Il riconoscimento del diritto all’Ambiente come diritto
umano universale, non riguarda solo la tutela degli ecosistemi,
ma anche lo stato di diritto, lo sviluppo sostenibile, le disparità
sociali, la salute pubblica e, non da ultimo, la pace.

La prima risposta che verrebbe da dare alla domanda “esiste un diritto universale dell’uomo all’ambiente?”, sarebbe senz’altro positiva. Del resto, se il diritto all’Ambiente racchiude in sé tutta una serie di diritti umani riconosciuti come il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto all’acqua, il diritto al cibo, il diritto all’abitazione, il diritto a un adeguato standard di vita, la cosa non dovrebbe generare particolari discussioni.

Anche l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto, il 28 luglio dello scorso anno, il diritto umano fondamentale ad “un ambiente pulito, sano e sostenibile” (“The human right to a clean, healthy and sustainable environment”). E così una vasta serie di trattati e risoluzioni di organismi sovranazionali: dalla Dichiarazione di Stoccolma, del lontano 1972, alla Dichiarazione di Malé del 2007, per finire alla più recente risoluzione del Consiglio dei diritti umani, del 2021, sempre in ambito ONU e a cui l’Assemblea Generale si è ispirata.
Ma siamo sempre di fronte ad atti internazionali non vincolanti che dovrebbero servire da impulso per modificare le politiche statali e le norme interne; allora sì che ciascun individuo sarebbe fornito di nuovi strumenti per pretendere, con forme giuridicamente valide, condizioni ambientali migliori.

In alcune nazioni, il diritto a un ambiente sano ha ricevuto riconoscimento costituzionale: l’Italia l’ha fatto nel 2022 ma la legislazione ordinaria che dovrebbe ispirarsi ai nuovi principi, tarda a adeguarsi.
Il dibattito sulla portata e la necessità del diritto a un ambiente sano è ancora in atto. I favorevoli chiedono leggi e politiche ambientali più forti e una loro migliore attuazione e applicazione; un’accresciuta partecipazione e responsabilità dei cittadini ai processi decisionali; la riduzione delle ingiustizie ambientali; migliori performance ambientali. I contrari ribattono che i diritti ambientali sono troppo vaghi per essere utili; che sono ridondanti, poiché già esistono sia diritti umani che leggi ambientali; che sono un limite allo sviluppo economico del paese rappresentando il rischio che il potere si sposti dai legislatori agli interpreti (cioè, ai giudici).

Il risultato della diatriba è che l’attuazione e l’applicazione di leggi e regolamenti veramente necessari per affrontare le sfide ambientali è molto indietro rispetto a quanto i fatti e le evidenze segnalate dalla cronaca quotidiana, richiedono. Lo stesso dicasi per l’adeguamento agli standard internazionali e comunitari, per non parlare della scarsa considerazione per le esigenze di prevenzione e mitigazione dei rischi ambientali che arrivano dai singoli territori.

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Sembra sfuggire a molti nostri legislatori che il diritto ambientale è indissolubilmente connesso ad altri diritti costituzionali e umani. Il diritto ad aria e acqua pulita, per esempio, non sono solo diritti ambientali ma anche le fondamenta del diritto alla vita. E non si garantisce sufficientemente il diritto alla vita, se non si inquadrano le questioni ambientali in un contesto generale di diritti umani, anche per conferire una maggiore rilevanza legale e morale alle violazioni ambientali, nonché per aprire ulteriori prospettive per prevenirle.

Il riconoscimento del diritto all’Ambiente come diritto umano universale, non riguarda solo la tutela degli ecosistemi, ma rafforza anche lo stato di diritto in generale; serve a sostenere politiche attente ad uno sviluppo sostenibile; a combattere le disparità sociali; a salvaguardare la salute pubblica e, non da ultimo, contribuisce alla pace.
Ma è una strada ancora in salita.

Giuseppe d’Ippolito