Sostenibile, indica, quella condizione dello sviluppo
ambientale, sociale ed economico in grado di assicurare
il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente
senza compromettere la possibilità delle generazioni
future di realizzare i propri

Sostenibile è … un paio di scarpe, un detersivo, un condizionatore, un’acqua minerale, un alimento, una bevanda, finanche una fornitura di gas domestico o di elettricità e un  gran numero di altri oggetti, beni e servizi di uso quotidiano, almeno a dar credito alle promesse pubblicitarie delle aziende. Non mi giungono notizie solo a proposito della sostenibilità della nuova varietà di pesche riservata ai genitori separati, new entry della propaganda televisiva nella quale, come al solito, prevalgono gli elementi suggestivi su quelli informativi. Ma, in realtà, quando si può parlare in modo corretto e non ingannevole per i cittadini/clienti, di sostenibile/sostenibilità?

La definizione adottata nelle scienze ambientali ed economiche è quella della “condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”, concetto introdotto nel corso della prima conferenza ONU sull’ambiente nel 1972, ribadito nel corso degli anni e recentemente (2015) ripreso, sempre dall’ONU, nel lancio del programma per lo sviluppo sostenibile contenuto nell’Agenda 2030 (a cui dedicherò un approfondimento, prossimamente).

Certo, il termine sostenibilità, che deriva dal latino sustinere e che significa sostenere, difendere, favorire, conservare e/o prendersi cura, può essere utilizzato in tanti altri contesti, ma non ho dubbi nel ritenere che, quello pubblicitario, è un utilizzo finalizzato prevalentemente (se non esclusivamente) a sollecitare vanti e pregi ambientali, di tutela e cura della natura e degli ecosistemi, quello che oggi i più eruditi definiscono come tecniche di “green marketing”.

Ne discende che, non è tanto la generica sostenibilità ad interessare oggi, quanto, per essere più precisi, la sostenibilità ambientale. E aggiungere il riferimento all’ambiente comporta vare conseguenze, specie se lo leghiamo alla parola sviluppo. Lo sviluppo sostenibile è quindi, innanzitutto, uno sviluppo rispettoso della sostenibilità ambientale.

Ma l’ambiente non può svilupparsi se non in un ampio quadro di tutele e salvaguardie nel quale devono essere prese in considerazione anche le condizioni sociali ed economiche della collettività. “La crescita economica, la coesione sociale e la tutela ambientale devono andare di pari passo” si afferma ormai da decenni in sede UE e ribadisce in ogni occasione lo stesso Papa Francesco.

L’enciclopedia Treccani registra che il concetto di sostenibilità, rispetto alle sue prime versioni, ha fatto registrare “una profonda evoluzione che, partendo da una visione centrata preminentemente sugli aspetti ecologici, è approdata verso un significato più globale, che tenesse conto, oltre che della dimensione ambientale, di quella economica e di quella sociale. I tre aspetti sono stati comunque considerati in un rapporto sinergico e sistemico e, combinati tra loro in diversa misura, sono stati impiegati per giungere a una definizione di progresso e di benessere che superasse in qualche modo le tradizionali misure della ricchezza e della crescita economica basate sul Pil”.

Ed è con i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 che la definizione più corretta diventa: “Sostenibile, indica, quella condizione dello sviluppo ambientale, sociale ed economico in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

Si tratta di condizioni che devono coesistere e la cui presenza, vera, concreta e verificabile, è l’unica a poter garantire che l’uso dei termini sostenibile/sostenibilità è legittimo e non si sconfina nel greenwashing.

Può essere qualificato come sostenibile un bene prodotto con l’uso di combustibili fossili, o con l’impiego di manodopera minorile o che rappresenta un tratto solo marginale dell’attività d’azienda mentre la restante parte è inquinamento e sfruttamento della forza lavoro? È esattamente quel che avviene (non sempre, in verità)

A questi e ad altri dubbi cercherò di dare risposta nei miei prossimi interventi perché il tema è tanto ampio quanto delicato.

Giuseppe d’Ippolito