Per la finanza europea, l’Europa deve agire più rapidamente e
con più coraggio per passare a un’economia a zero emissioni
prospera ed equa. È necessario un modo diverso di fare politica,
raggiungendo e includendo nuove voci – cittadini, consumatori e
aziende che investono nelle tecnologie pulite– per pianificare una
transizione che ripristini la posizione dell’Europa come leader delle
tecnologie pulite e della decarbonizzazione, mantenendo al contempo
la coesione sociale

A fine settembre scorso, la presidente della Banca centrale europea (BCE), Christine Lagarde, il presidente della Banca europea per gli investimenti (BEI), Werner Hoyer e il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia (AIE), Fatih Birol hanno organizzato una conferenza ad alto livello presso la sede dell’AIE a Parigi su come garantire una transizione energetica ordinata che supporti la competitività dell’Europa e salvaguardi la stabilità finanziaria.

Presenti i ministri dell’Energia e dell’Ambiente o i rappresentanti governativi di vari paesi europei come Belgio, Cecoslovacchia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Polonia, Lituania, Svezia, Turchia, Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Moldavia, Romania, Svezia e i vari rappresentanti delle Banche centrali nazionali, una pattuglia di Commissari UE, gli esponenti OCSE e di multinazionali del settore energetico. Non mi è noto se il governo italiano sia stato invitato o se abbia volontariamente disertato l’appuntamento, mentre tra gli italiani erano presenti, oltre a Mario Draghi, l’ambasciatore italiano presso l’OCSE, il presidente di Assicurazioni Generali e Università Bocconi, la direttrice di Cassa Depositi e Prestiti, i presidenti dei CdA di ENEL e UNICREDIT.

Un decennio fa, sarebbe stato impensabile che queste organizzazioni finanziarie convocassero congiuntamente i ministri europei dell’energia, i principali banchieri e gli amministratori delegati di aziende tecnolologiche per discutere le azioni da intraprendere contro il cambiamento climatico. Ma con gli investimenti globali in tecnologie pulite che supereranno quelli nella produzione fossile nel 2022 e che cresceranno del 30% annuo, l’inevitabilità e l’impatto della transizione pulita sono qualcosa che nessuno può ignorare.

Il mondo della finanza europea ha mostrato la gradita consapevolezza che, per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050, gli investimenti annuali in energia pulita nell’Unione europea devono aumentare in modo significativo entro il 2030. In particolare, la BCE, già dal suo occasional paper del 2021 (“ECB economy-wide climate stress test”, lo trovate qui) sostiene che “gli investimenti in energia pulita riducono significativamente i costi e i rischi a medio termine per le imprese e le famiglie. Ma oltre alla tensione geopolitica e all’alta inflazione, gli investimenti del settore privato devono affrontare una serie di barriere di mercato, tra cui l’incertezza politica e lunghe procedure di autorizzazione che ritardano i progetti, scoraggiano gli investitori e portano a superamenti dei costi per gli sviluppatori”. E l’AIE ha rafforzato e ribadito il concetto: “l’accelerazione degli investimenti nella transizione energetica aiuterà l’Europa a limitare la dipendenza dai principali produttori di combustibili fossili e dai mercati spesso volatili dei combustibili”. E, ancora, per la BEI: “La transizione energetica è un’opportunità per l’Europa e il mondo e questo corrisponde anche ad una sfida, poiché le nostre industrie devono essere rapide e abbracciare il cambiamento, o rischiano di essere lasciate indietro. Solo investimenti massicci e rapidi nelle tecnologie nette zero assicureranno che l’Europa rimanga un luogo attraente per fare affari, un luogo in cui l’innovazione prospera, dove fioriscono nuove idee e si creano ricchezza e posti di lavoro”.

Che siano i vertici delle tre authorities finanziarie europee, ad esortare, i leader dei governi, della finanza e dell’industria a portare a termine la transizione energetica, in maniera giusta, rapida e in grado di mantenere la competitività, benché spinti dalla preoccupazione, e non certo disinteressatamente, della competitività dell’Europa verso Usa e Cina, non può che farmi piacere. A loro si è, ancora più recentemente, aggiunta la raccomandazione dell’European Banking Authority (EBA) di includere i rischi climatici nei modelli interni sul rischio di credito, di mercato e operativo, raccomandando alle società di rating di includerli nelle loro valutazioni. Il che significa che le imprese e società che non inseriranno nelle loro valutazioni i mutamenti climatici, in termini di prevenzione e mitigazione, come peraltro previsto nella normativa ESG (Environmental, Social e Governance), avranno molte più complicazioni nell’accesso al credito o nelle richieste di finanziamento.

Per la finanza europea, l’Europa deve agire più rapidamente e con più coraggio per passare a un’economia a zero emissioni prospera ed equa. Per far sì che ciò diventi realtà è necessario un modo diverso di fare politica. E hanno perfettamente ragione: per troppo tempo gli interventi sulla politica energetica sono stati (e sono) condizionati dalle industrie dominanti. I politici devono raggiungere e includere nuove voci – cittadini, consumatori e aziende che investono nelle tecnologie pulite– per pianificare una transizione che ripristini sì la posizione dell’Europa come leader delle tecnologie pulite e della decarbonizzazione, ma mantenendo al contempo la coesione sociale.

Con buona pace di chi nega l’esistenza dei mutamenti climatici generati dal fattore antropico, chi governa ad alto livello gli utilizzi e la destinazione delle risorse finanziarie, spinge sia su una rapida transizione green che su adeguamento e mitigazione climatica ma, i destinatari di tali appelli, con non casuale riferimento ai decisori politici e ai vertici economici, sapranno ascoltare?

Giuseppe d’Ippolito