Il sito consumerista francese Que Choisir ha riportato
la notizia, tratta dal media online L’Informer, che
l’italianissima Nutella, che detiene oltre il 66% del
mercato francese delle creme spalmabili, ha perso
in un tribunale d’oltralpe il giudizio intentato contro 
la pubblicità di un marchio concorrente (anch’esso italiano)
che reclamizzava la propria crema spalmabile, senza olio di
palma. È stato un autogol, giacché Nutella non solo ha perso
e ha subìto una condanna di 10.000 euro ma ha anche finito
per riportare in primo piano la sua controversa scelta di mantenere
l’olio di palma nella propria ricetta

Consumatori di Nutella di tutto il mondo unitevi! Ma unitevi per chiedere alla Ferrero, produttrice della famosa crema spalmabile, di abbandonare l’utilizzo dell’olio di palma.

Ma perché vi parlo di olio di palma che è l’olio vegetale più consumato al mondo, l’80% negli alimenti, il 10% nei cosmetici e il 10% nei biocarburanti, in un sito dedicato all’ambiente? Semplicemente perché l’estrazione dell’olio di palma provoca danni serissimi all’ambiente. È scritto su Focus del 19 maggio 2017 (qui e vi consiglio la lettura): “Sì, l’olio di palma è dannoso per l’ambiente. Le cifre che si leggono sono spesso diverse, ma l’aumento della sua produzione contribuisce alla distruzione di grandi fette di foresta, soprattutto in Indonesia e Malesia, i due maggiori produttori. Il Global Palm Oil Production indica una crescita della produzione del 9-10% l’anno: gli ettari di terreno coltivato sono almeno raddoppiati (alcuni dicono triplicati) in dieci anni, a scapito delle foreste. Si stima che ogni anno in Indonesia un milione di ettari di foresta venga distrutto, anche se non tutto va a beneficio delle piantagioni di palma da olio. Tra l’altro le foreste vengono bruciate, e così emettono nell’ambiente enormi quantità̀ di gas serra: si stima che nel solo 2010 la deforestazione dell’isola del Borneo abbia prodotto 140 milioni di tonnellate di CO2”.

Foto gratuita colpo verticale di olio di palmisti accatastati sul terreno perfetto per lo sfondoPer la verità, dal sito nutella.com (qui) si legge: “L’olio di palma contenuto in Nutella viene trattato con estrema cura durante la lavorazione, motivo per cui è un olio sicuro, esattamente come tutti gli oli vegetali di qualità”. E che l’olio di palma utilizzato da Ferrero sia sostenibile perché tenuto fisicamente separato dal convenzionale olio di palma e tracciato in ogni suo utilizzo, risulterebbe dalla certificazione rilasciata da RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil). RSPO è un’organizzazione internazionale che si occupa di promuovere la produzione e l’utilizzo sostenibile dell’olio di palma. L’obiettivo principale dell’organizzazione è quello di sviluppare e implementare standard globali per la produzione e la fornitura di olio di palma certificato sostenibile. Ma attenzione: l’organizzazione che certifica è formata prevalentemente da un gruppo di produttori di olio di palma e di commercianti. Acquaiò l’acqua è fresca? recitava un’antica cantata napoletana per indicare come non sia buona norma chiedere le qualità di una cosa allo stesso che le vende, senza scomodare i regolamenti che vietano ai produttori di certificare le qualità dei propri prodotti. A dire il vero, a far parte di RSPO c’è anche il WWF che colloca costantemente Ferrero in cima alla sua classifica dei principali acquirenti di olio di palma in base ai loro sforzi per approvvigionarsi in modo sostenibile. E difatti WWF ha una partnership di marketing con Ferrero, che produce Nutella, partnership che si concretizza in attività di marketing, sponsorship e licensing. Mentre in Italia è ICEA Certifica ad essere autorizzata a certificare la conformità allo standard RSPO Supply Chain Certification, che garantisce che l’olio di palma e i suoi derivati siano prodotti in modo sostenibile e rispettoso dell’ambiente e delle comunità locali.Foto gratuita vista aerea di palme in una piantagione di olio di palma nel sud-est asiatico

Ma non posso omettere di segnalare anche che c’è un lungo elenco di critiche che riguardano RSPO (qui). Secondo un rapporto di Greenpeace e della società di ricerca Profundo del 2018, le piantagioni certificate RSPO erano state coinvolte in lavoro forzato, lavoro minorile e discriminazione nei confronti delle donne, nonché in conflitti territoriali con le comunità locali. Inoltre, l’RSPO è stato accusato di non fare adeguatamente audit alle aziende membri per garantire che rispettino gli standard RSPO, portando Greenpeace nel 2019 a definirlo “quasi inutile”. Neppure Canopée Forêts vivantes, una filiale di Friends of the Earth specializzata nella difesa delle foreste, è così entusiasta dell’etichetta RSPO, “Certamente protegge le bellissime foreste primarie, ma permette la deforestazione delle foreste secondarie“, sottolinea Sylvain Angerand, coordinatore della campagna di Canopée. “Certo, queste sono spesso degradate, ma potrebbero essere ripristinate piuttosto che distrutte per fare spazio a nuove piantagioni. Tutte le foreste sono importanti, soprattutto nei paesi in cui c’è stata molta deforestazione negli ultimi anni”. E, afferma Klervi Le Guenic, attivista per le foreste tropicali di Canopée: “Spesso, questi sistemi di certificazione mancano di indipendenza, poiché operano grazie ai soldi delle strutture certificate”.

Nel mio piccolo, aggiungo invece, che, se pure l’olio di palma fosse correttamente ricavato anche nel rispetto delle popolazioni coinvolte, può essere certificata come sostenibile un’attività basata, comunque, sull’abbattimento di foreste? Vale per la Ferrero e per chiunque altro.

È veramente così insostituibile l’olio di palma? La risposta la trovate nell’articolo sotto DAI NOSTRI PARTNER. Dai 5 milioni di tonnellate all’anno consumate negli anni ’80, oggi si superano i 76 milioni. Certo, con poco più di 200.000 tonnellate all’anno, le forniture di olio di palma del gruppo Ferrero sono solo una goccia nel mare rispetto alla domanda globale .

Ma si può fare questo sforzo e sarebbe veramente l’esempio virtuoso di un made in Italy che contribuisce a spingere verso una trasformazione globale della produzione alimentare.

Giuseppe d’Ippolito