Come in tutte le creazioni che illusoriamente l’ideologia industriale
ha ritenuto geniali e durature, dopo un po’ di anni fu identificata una
conseguenza letale per i lavoratori delle aziende produttrici, con la
malattia detta asbestosi, causata dalla esposizione prolungata all’amianto
ed alla respirazione delle fibre, diventata in Italia una malattia professionale
sin dal 1943. Ma si ritenne l’ineluttabile prezzo del progresso come lo era la
silicosi per i lavoratori delle miniere

Dal 14 al 16 novembre 2023 si è svolta in Italia la prima Conferenza Internazionale sull’Amianto, nata per iniziativa volontaria e testarda dello Sportello Amianto Nazionale (SAN) e del suo presidente Fabrizio Protti. Con l’alto patrocinio del Parlamento Europeo, la conferenza in tre giorni ha discusso lo stato dell’arte dell’amianto in Italia, l’inquadramento normativo delle nuove direttive europee, le opportunità di bonifica legate al PNRR ed alla green energy. Pochi ora conoscono il prodotto, proibito dal 1992 e la cui principale fabbrica – Eternit a Casale Monferrato – è chiusa dal 1986, molti sanno che è stato vietato ma pochi sanno o si interessano agli effetti mortali che ancora oggi l’amianto produce.

La vicenda “amianto”, dalla sua creazione e produzione, alla scoperta degli effetti deleteri sull’ambiente e sulle persone, sino alla proibizione e alla sua rimozione dai luoghi in cui è stato utilizzato, rappresenta, a mio avviso, la parabola della nostra società industriale. Forse, più della plastica, è l’esemplificazione di come la cultura modernista ed industrialista può confondere le coscienze, far perdere la memoria, oscurare il dolore e giungere al paradosso di vietare un prodotto perché tossico, ma assolvere dalla responsabilità il suo produttore, come è avvenuto con la sentenza della Cassazione del 2016 che ha annullato per prescrizione la condanna del padrone svizzero dell’Eternit Stephan Schmidheiny dopo un processo lungo e sofferto.

Brevettato nell’impero austro-ungarico, introdotto in Italia nel 1906 da un ingegnere genovese, l’amianto è un insieme di minerali (inosilicati e fillosilicati) sottoposti a particolari processi per diventare un prodotto fatto da fibre utilizzato per quasi un secolo per fabbricare il fibrocemento che è un materiale leggero, duttile, resistente alla corrosione, alla temperatura ed all’usura. Non a caso il fibrocemento fatto di amianto fu chiamato Eternit e il sinonimo di amianto è asbesto, parola che in greco significa “perpetuo”.  Il suo utilizzo è stato diffusissimo, soprattutto in edilizia nell’Italia del boom economico, per realizzare lastre di copertura, tubi, cisterne, pannelli antincendio e poi anche: guarnizioni, dischi dei freni, coibentazioni termiche ed acustiche, specie dove vi era poco spazio disponibile (treni, navi, ecc.).

Come in tutte le creazioni che illusoriamente l’ideologia industriale ha ritenuto geniali e durature, dopo un po’ di anni fu identificata una conseguenza letale per i lavoratori delle aziende produttrici, con la malattia detta asbestosi, causata dalla esposizione prolungata al prodotto ed alla respirazione delle fibre, diventata in Italia una malattia professionale sin dal 1943 (L455/43). Ma si ritenne l’ineluttabile prezzo del progresso come lo era la silicosi per i lavoratori delle miniere.

