Nel capitolo VIII del don Chisciotte della Mancia, il protagonista si lancia in un’impresa epica: la “spaventosa, e mai immaginata prima, avventura dei mulini a vento”, il cui compimento si rivelerà disastroso, nonostante gli avvertimenti del fedele scudiero Sancio Pancia. Ma all’evidenza di una lotta insensata, quella di un assalto – lancia in resta – contro dei mulini a vento, don Chisciotte reagirà negando l’evidenza: non aveva lottato contro dei mulini a vento, ma contro dei giganti che solo grazie alla magia del mago Frestone erano stati mutati in mulini a vento, privandolo della giusta gloria.

Ho pensato a questa morale seguendo le vicende che hanno portato all’approvazione dell’emendamento di Tommaso Foti (Fratelli d’Italia) alla Legge di Stabilità, sull’estensione della caccia al cinghiale durante tutto l’anno nelle aree protette e nelle città. Quello che ha deciso di fare il governo italiano ricorda molto l’impresa di don Chisciotte: parlo non solo dei prevedibili disastrosi risultati che la creazione di “safari urbani” può portare nella nostra società, ma anche delle giustificazioni che susseguiranno. Come per le inutili e dannose “ronde contro gli immigrati” lanciate molti anni fa dalla Lega, la cui efficacia si commenta da sola, questi provvedimenti serviranno solo ad offrire l’immagine di forza e sicurezza contro esseri palesemente più deboli, di cui non si ha il controllo e di cui si negano intelligenza e volontà.

Senza indagare sulle cause, né sulle possibili origini della presenza di questi animali, ma intervenendo per rassicurare l’opinione pubblica, il provvedimento avrà un solo evidente effetto: favorire la lobby dei cacciatori dandole un’immagine di pubblica utilità nel momento in cui sarebbe invece necessario metterla dinanzi alle sue responsabilità per la proliferazione dei cinghiali.  L’esperienza ci insegna che provvedimenti presi senza alcuna analisi, ma sull’onda delle emozioni del momento e guidati dall’obiettivo di aumentare il consenso elettorale, non possono certo sortire effetti positivi. Verrebbe da dire che “il Signore acceca chi vuole perdere…”: se una specie è avvantaggiata da alcune condizioni, non saranno quattro schioppettate a limitarne lo sviluppo, anche se ne condizioneranno in parte i tempi ed i modi.

Perché i cinghiali sono così diffusi sul pianeta? Se ci basiamo sulle descrizioni contenute in qualunque testo di zoologia, il “successo” nella diffusione sul pianeta di questa specie risiede nelle sue caratteristiche specifiche: dieta “onnivora”; buona fertilità femminile (in genere due parti l’anno), che si traduce in alti tassi medi d’incremento annuo della popolazione (fino al 66%); capacità di rispondere alle perturbazioni esterne; capacità di adattamento che permette loro di vivere non solo nei boschi di caducifoglie, ma persino nelle nostre città. Il grande potenziale riproduttivo unito alla mobilità, cioè alla capacità di spostarsi a lungo raggio attraverso il fenomeno della dispersione dei nuclei familiari, consentono al cinghiale di espandere facilmente il proprio areale.

Detta in questo modo, sembra la descrizione delle caratteristiche della specie umana e del successo della sua diffusione sul pianeta; quindi, non dovrebbe meravigliarci se accanto a queste caratteristiche ne  sussistano altre meno evidenti e da noi molto sottovalutate: l’intelligenza, i sentimenti e la volontà, elementi di cui dovremmo tenere conto per animali che sviluppano la socialità della famiglia in modo simile al nostro e che hanno scoperto, grazie anche ai nostri comportamenti, la socialità umana: ne sono curiosi e la trovano accettabile, quindi la praticano.  I cinghiali vivono in famiglia, ove le femmine hanno un ruolo preponderante, soprattutto nell’educazione dei cuccioli. Sono loro che insegnano i percorsi, i luoghi in cui cercare il cibo, sono loro che insegnano come vivere e fanno fare ai piccoli esperienza.  Una famiglia di cinghiali in giro per le strade di un quartiere di Roma nell’ora dell’andata a scuola non dovrebbe meravigliare più di tanto: come i genitori accompagnano la mattina i figli a scuola per far fare loro esperienza e per acquisire la conoscenza necessaria ad affrontare il mondo, così le scrofe accompagnano i cuccioli in giro a fare esperienza in quello che sarà, oltre al bosco, il territorio in cui dovranno imparare ad aggirarsi, senza avere paura delle auto, sapendo dove trovare il cibo, imparando a distinguere tra umani avvicinabili ed umani pericolosi.

Ma cosa ha causato l’aumento delle popolazioni di cinghiali? Gli studiosi identificano tre cause principali che hanno favorito l’espansione dei cinghiali nell’area europea negli ultimi decenni: le abitudini dei cacciatori, il cambiamento dei paesaggi ed il ruolo dell’agricoltura, il cambiamento climatico globale ed il progressivo riscaldamento del pianeta. Tutte cause riconducibili alla struttura socio-antropologica della società industriale che abbiamo costruito negli ultimi secoli. 

I cacciatori, (e con essi il governo che li favorisce) non sanno o non comprendono che è proprio la loro azione a causare l’espansione della popolazione, perché ne hanno favorito la diffusione, soprattutto nei decenni precedenti, con la pratica del ripopolamento e dell’alimentazione forzata, con lo scopo di fare del cinghiale un oggetto di mercato. Ma è lo stesso esercizio della caccia a favorirne l’espansione: sia gli inverni miti e la conseguente maggiore produzione di alimenti data da questo fattore, sia la moderna agricoltura che ha causato l’abbandono delle terre meno produttive per il mercato, hanno creato le condizioni favorevoli all’espansione di questa specie. L’avvio al processo è stato dato dai cacciatori che, uccidendo massivamente gli adulti hanno stimolato il precoce avvio del ciclo dell’estro nelle femmine superstiti, con la conseguenza di avere non più una sola famiglia composta da una femmina feconda e altri soggetti tra cuccioli e giovani adulte in quiescenza, ma di avere molte più famiglie diffuse sul territorio, tutte con femmine feconde, con conseguente aumento della popolazione nei mesi successivi. Paradossalmente, per limitare e contenerne la popolazione, sarebbe più efficace la salvaguardia degli esemplari viventi: se vivono più a lungo le femmine feconde ora esistenti, il numero della popolazione si conterrà molto di più che non cacciandola. Cercare di risolvere un problema affidandosi a chi lo ha creato, non è certo una buona soluzione.

Guardare alla natura come a un potenziale nemico, ostile e da addomesticare, è uno dei topoi del pensiero moderno e positivista che guida la cultura occidentale, sicché la comparsa di esseri diversi viene facilmente ricondotta agli alieni, concepiti negativamente nell’immaginario contemporaneo occidentale. L’altro, specie se non-umano, oggi è visto con diffidenza se non ostilità, a differenza di quanto avveniva nelle altre società ove gli animali erano, in genere, manifestazione del divino e considerati sacri (come lo erano gli ospiti). Possiamo abbandonare i pregiudizi di superiorità della specie umana occidentale e comprendere che non siamo gli unici esseri intelligenti?

Convivere cercando di capire l’altro, animale o vegetale che sia, sarà uno dei mattoni con cui costruire la società del futuro.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti