Circa un anno fa il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ha pubblicato il Sesto Rapporto sullo stato del Capitale Naturale in Italia, a cura del Comitato Capitale Naturale istituito presso il ministero stesso. Il Rapporto rappresenta un documento fondamentale per comprendere la condizione degli ecosistemi italiani e per orientare le politiche pubbliche verso una gestione sostenibile delle risorse naturali. La sua rilevanza non risiede solo nella raccolta sistematica di dati scientifici, ma anche nella capacità di indicare linee di azione concrete, incentrate sulla contabilità ambientale, sul green budgeting e sulla coerenza delle politiche economiche con la tutela della natura. Questo Rapporto si inserisce in un contesto europeo in cui, nel giugno 2024, è stata approvata la Nature Restoration Law (NRL), un regolamento che impone obblighi giuridici vincolanti agli Stati membri in materia di ripristino degli ecosistemi terrestri e marini. Tale normativa richiede che almeno il 20% delle aree degradate sia restaurato entro il 2030 e tutti gli ecosistemi degradati entro il 2050, introducendo un paradigma normativo innovativo in cui la conservazione si affianca all’obbligo di ripristino attivo. Il dialogo tra il Rapporto italiano e la NRL europea apre uno spazio di riflessione critica. Il primo costituisce uno strumento conoscitivo e propositivo, volto a fornire dati e raccomandazioni; il secondo trasforma tali raccomandazioni in obblighi vincolanti, con responsabilità legali e tempi definiti. In quest’articolo mi propongo di analizzare il rapporto tra capitale naturale e restauro ecologico, con uno sguardo critico sulla capacità di tradurre la conoscenza scientifica in azione politica concreta e giuridicamente efficace.
IL CAPITALE NATURALE: CATEGORIA ECONOMICA, ECOLOGICA E GIURIDICA
Il concetto di capitale naturale nasce negli anni Settanta e Ottanta nell’ambito dell’economia ecologica. Herman Daly e Robert Costanza tra gli altri hanno evidenziato che le risorse naturali non devono essere considerate semplicemente come input produttivi, ma come un capitale in grado di generare flussi di servizi essenziali al benessere umano e al funzionamento dei sistemi economici. In questa prospettiva, foreste, suoli, acque, biodiversità e aria costituiscono non solo un patrimonio biologico, ma anche un “capitale” in grado di fornire benefici diretti e indiretti, dai servizi di impollinazione alla regolazione climatica, dal mantenimento della fertilità dei suoli alla depurazione delle acque.
L’attenzione internazionale al capitale naturale è cresciuta con iniziative come il Millennium Ecosystem Assessment (2005) e il progetto TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity), che hanno cercato di tradurre in termini economici i servizi ecosistemici. L’obiettivo è duplice: rendere visibile il valore della natura nelle decisioni politiche e incoraggiare investimenti nella conservazione e nel restauro degli ecosistemi.
Tuttavia, questo approccio ha incontrato critiche significative. La riduzione del valore della natura a parametri economici rischia di occultare la complessità ecologica e il valore intrinseco degli ecosistemi. La mercificazione può inoltre favorire pratiche di greenwashing, in cui la contabilizzazione diventa fine a se stessa, senza tradursi in interventi concreti sul territorio.
In Italia, il capitale naturale ha iniziato a entrare nel dibattito giuridico e politico attraverso la legge 221/2015, che ha istituito il Comitato per il Capitale Naturale e la redazione annuale del Rapporto.
COS’È IL COMITATO PER IL CAPITALE NATURALE
Il Comitato Capitale Naturale è un organismo istituito in Italia con l’obiettivo di monitorare, analizzare e valorizzare il capitale naturale del Paese. È stato previsto dalla legge 221/2015 (“Disposizioni per la tutela del capitale naturale e la promozione dello sviluppo sostenibile”), che ha definito strumenti per integrare la sostenibilità ambientale nella pianificazione economica e nella gestione delle risorse naturali. Le funzioni principali del Comitato Capitale Naturale sono: redazione del Rapporto annuale sullo stato del capitale naturale; analizzare lo stato degli ecosistemi italiani e dei servizi ecosistemici che essi forniscono; identificare aree a rischio, pressioni ambientali e trend di degrado; formulare raccomandazioni operative per la tutela e il restauro degli ecosistemi.
Il Comitato è formato da esperti in ecologia, economia ambientale, pianificazione territoriale, statistica e diritto ambientale, provenienti sia da enti pubblici che dal mondo accademico e scientifico. Il Comitato rappresenta il punto di raccordo tra la scienza, la politica e l’economia: traduce le conoscenze scientifiche sul capitale naturale in strumenti utili per le decisioni pubbliche, rendendo visibile il valore economico e sociale degli ecosistemi. La pubblicazione dei rapporti annuali, come il Sesto Rapporto del 2024, costituisce un riferimento fondamentale per capire lo stato della biodiversità, dei servizi ecosistemici e delle pressioni antropiche in Italia.
La riforma costituzionale del 2022 ha ulteriormente rafforzato la rilevanza giuridica del concetto, introducendo la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi tra i principi fondamentali della Repubblica. Parallelamente, a livello internazionale, strumenti come il SEEA (System of Environmental-Economic Accounting) dell’ONU e i regolamenti europei sulla contabilità ambientale hanno favorito l’integrazione del capitale naturale nella pianificazione e nella rendicontazione economica.
IL SESTO RAPPORTO SUL CAPITALE NATURALE IN ITALIA (2024)
Il Sesto Rapporto, pubblicato circa un anno fa, fornisce un quadro aggiornato della condizione degli ecosistemi italiani. I dati indicano che 58 ecosistemi su 85 analizzati sono in stato critico, in pericolo o vulnerabile. Circa il 19,6% del territorio nazionale è sottoposto a pressioni ambientali intense, corrispondenti al 43% delle superfici naturali o seminaturali.
Il Rapporto non si limita a descrivere lo stato degli ecosistemi, ma propone linee guida operative:
- sviluppare sistemi di contabilità ambientale integrati con i conti economici;
- adottare strumenti di green budgeting per orientare le scelte di spesa pubblica;
- estendere il principio Do No Significant Harm (DNSH) a tutte le politiche nazionali;
- rafforzare la governance tramite una cabina di regia nazionale per la coerenza delle politiche ambientali.
Nonostante l’ampiezza dei dati e delle raccomandazioni, il Rapporto ha limiti evidenti. La sua natura consultiva lo rende dipendente dalla volontà politica di attuare le raccomandazioni. Inoltre, la frammentazione delle politiche settoriali e la scarsità di dati aggiornati possono ridurre l’efficacia complessiva delle proposte. Il rischio è di produrre un’analisi dettagliata senza tradurla in interventi concreti sul territorio, mantenendo il capitale naturale in uno stato di vulnerabilità crescente.
LA NATURE RESTORATION LAW (2024): CONTENUTI E INNOVAZIONI
La Nature Restoration Law, approvata dall’Unione Europea nel giugno 2024, introduce obblighi giuridici vincolanti per il restauro degli ecosistemi. Gli Stati membri sono tenuti a predisporre Piani Nazionali di Restauro, con target misurabili e scadenze precise. Gli obiettivi principali includono:
- il ripristino di almeno il 20% delle aree degradate entro il 2030;
- il recupero progressivo di tutti gli ecosistemi degradati entro il 2050;
- specifici target per ecosistemi agricoli, forestali, marini e urbani;
- il principio di non regressione, che vieta di ridurre il livello di tutela già raggiunto.
La NRL rappresenta un cambiamento di paradigma: dalla semplice conservazione degli ecosistemi alla loro rigenerazione attiva. A differenza del Rapporto italiano, che ha natura conoscitiva e propositiva, la NRL impone obblighi cogenti con responsabilità legali e possibili sanzioni in caso di mancato adempimento. In questo senso, il regolamento europeo costituisce una leva potente per trasformare analisi e raccomandazioni in politiche concrete e verificabili.
DIALOGO TRA IL RAPPORTO ITALIANO E LA NRL
Il confronto tra il Sesto Rapporto e la NRL evidenzia convergenze e divergenze significative. Entrambi riconoscono il capitale naturale come elemento centrale per il benessere umano, per l’economia e per la sicurezza climatica. Entrambi sottolineano la necessità di dati affidabili, di indicatori coerenti e di sistemi di monitoraggio. Entrambi riconoscono l’urgenza di rafforzare la governance e la coerenza tra politiche settoriali.
Le divergenze riguardano la natura giuridica e l’efficacia degli strumenti. Il Rapporto è consultivo, non vincolante, e la sua efficacia dipende dall’attuazione volontaria delle raccomandazioni. La NRL è vincolante, stabilisce obblighi legali chiari e introduce meccanismi di controllo e responsabilità. La NRL trasforma la logica conoscitiva del Rapporto in obblighi concreti, imponendo scadenze temporali e strumenti di monitoraggio efficaci.
Tuttavia, entrambi condividono criticità comuni: la scarsità di dati aggiornati, la frammentazione istituzionale e il rischio di greenwashing. La NRL, pur imponendo obblighi vincolanti, dovrà confrontarsi con la complessità dell’implementazione sul territorio nazionale, dove la governance ambientale è spesso frammentata e i dati sui singoli ecosistemi incompleti o disomogenei.
STIME ECONOMICHE DEL CAPITALE NATURALE IN ITALIA
Il capitale naturale italiano, pur non essendo ancora pienamente integrato nei conti nazionali ufficiali, esercita un’influenza significativa sull’economia del Paese. Stime recenti suggeriscono che i servizi ecosistemici forniti dagli ecosistemi italiani abbiano un valore economico annuale compreso tra 32 e 71 miliardi di euro, corrispondenti a circa l’1,8%–3,9% del PIL nazionale.
Il Comitato Capitale Naturale stima che il valore economico dei servizi ecosistemici in Italia in oltre 32 miliardi di euro, pari all’1,84% del PIL nazionale.
