Credo non siano più rinviabili il dialogo e la cooperazione
tra rappresentanti dei governi, del mondo scientifico, della
società civile e del settore privato, per l’elaborazione di piani
di transizione verso l’azzeramento effettivo e concreto delle
emissioni nette, connessi a prospettive realizzabili di protezione sociale

Africa orientale, 6 novembre – Forti piogge e inondazioni mietono vittime in Somalia, Etiopia, Kenya, Burundi e Malawi; Europa, 3 novembre – Italia – Stato di emergenza dopo che la tempesta Ciaran ha scatenato inondazioni mortali in Toscana; Asia, 25 ottobre – Yemen – Migliaia di sfollati a causa delle inondazioni dopo che il ciclone Tej ha scaricato 400 mm di pioggia; Europa, 24 ottobre – Regno Unito – Oltre 1.000 case danneggiate, centinaia evacuate a causa della tempesta Babet che provoca gravi inondazioni; Americhe, 11 ottobre – Brasile – Piogge e inondazioni devastano Santa Catarina mentre si intensificano le dichiarazioni di emergenza.

Questi sono i titoli degli ultimi articoli dedicati agli eventi alluvionali estremi che si sono verificati nel mondo, solo negli ultimi 40 giorni, pubblicati dal sito FloodList (trovate il link in calce a questa pagina), senza considerare le altre catastrofi legate all’ aumento considerevole della temperatura media globale, come la desertificazione, le mareggiate, i dissesti idrogeologici. Secondo i dati di Copernicus Clima, il 2023 diventerà l’anno più caldo tra quelli mai rilevati, con un terzo dei giorni in cui la temperatura media globale è stata di almeno 1,5°C più alta dei livelli preindustriali.

Siamo ormai ampiamente entrati nell’era del rischio climatico estremo.

Questa nuova era, probabilmente rimodellerà la geopolitica. Ma né i governi, né le istituzioni, nazionali e internazionali, appaiono adeguatamente preparati a un cambiamento radicale, nell’urgenza di gestire il rischio climatico o le conseguenze più ampie che potrebbero derivarne. Mentre alcuni paesi e istituzioni stanno integrando le valutazioni del rischio climatico nella loro pianificazione, nessuno sta prendendo seriamente in considerazione il rischio di superare i punti di non ritorno.

Sulla scorta dei dati disponibili e delle varie ricerche internazionali, provo a descriverne qualcuno.

1) La Salute e la Sicurezza alimentare. Il benessere umano dipende dalla salvaguardia degli ecosistemi naturali e della biodiversità. Destabilizzare gli ecosistemi, provoca focolai di malattie infettive e compromette lo sviluppo, l’alimentazione, la sicurezza e la protezione da calamità naturali.  La protezione della salute pubblica da questi rischi non rientra nei ruoli tradizionali del settore sanitario. Serve prevedere un nuovo sistema di assistenza sanitaria anche con l’intervento di altre istituzioni e organizzazioni non governative.
Sono stati ampiamente studiati, poi, i rapporti tra produzione alimentare (specie per agricoltura e allevamenti) e ambiente. Lo stesso dicasi per il rapporto con i consumi alimentari, che dovrebbero condizionare la produzione ma che più spesso ne sono condizionati.
I metodi di produzione alimentare devono, invece, tutelare l’ambiente, gli ecosistemi, la biodiversità, esaltando un modello culturale e di sviluppo che valorizzi le risorse naturali evitando lo sfruttamento eccessivo del suolo, dell’acqua e dell’aria. Garantire una produzione alimentare sostenibile, garantisce la sicurezza alimentare. Ma il punto di non ritorno è molto vicino perché la sicurezza alimentare è minacciata da pratiche di produzione affatto preoccupate dall’aumento delle temperature e dai vari rischi derivanti a cascata (vedere l’articolo successivo dedicato al rapporto, appena pubblicato da FAO “The state of food and agriculture 2023 revealing the true cost of food to transform agrifood systems”).