Fu grazie al lavoro tenace ed incessante dei lavoratori e dei sindacati, che dalla fine degli anni Sessanta si è arrivato a scoprire e denunciare un fatto che la logica stessa avrebbe dovuto far prevedere: il composto è “eterno”, ma non i manufatti che noi fabbrichiamo con esso, i quali si sfaldano, si sminuzzano e si diffondono nell’aria circostante. Le morti per cancri polmonari attribuibili all’amianto (il più conosciuto è il mesotelioma) si iniziarono a riscontrare in impiegati delle ditte legate alla filiera (magazzini, trasportatori, ecc), in lavoratori delle aziende che avevano montato le strutture, in persone che vivevano nei paesi e città in cui era presente una fabbrica come a Casale Monferrato (con l’azienda Eternit), ma anche a Bari (dove ne produceva la Fibronit) e poi Taranto, a Broni, Emarese, Balangero, Biancavilla; tutti luoghi in cui, spesso, si muore anche senza che si risalga alla possibile causa: si muore per versamento pleurico o per cancro ai polmoni, malati di quelle malattie senza cause precise che produce l’ambiente in cui viviamo. Nonostante questo “occultamento statistico”, oggi l’amianto causa la morte di oltre 6.000 persone l’anno in Italia (una media ben superiore a quella europea che è di 5.000).

Ma come può un prodotto causare ancora morte ed essere tanto importante per il nostro futuro, quando la principale azienda ha chiuso nel 1986 ed è stato messo al bando nel 1992 per la pericolosità mortale? Qui risulta evidente l’altro aspetto della parabola industrialista: il disinteresse per la salute delle persone e la tutela dell’ambiente, tanto da piegare la giustizia in modo così ipocrita da permettere la condanna, ma assolvere i responsabili per prescrizione.

La creazione del SAN nel 2017 è però un segnale confortante. La società civile si ribella a questo modo di agire, si riorganizza e crea strutture tali da coinvolgere le istituzioni che in questi anni sono stati molto inerti, a partire dalla più inerte di tutte: la struttura di governo e parlamentare che ha creato leggi ma non ha dato fondi, non ha creato strutture di rapido disinquinamento. È veramente importante il lavoro capillare fatto dall’associazione “Sportello Amianto Nazionale” che ha coinvolto sindaci, associazioni locali, singole persone, famiglie dolorosamente danneggiate in una iniziativa internazionale che vuole guardare al futuro e permettere il disinquinamento rapido dei 1.200 milioni di mq di strutture in amianto ancora oggi da rimuovere (quelle sinora censite), a trent’anni dalla proibizione.

Già in questi pochi anni sono stati 250.000 i contatti gestiti dallo sportello che hanno segnalato situazioni, siti, realtà in cui intervenire. Le nuove norme comunitarie e i fondi disponibili potrebbero darci una mano, ma il governo preferirà dare finanziamenti al disinquinamento dell’Italia o preferirà continuare a costruire illusori ponti sullo stretto?

In Italia purtroppo le vittime dell’Eternit non hanno avuto un film come Erin Brockovich, in grado di mettere in evidenza una vicenda di inquinamento dell’acqua del tutto simile a quella dell’amianto per l’aria. Per capire i contorti risvolti giudiziari di tali vicende dovremmo leggere un romanzo come “I segreti di Gray Mountain” di John Grisham, che descrive le vicende da inquinamento delle acque dovute all’estrazione di carbone in una cittadina sui monti Appalachi negli USA. Per me che ho vissuto gli anni del boom economico, assumono un tono sarcastico le parole di una nota canzone di Rino Gaetano, Berta Filava: “e mentre bruciava/urlava e piangeva la gente diceva/anvedi che santo!/ vestito d’amianto”. Con ironia si sfotteva il Bel Paese, luogo in cui si poteva diventare santi per essere stati messi al rogo, ma salvarsi grazie ad un vestito di lana e d’amianto. Oggi sappiamo che la salvezza sarebbe stata solo apparente, perché nel tempo l’amianto l’avrebbe ucciso.
Quello che sembra salvarti, ti uccide lentamente: sembra una ulteriore metafora dell’Italia di oggi.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

ISCRIVITI AD ACU, CLICCA QUI

 Il link al sito dello Sportello Amianto Nazionale lo trovate dopo questo articolo, per contattarlo:
telefono: 06 81153789
mail: info@sportelloamianto.org