Altri studi, utilizzando il metodo del “benefit transfer“, hanno stimato che gli ecosistemi italiani erogano benefici pari a circa 71,3 miliardi di euro all’anno.
IMPLICAZIONI ECONOMICHE E AMBIENTALI
Queste stime evidenziano l’importanza del capitale naturale per l’economia italiana, sottolineando la necessità di politiche efficaci per la sua conservazione e valorizzazione. Investimenti nella protezione e nel ripristino degli ecosistemi possono generare benefici economici superiori ai costi sostenuti, come evidenziato da analisi che mostrano un rapporto vantaggioso tra costi e benefici.
E, sebbene il valore del capitale naturale non sia completamente integrato nei conti nazionali, le stime disponibili indicano un contributo significativo all’economia italiana, pari a una percentuale rilevante del PIL. Questa consapevolezza dovrebbe orientare le politiche pubbliche verso una maggiore attenzione alla conservazione e valorizzazione degli ecosistemi.
PERCENTUALE DI IMPRESE ITALIANE CHE DIPENDONO DAI SERVIZI ECOSISTEMICI
In Italia, una percentuale significativa di imprese dipende dai servizi ecosistemici, sebbene le stime precise varino a seconda dei settori considerati e dei metodi di valutazione utilizzati.
Secondo un rapporto di Etifor supportato dall’ASviS, le aziende italiane dipendono fortemente da servizi ecosistemici come acqua pulita, impollinazione e regolazione climatica. Tuttavia, solo il 25% delle imprese valuta l’impatto della propria attività sulla biodiversità, sebbene il 48% preveda di integrarlo nelle proprie strategie nei prossimi cinque anni.
A livello europeo, più del 70% delle imprese dipende dalla biodiversità e dai servizi ecosistemici, evidenziando l’importanza di questi servizi per le attività economiche.
SETTORI MAGGIORMENTE DIPENDENTI DAI SERVIZI ECOSISTEMICI
Alcuni settori economici italiani sono particolarmente dipendenti dai servizi ecosistemici:
- Agricoltura e silvicoltura: dipendono da servizi come la fertilità del suolo, l’impollinazione e la regolazione del clima.
- Pesca: necessita di ecosistemi acquatici sani per la produzione ittica.
- Turismo: beneficia di paesaggi naturali e biodiversità, con un forte impatto economico in regioni come la Toscana, la Liguria e la Campania.
- Settore idrico e energetico: dipende dalla disponibilità e qualità delle risorse idriche per la produzione di energia e per l’approvvigionamento di acqua potabile.
PROSPETTIVE DI ATTUAZIONE E SFIDE PER L’ITALIA
L’Italia deve quindi tradurre le raccomandazioni del Rapporto in politiche operative coerenti con gli obblighi della NRL. Ciò richiede l’elaborazione di un Piano Nazionale di Restauro che identifichi obiettivi chiari, misurabili e temporalmente definiti, e strumenti concreti di attuazione.
Le principali aree di intervento riguardano la tutela dei suoli agricoli, la gestione sostenibile delle foreste, la protezione e il ripristino delle zone umide e la rigenerazione urbana con spazi verdi e infrastrutture ecologiche. Questi interventi devono essere supportati da risorse finanziarie adeguate, incentivi fiscali e politiche di responsabilizzazione delle amministrazioni locali e degli operatori economici.
La partecipazione delle comunità locali sarà fondamentale per garantire l’accettazione sociale dei piani e prevenire approcci esclusivamente tecnocratici. L’attuazione efficace della NRL potrebbe inoltre esporre l’Italia a contenziosi in caso di inadempimento, con conseguenze legali e finanziarie significative.
La posta in gioco, tuttavia, è superiore alla sanzione giuridica: la sicurezza idrogeologica, la resilienza climatica, la stabilità economica e il benessere sociale dipendono dalla capacità di preservare e ripristinare il capitale naturale.
CONCLUSIONE
Il Sesto Rapporto sul Capitale Naturale e la Nature Restoration Law non devono essere letti come strumenti separati, ma come parti di un unico percorso. Il Rapporto fotografa la realtà nazionale e propone linee di intervento; la NRL impone obblighi giuridici vincolanti e scadenze precise per tradurre queste indicazioni in azione concreta.
La sfida è culturale e politica. Riconoscere la natura come capitale significa superare la visione tradizionale che la considera solo una risorsa da sfruttare, e comprendere che la sopravvivenza economica e sociale dipende dalla salute degli ecosistemi. La NRL obbliga a passare dalla contabilità al restauro attivo.
Per l’Italia, fragile sul piano idrogeologico e climatico, questa rappresenta un’opportunità storica: costruire un modello di sviluppo capace di garantire sicurezza, benessere e giustizia ecologica alle generazioni future. Il capitale naturale non è un indicatore da inserire nei bilanci, ma la base stessa della vita collettiva, e la capacità di preservarlo e restaurarlo sarà determinante per la resilienza del Paese.
Giuseppe d’Ippolito