2) La Finanza. I finanziamenti per il clima oggi, quando sono previsti, sono per lo più destinati alla riparazione di danni già cagionati e, peraltro, non sono accessibili proprio ai paesi più vulnerabili e ai soggetti più fragili. I negoziati sui finanziamenti per l’adattamento climatico, le perdite e i danni sono già controversi e diventeranno più urgenti con l’aumento dei rischi.
I governi dovrebbero integrare pienamente la gestione del rischio del cambiamento climatico nella pianificazione e nel processo decisionale economico e di sicurezza. Ciò dovrebbe includere l’intera gamma di potenziali scenari di temperatura, comprese le valutazioni delle minacce dei punti di non ritorno, nonché l’uso diffuso della previsione strategica.
Le istituzioni finanziarie internazionali devono integrare il rischio climatico estremo come rischio finanziario (consiglio la lettura dell’articolo di Francesco Ninfole su Milano Finanza dell’8 novembre, dal titolo “Clima, grane per le banche. Rischi climatici, stretta Eba-Bce”). Ciò contribuirebbe a integrare la gestione del rischio a lungo termine sia nel settore privato che in quello pubblico e contribuirebbe alla resilienza globale.
I paesi sviluppati dovrebbero aumentare i loro impegni finanziari internazionali per l’adattamento e dovrebbero fornire finanziamenti per le perdite e i danni attraverso meccanismi nuovi o esistenti. Dovrebbero essere concordate fonti innovative di finanziamento privato o di un sistema assicurativo efficiente.

3) La Transizione energetica. Se cambierà l’equilibrio di potere tra produttori e consumatori di energia, si incrementerà la crescente domanda di energie rinnovabili. Ma le azioni, palesi o nascoste, dei produttori/distributori di fossili contrasta con il peso, che non aumenta, degli attori delle tecnologie pulite (si pensi, in Italia, al mai realizzato decremento del finanziamento pubblico agli utilizzatori di energia da fonti fossili o agli ostacoli frapposti alle energie rinnovabili). Nell’accordo di Parigi del 2015 e in tutte le Cop, è omesso alcun riferimento ai fossili. Vedremo all’imminente Cop28 di Dubai. Intanto si avvicina il punto di non ritorno.

4) Le Guerre e i fenomeni migratori. Le nefaste conseguenze dei vari conflitti nel mondo, sulla situazione climatica sono note, sono di facile percezione e ne ho scritto più volte. La migrazione è spesso un effetto diretto sia delle guerre, che del peggioramento degli impatti climatici. Purtroppo, le ultime cronache testimoniano l’aumento del rischio di superare i punti di non ritorno. Le guerre in Ucraina e quella che sta infiammando il Medio-Oriente, testimoniano che gli Stati non riescono a trovare, per la soluzione delle loro controversie, sbocchi diversi dai conflitti armati, con l’ulteriore conseguenza, rispetto a quelle umanitarie ovvie, che la circolazione interna e transfrontaliera delle persone sarà esasperata, causando ulteriori tensioni geopolitiche. I paesi sviluppati dovrebbero aumentare sia gli sforzi per la pace che l’assistenza umanitaria fornita alle persone vittime degli eventi bellici e di quelli climatici.

5) La tecnologia e la innovazione. Le nuove tecnologie potrebbero essere utilizzate come risposta per affrontare il rischio dei punti di non ritorno, per esempio, nel contrasto al dissesto idrogeologico, nello sviluppo della bioedilizia, nell’abbattimento dei costi per le energie rinnovabili o per le individuazioni di infrastrutture per lo stoccaggio dell’energia e per accumulatori più sostenibili o per reti più efficienti. La popolazione mondiale è oggi di 8 miliardi di persone, nel 2100 si stima che si arriverà a 10 miliardi. La tecnologia e l’innovazione devono contribuire a dare a tutti gli abitanti del pianeta uguali condizioni di vita, di salute e di benessere (“La salute è la condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità”: definizione dell’OMS). Ma, in realtà, il punto di non ritorno è assai vicino, visto che non ci si preoccupa di ridurre l’impatto della popolazione mondiale sull’ambiente e il giorno del sovrasfruttamento delle risorse che il pianeta è in grado di rigenerare in un anno (Earth Overshoot Day) è sempre più anticipato. Il Global Footprint Network, che calcola ogni anno l’Earth Overshoot Day, ha determinato che, nel 2023, è caduto il 2 agosto. Si prevede che, nel 2024, cadrà il 25 luglio.

Entro la fine del 2024 l’IPCC dovrebbe elaborare una relazione speciale sui punti di non ritorno e sui loro possibili impatti intersettoriali ma a me pare già evidente, oggi, la necessità che si trovino i modi per affrontare il rischio climatico con efficaci risposte nazionali e sovrannazionali, magari sotto l’egida delle Nazioni Unite, al rischio di raggiungere e superare i punti di non ritorno dell’umanità. Credo non siano più rinviabili il dialogo e la cooperazione tra rappresentanti dei governi, del mondo scientifico, della società civile e del settore privato, per l’elaborazione di piani di transizione verso l’azzeramento effettivo e concreto delle emissioni nette, connessi a prospettive realizzabili di protezione sociale.

Giuseppe d’Ippolito