Massimo Vacchetta, 54 anni, residente a Novello (in provincia di Cuneo), è veterinario nel settore dei bovini. Dal 2013, però, si occupa della cura dei ricci, quei piccoli animali caratterizzati dall’essere ricoperti di aculei (da non confondere con i porcospini), prevalentemente notturni, che durante il giorno dormono nella loro tana mentre di notte escono a caccia di cibo. Essi sono spesso feriti nelle attività di pulizia dei sottoboschi o schiacciati dalle auto quando cercano di attraversare le strade in prossimità di zone di campagna, in cerca di cibo o acqua. Per aiutare questi piccoli animali feriti, malati o troppo piccoli per sopravvivere da soli, Vacchetta ha fondato il Centro di Recupero Ricci «La Ninna», sezione staccata del CRAS di Bernezzo. È anche presidente dell’Associazione «La Casa dei ricci», che ha lo scopo di tutelare il riccio e la natura. Ha scritto vari libri di successo sull’argomento ed ha vinto il premio del Nature Film Festival con un documentario. Di loro dice: “Sono considerati le sentinelle dello stato di salute di un ecosistema: ma in dieci anni rischiano di estinguersi”.
Il Centro di Recupero La Ninna (dal nome assegnato ad uno di questi animaletti) ha un suo sito web che trovate in fondo alla pagina di questo blog, nella sezione Il Meglio Dal Web.
I ricci sono una specie fortemente minacciata di estinzione a causa della distruzione dell’habitat e dell’agire umano. Per fortuna, in Italia esiste un centro che si occupa del loro salvataggio e del loro reinserimento in natura, e che sta conducendo uno studio unico nel suo genere per indagare le principali cause di morte di questi piccoli animali: è il Centro recupero ricci La Ninna di Novello (provincia di Cuneo). Abbiamo fatto quattro chiacchiere con il dott. Massimo Vacchetta, veterinario presso il Centro e autore di diversi libri dedicati a questi piccoli ma fragili animali.
Quali sono le minacce che maggiormente espongono i ricci al rischio di estinzione?
I ricci sono vittime del degrado ambientale causato dall’uomo, che fraziona e distrugge il loro habitat naturale per costruire strade, centri abitati, o per far posto a colture intensive. A causa di questo frazionamento, i ricci non riescono più a orientarsi né a trovare cibo, acqua e partner con cui riprodursi: pensate che spesso, anche solo per trovare qualcosa da mangiare, questi piccoli animali devono percorrere chilometri – e questo li porta a deperirsi e talvolta a morire di stenti.
E poi c’è il clima impazzito, con il vertiginoso aumento delle temperature. Oggi ci sono cucciolate anomale – anche fino a ottobre, a causa dell’estate che si allunga sempre di più: i cuccioli che nascono sono fortemente sottopeso e denutriti. La loro principale fonte di nutrimento, gli insetti, in autunno è molto scarsa e non offre sufficiente sostegno alla crescita dei piccoli, che hanno un tasso di mortalità del 90%.
Che ruolo ha la plastica nella morte dei ricci?
Anche la plastica rappresenta una grandissima minaccia alla sopravvivenza di questi animali. I ricci affamati e denutriti spesso scambiano pezzetti di plastica per cibo, e ovviamente hanno problemi intestinali a causa dell’ingestione della plastica.
Ma il problema non è solo questo: spesso gli animali si infilano nella spazzatura dispersa nell’ambiente e rimangono intrappolati in elastici, pezzi di buste e molto altro. Soprattutto se sono molto giovani, anche se restano intrappolati in pezzi di plastica non muoiono, ma continuano a crescere ingabbiati nella plastica che provoca loro ferite sempre più profonde.
Per esempio, al nostro centro è arrivato un riccio con un elastico piantato nella carne che non gli permetteva più di respirare. Un altro aveva un anello di plastica sotto una spalla e attorno al collo, che gli aveva provocato una terribile infezione.
Come state monitorando lo stato di salute dei ricci?
In collaborazione con la professoressa Maria Teresa Capucchio del dipartimento di Patologia Animale della facoltà veterinaria dell’Università di Torino, stiamo provando ad analizzare le cause di morte dei piccoli ricci. I ricci che arrivano al nostro centro in condizioni già molto critiche e che non riescono a salvarsi vengono mandati ai ricercatori affinché questi indaghino sulle cause di questi decessi.
