Il Glyphosate, meglio conosciuto come “Round up”,
primo nome commerciale, è un prodotto chimico, è
il più potente diserbante totale inventato dall’uomo.
È un aminoacido, analogo alla glicina, fratello malefico
degli aminoacidi che costituiscono la base della vita,
cioè il DNA e oggi consente, di aumentare le dosi
di concime necessario ad avere quantità utili per
l’efficienza produttiva aziendale.

In questi giorni, occultata sui media dalla manovra di bilancio italiana e dai bagliori di guerra che le fanno da sfondo, presso le istituzioni comunitarie è proseguita la discussione sul Glyphosate o glifosato, come viene comunemente scritto. Si tratta della discussione sul rinnovo dell’autorizzazione decennale al suo impiego che scade alla fine di quest’anno e che, se autorizzata dalla UE, oltre a prolungare la vita ad un prodotto fortemente tossico, darà l’ulteriore possibilità di impiego per ricerche ad ampio raggio: ad esempio, per il suo trasferimento ed impiego nella costruzione di piante mutanti, qualunque sia il sistema di trasferimento genetico impiegato per ottenerle.

Che il Glyphosate fosse tossico, lo ha stabilito, anche giudizialmente, l’11 agosto 2018 una sentenza del tribunale di San Francisco, USA, dove l’ex-giardiniere Dewayne Johnson (primo accusatore tra oltre 4.000 cittadini statunitensi che hanno denunciato la Monsanto, compagnia produttrice) è stato risarcito con 289 milioni di dollari (trattabili, secondo le leggi statunitensi, ma comunque non inferiori a decine e decine di milioni di risarcimento) dall’azienda,  acquistata proprio nello stesso anno dall’altra multinazionale chimica, la Bayer, tedesca. La motivazione è di non essere stato informato sui pericoli del suo impego e averlo utilizzato privo di queste informazioni, contraendo il linfoma non Hodgkin (LNH), dopo un banale incidente che gli ha causato il contatto diretto con il prodotto ed il cancro, giunto poi in pochi anni al 4° stadio.

Cos’è il Glyphosate? Meglio conosciuto come “Round up”, primo nome commerciale, è un prodotto chimico, il più potente diserbante totale inventato dall’uomo, brevettato e messo in vendita negli USA dal 1974 ed arrivato alcuni anni dopo in Europa. All’epoca del suo arrivo le qualità, anche tossicologiche, erano notevoli rispetto agli altri antiparassitari usati in agricoltura, perché privo di tossicità acuta (lo si poteva utilizzare senza particolari competenze e non aveva l’immagine del teschio sull’etichetta, come era per tanti altri antiparassitari), facilmente solubile e dilavabile in acqua (cosa che lo rendeva particolarmente efficace nel terreno su bulbi, rizomi, fittoni dopo una pioggia, contrariamente agli altri pesticidi, e, apparentemente, eliminabile dall’organismo umano attraverso i reni), efficace sulla maggior parte delle erbe. Ma le sue qualità erano anche i suoi “difetti”, abilmente nascosti dalla Monsanto che lo produceva. A differenza di tutti gli altri diserbanti precedenti, non era un composto chimico “estraneo” per le cellule o facilmente individuabile (come avveniva per tutti i composti come il DDT, che contenevano il famigerato “anello benzenico”, non degradabile e quindi accumulato negli organismi).

Il Glyphosate è un aminoacido, analogo alla glicina, fratello malefico degli aminoacidi che costituiscono la base della vita, cioè il DNA. Infatti, esso funziona sempre più nel tempo dopo la distribuzione: assorbito dalla pianta, colpisce gli organi riproduttivi, sino a causarne la morte.

Ma non vi è grande differenza tra le cellule animali e quelle vegetali, per cui esso è risultato tossico a causa della sua facile diluizione in acqua, uccidendo organismi acquatici e microflora del suolo. Insomma, per togliere qualche erbaccia (considerata tale solo per questioni di mercato), si distrugge il sistema fondamentale della fertilità e della vita.

