Agire quando i buoi sono fuggiti dalla stalla, non ci aiuta
ad evitare il collasso climatico: occorre agire in prevenzione.
Nessuno può negare che gli impatti climatici coinvolgono
diritti fondamentalissimi della persona umana e chi li lede

è responsabile

 È notizia di qualche giorno fa la Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la “Richiesta di un parere consultivo della Corte internazionale di giustizia sugli obblighi degli Stati in materia di cambiamenti climatici“. L’Assemblea ha praticamente deciso di chiedere alla Corte di esprimere un parere sugli obblighi degli Stati ai sensi del diritto internazionale di garantire la protezione del sistema climatico dalle emissioni antropogeniche di gas serra.

La richiesta è stata motivata, innanzitutto, dalla necessità di considerare opportunamente le conseguenze giuridiche derivanti dagli obblighi per gli Stati in cui i loro atti e le loro omissioni hanno causato danni significativi al sistema climatico per la salvaguardia degli Stati, e in particolare dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo, e delle persone delle generazioni presenti e future. La preoccupazione principale nasce dal fatto che le popolazioni più vulnerabili, che storicamente hanno contribuito meno alla calamità climatica in corso, sono colpite in modo sproporzionato dalle sue conseguenze e quindi, l’auspicio è che il parere consultivo della Corte metta in luce l’obbligo degli Stati di garantire che tutti i paesi abbiano diritto a un ambiente sano e sostenibile.

António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha ricordato che all’inizio del mese di marzo, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) ha confermato che gli esseri umani sono responsabili di praticamente tutto il riscaldamento globale negli ultimi 200 anni. Il rapporto di quell’organismo ha anche mostrato che limitare l’aumento della temperatura a 1,5 ° C è realizzabile, ma “la finestra si sta rapidamente chiudendo“, ha avvertito, aggiungendo: “Coloro che hanno contribuito meno alla crisi climatica stanno già affrontando sia l’inferno climatico che l’acqua alta“. Per alcuni paesi, le minacce climatiche sono una condanna a morte.

La Corte internazionale di giustizia, nota anche con il nome di Tribunale internazionale dell’Aia, spesso indicata con l’acronimo CIG (in francese: Cour internationale de justice, CIJ, in inglese: International Court of Justice, ICJ), è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Ha sede nel Palazzo della Pace all’Aia, nei Paesi Bassi. Le sentenze e i pareri della Corte sono uno dei principali strumenti con cui si accerta l’esistenza di norme internazionali e, in alcuni casi, si interpretano. Il 25 novembre 2014 l’Italia ha depositato presso il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite la dichiarazione di accettazione della giurisdizione obbligatoria della Corte internazionale di giustizia, prevista dall’art. 36, par. 2, dello Statuto della stessa Corte, anche se permangono problematicità applicative sulle quali non è possibile qui soffermarsi.

L’iniziativa dell’Assemblea ONU si inserisce, a buon diritto, tra le Climate Litigations come strumento per la giustizia climatica, anzi è facile prevedere che il pronunciamento della Corte Internazionale, costituirà la premessa di nuove litigations tra cittadini e Stati. Non sarà una novità e non sarà la prima volta. Contenziosi in cui cittadini, giovani, famiglie e associazioni ricorrono al potere giudiziario per tutelare i propri diritti e quelli delle generazioni future dall’emergenza climatica sono già in corso nei Paesi Bassi, in Francia, in Germania, in Irlanda, in Colombia, e anche in Italia (ve ne abbiamo parlato lo scorso dicembre in “Mutamenti climatici: in giudizio lo Stato”, qui). Nessuno può negare che gli impatti climatici coinvolgono diritti fondamentalissimi della persona umana: il diritto alla vita, al cibo, all’acqua, alla salute, a un ambiente salubre, a un’abitazione adeguata e alla proprietà, all’autodeterminazione nell’usufruire delle risorse naturali, presenti e future, alla sopravvivenza negli standard di vita e nello sviluppo umano. E quando essi sono lesi, occorre indagare sulle responsabilità. Ma agire quando i buoi sono fuggiti dalla stalla, non ci aiuta ad evitare il collasso climatico: occorre agire in prevenzione. Bene ha fatto, quindi, l’ONU a sollecitare un parere preventivo forte dei principi universali dei diritti degli uomini (in Europa, in particolare, riconosciuti e sanciti nell’art. 6 del Trattato dell’Unione europea e nei numerosi pronunciamenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo).

Non resta da aggiungere che questa iniziativa dell’Assemblea delle Nazioni Unite corrisponde anche ad una presa d’atto che i governi dei vari Stati (chi più, chi meno) non sono in condizione, se non opportunamente sollecitati, di assumere decisioni rilevanti per la mitigazione dei cambiamenti climatici. E non rimane che augurarsi che gli Stati ascoltino, se non gli scienziati, almeno i giudici: Diligite iustitiam qui iudicatis terram, dicevano i latini, che tradotta letteralmente, significa amate la giustizia, voi che siete giudici in terra.

Noi restiamo convinti nella nostra linea di pensiero, d’ispirazione rifkingheriana, riportata in bella evidenza nell’immagine di copertina di questo sito, “Gli accordi sull’Ambiente non bastano, la vera rivoluzione arriverà dal basso”.

Giuseppe d’Ippolito, Website Founder