Stando ai primi risultati raccolti, la maggior parte dei ricci è vittima di incidenti stradali – soprattutto i maschi, che si muovono di più rispetto alle femmine. Altre cause di morte sono le malattie parassitarie legate a un regime alimentare sbagliato: in mancanza di insetti (la loro fonte di nutrimento principale), i ricci finiscono per mangiare le lumache, che dovrebbero costituire appena il 5% della loro dieta e che troppo spesso diventano il loro alimento principale. Le lumache sono piene di parassiti, che trasmettono ai ricci fino a ucciderli.
Come lavora il vostro centro?
Oltre a occuparci materialmente di tutti i ricci feriti e malati che recuperiamo o che ci vengono portati dai cittadini che conoscono la nostra realtà e che hanno a cuore la salute di questi animali, abbiamo una ventina di volontari che sono sempre a disposizione per rispondere, via chat o telefono, a tutti coloro che hanno dubbi e perplessità su come soccorrere i ricci in difficoltà.
Ma non solo. Grazie alla nostra pagina Facebook, che conta migliaia di iscritti, abbiamo creato una solida comunità di persone che hanno a cuore la salute dei ricci e che si impegnano concretamente per salvare questi animali. Un riccio in difficoltà può arrivare al nostro centro da qualsiasi parte d’Italia, grazie alle “staffette” che i singoli cittadini organizzano per permettere all’animale di raggiungere i nostri volontari.
È importante precisare, tuttavia, che i ricci sono animali selvatici e non si possono detenere in casa, come stabilito dalla legge italiana. Se vediamo un riccio in difficoltà, l’unica cosa che possiamo fare è raccoglierlo per portarlo in un centro di soccorso degli animali o in una clinica veterinaria.
C’è forse un “vuoto legislativo” per quello che riguarda la tutela dell’ambiente?
In effetti, c’è una scarsissima consapevolezza del livello di degrado in cui versa l’ambiente in cui viviamo e del futuro che ci aspetta. Si stima che, nei prossimi anni, l’aumento delle temperature renderà il 20% del nostro Pianeta inabitabile, e ciò avrà come conseguenza ondate di migrazioni di umani e animali. Ci aspettano guerre civili, fame, sete, carestie.
Serve una coscienza comune rispetto alla questione ambientale. Le amministrazioni locali si preoccupano di fare piste da sci, autostrade, infrastrutture in cemento, abbattendo boschi e pinete, distruggendo ecosistemi e uccidendo migliaia di animali. La società è tutta basata sul business del diletto – con i risultati drammatici che vediamo.
Cosa possiamo fare se troviamo un riccio in difficoltà?
Se abbiamo un piccolo giardino, lasciamo crocchette o umido per gattini e una ciotola d’acqua per i ricci di passaggio, in modo da fornire loro un punto ristoro in cui rifocillarsi. Evitiamo di lasciare pane e latte, poiché sono alimenti che i ricci non digeriscono e che potrebbero provocare indigestioni.
Lasciamo almeno una parte del nostro giardino incolta, con erba alta e foglie cadute: questo piccolo habitat naturale permetterà ai ricci (e non solo a loro) di trovare un punto di ristoro, ma anche qualcosa da mangiare che sia adatto alla loro alimentazione. Evitiamo in modo categorico di utilizzare erbicidi e altri veleni chimici, ma anche di bruciare le erbacce e di usare attrezzi quali decespugliatore e soffiatore, che distruggono il piccolo ecosistema del prato incolto.
Infine, lasciamo buchi nelle recinsioni per favorire il passaggio dei ricci (basta un piccolo foro di una decina di centimetri di diametro alla base della recinsione), affinché gli animali possano passare e cacciare: questo risolverà – almeno in parte – il problema del frazionamento dell’habitat.
Se troviamo un riccio all’aperto in pieno giorno, dobbiamo sempre soccorrerlo: si tratta di animali notturni, che non dovrebbero stare in giro con la luce del sole. Inoltre, se ci imbattiamo in un riccio per strada, fermiamoci un attimo a controllare: potrebbe trattarsi di un animaletto spaventato o, peggio ancora, che ha subito qualche ferita. In questo caso, prendiamo delicatamente il riccio fra le mani, avvolgendolo in un asciugamano o una sciarpa per non farci male: se si chiude normalmente, vuol dire che non ha subito ferite e che ha solo bisogno di essere riportato nel prato vicino in modo che riprenda il suo cammino; al contrario, se non riesce a chiudersi in modo corretto, potrebbe essere ferito o malato e necessitare di cure veterinarie specifiche.
Intervista di Sabrina Del Fico, AMBIENTE Comunità Sostenibili www.ambiente.news
sul prossimo numero del magazine