vera e propria “minaccia” per l’ecosfera. Tutto ciò getta ombre su come si potrebbe uscire dalla crisi idrica dei prossimi mesi, ma al momento la gravità della situazione non sembra minimamente compresa dal mondo politico. In termini sintetici, si può affermare che il suolo ha bisogno dell’acqua e che l’acqua ha bisogno del suolo, ma tale semplice relazione circolare offerta gratuitamente dalla natura in forma di beni e servizi viene oscurata da altri interessi predominanti nei “palazzi”: in pratica, la bussola delle priorità della politica punta da tutt’altra parte. 

Ancora più allarmante è il fatto che, se gestito in modo non sostenibile, il suolo può passare da una condizione di “serbatoio” di carbonio a una condizione di “fonte” di carbonio. La salute del suolo può essere valutata in molti modi, ma un buon proxy del suo stato è  la misura del carbonio organico (SOC: Soil Organic Carbon), vale a  dire un elemento centrale che esprime la capacità pedologica di  fornire nutrimento e sostegno alla biomassa vegetale (produzione  primaria). I suoli ricchi di carbonio organico tendono a essere meglio strutturati, trattengono più acqua, resistono meglio  all’erosione e offrono una maggiore fertilità per le colture. Il paradosso è che attualmente i suoli dell’UE mostrano pattern  preoccupanti di perdita di carbonio organico mentre intanto  emettono CO2. Le critiche condizioni ecologiche degli ambienti umidi, non ultime le importantissime zone a torbiera, sottoposte da  tempo a un continuo drenaggio, fanno il paio con i terreni agricoli devastati dall’agricoltura industriale e dagli insediamenti umani  (urban sprawl), con ripercussioni di medio-lungo periodo che nessuno è in grado di prevedere.

Ciò che si sta facendo a livello nazionale (ma anche a livello europeo non si vedono iniziative migliori) è sperare che nei prossimi mesi possano cadere le piogge e le nevi che non sono cadute nel  corso della stagione autunnale-invernale 2022-2023. Tuttavia, al momento non possiamo sapere se il gap potrà essere  completamente recuperato: un’evenienza che per molti ha una  probabilità piuttosto bassa di verificarsi. Il contesto odierno deve essere preso molto sul serio, perché il rischio è quello di  esacerbare una situazione di siccità, con tutte le sue ripercussioni  ambientali, sociali ed economiche, peggiore di quella della  primavera-estate del 2022. Serve quindi una piattaforma strategica (una policy) mirata a ridurre le conseguenze di una crisi idrica imminente che non promette nulla di buono. Occorre mettere a punto fin d’ora un programma di gestione e di utilizzo delle risorse idriche che tenga conto del peso dei vari usi  idrici a livello sociale, naturale ed economico. Una delle soluzioni possibili, anche se certamente non l’unica, è quella di utilizzare i bacini idrici artificiali e naturali esistenti a cui attingere.

Come anticipato sopra, la nuova edificazione di grandi invasi è caratterizzata da una serie di controindicazioni ambientali che è  bene evitare, tuttavia, i piccoli invasi inseriti in reti locali di  approvvigionamento idrico a favore delle colture ma utili anche a non mandare in sofferenza gli ambienti naturali hanno un impatto  sul territorio decisamente inferiore. Piccoli corpi idrici creati senza uso di cemento in siti territoriali e paesaggistici idonei possono dare  un contributo sostanziale in termini di “auto-sufficienza” idrica.  Questo ragionamento, ovviamente, deve essere accompagnato da un razionale impiego dell’acqua in tutti i settori che ne fanno uso.  Dopodiché, è chiaro che un problema come quello della siccità, peraltro affrontato in una fase già critica e avanzata, richiede una  serie di contromisure su grande e piccola scala che devono essere  programmate e realizzate in modo integrato, senza lasciare nulla di intentato e soprattutto senza lasciare nulla al caso. Per esempio, in agricoltura l’utilizzo di sistemi di irrigazione che minimizzano lo  spreco di acqua (i.e. sistemi a goccia) abbinato al ricorso a colture  a buona vocazione territoriale/locale e a basso consumo idrico (ed  energetico) possono fornire un aiuto importante. Qualcosa in agricoltura si dovrà certamente sacrificare, ma lo scenario non permette di accontentare tutti né di impiegare soluzioni operative legate all’ordinario.

Concludendo, tutto ciò premesso, la risorsa principale che al  momento sembra mancare non riguarda le varie opzioni di natura  tecnica che possono ragionevolmente essere messe in opera per  assicurare una sufficiente capacità di non arrendersi alla morsa  della siccità, ma la capacità di pianificare con un minimo di anticipo  (siamo già in ritardo) la gestione politica del problema per non farsi  trovare impreparati nel caso in cui i pronostici peggiori dovessero  avverarsi.

Nel breve periodo appare urgente un’azione politica rigorosa volta a frenare i problemi di deterioramento e di scarsità di acqua, non solo  in Italia ma in tutta Europa. Suolo e acqua (e aria) sono entità  ambientali infinitamente più preziose e vulnerabili di quanto si  pensi. Le competenze scientifiche e tecnologiche per affrontare senza traumi eccessivi una nuova crisi idrica che forse sarà  peggiore di quella dello scorso anno non mancano, ma la politica e  le istituzioni governative a tutti i livelli di competenza territoriale non  devono e non possono perdere altro tempo.

Carlo Modonesi, ISDE Lombardia – Comitato Scientifico di ISDE Italia
Francesco Romizi, Responsabile Comunicazione ISDE Italia