Perché un prodotto chimico creato nel 1950, ma dimenticato dagli scopritori svizzeri, e “riscoperto” nel 1970 dalla compagnia americana impegnata a trovare efficaci agenti chimici da utilizzare nella guerra in Vietnam, continua oggi ad avere una tale importanza da difenderne l’impiego? Impiego che nel frattempo è diventato globale, scoprendone tutti gli aspetti negativi attraverso centinaia di studi scientifici. Perché un prodotto capace di entrare nel cuore della “memoria cellulare”, nel deposito delle informazioni della vita, si è rivelato fondamentale per avviare le mutazioni guidate e sotto brevetto. La prima soia transgenica creata aveva indotto nella sua memoria genetica la resistenza alla sostanza, un antidoto che scattava quando ne veniva a contatto. Era il sogno di tutti coloro che amerebbero controllare la vita: la fine della complessità, niente effetti collaterali, resisteva solo la pianta con l’antidoto e tutte le altre sparivano come per miracolo dal campo coltivato. Peccato che la natura sia più sapiente degli apprendisti stregoni e quello che abbiamo indotto con fatica e spese ingenti nella soia (a vantaggio unico della multinazionale del brevetto), le piante spontanee lo  hanno fatto per conto loro, trovando soluzioni di resistenza che in trent’anni di impiego della soia transgenica, hanno trasformato il seme di soia “miracoloso” in un seme che ha problemi come gli altri, in un mercato della soia in crisi per via di tanti altri problemi (alcuni aggravati proprio dall’uso di un prodotto che riduce la fertilità del suolo).

Il Glyphosate oggi è impiegato come il prezzemolo in cucina e consente, attraverso l’apparente “pulizia” del terreno che piace molto a proprietari di giardini e coltivatori, di aumentare le dosi di concime necessario ad avere quantità utili per l’efficienza produttiva aziendale. Si tratta di un circolo vizioso in cui sguazzano coloro i quali hanno ridotto gli agricoltori ad “androidi del mercato”.

All’inizio ho citato due fattori (economia e guerra) che hanno oscurato la discussione sull’autorizzazione da rinnovare nella UE: sono le ragioni che spingono governi e associazioni a sostenere l’impiego del prodotto sino a quando la decenza non lo renderà assolutamente impresentabile, come avvenne per il DDT. La Bayer non vorrà certo perdere i soldi per un investimento fatto negli USA, acquistando la Monsanto che “gli è esplosa in mano”; le associazioni agricole, anche italiane, che hanno sino ad ora costruito e lucrato sul sistema di filiera agroindustriale perderebbero un comodo seggiolino da cui guadagnare con poca fatica; i governi avrebbero un problema enorme, dato che i residui del prodotto sono stati trovati, ad esempio, in quasi tutti i tipi di pasta.

Negare l’autorizzazione all’impiego ora che si profila, in concorrenza alla Russia, un posto importante per la UE nel mercato mondiale del grano con l’affiliazione e poi l’ingresso dell’Ucraina nella stessa UE, sarebbe la condanna per quella classe dirigente comunitaria che ha fatto del mercato e del profitto lo scopo della sua affermazione. Il grano ucraino, certamente con residui, come sarebbe commercializzabile, quando invece la ricostruzione dovrebbe prevedere la massimizzazione della produzione e del profitto? Via dalla retorica della difesa della nazione, queste ragioni pesano molto di più sul sostegno della UE alla guerra in Ucraina.

Il Glyphosate rappresenta bene la pretesa dell’uomo padrone della natura: un prodotto vecchio, da eliminare. I suoi difensori, spesso incerti come i governanti italiani che dietro l’astensione al suo divieto mascherano la voglia di difendere il prodotto senza compromettersi, non riescono a vedere al di là del loro interesse specifico. Fanno la guerra al nuovo che avanza, pensano che sia sempre possibile contrapporsi alla natura, senza prevederne gli effetti.

Noi diciamo no al Glyphosate! Non per principi oscurantistici, ma perché pensiamo che la natura e le sue prorpietà andrebbero studiate per essere assecondate, attraverso l’uso sapiente di una scienza chiamata agroecologia.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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