L’estate del 2025 ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva degli europei, e in particolare degli italiani. Non si è trattato di un semplice “caldo record”, come i titoli dei giornali hanno spesso sintetizzato. È stata piuttosto la stagione in cui il cambiamento climatico ha mostrato senza più filtri la sua faccia più dura: un mosaico di eventi estremi — ondate di calore implacabili, incendi devastanti, siccità prolungate e inondazioni improvvise — che hanno colpito in rapida successione, travolgendo comunità, economie e territori. A dieci anni dalla firma dell’Accordo di Parigi del 2015, che prometteva di contenere l’aumento medio delle temperature globali entro 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, il bilancio è sconfortante. Secondo i dati del Copernicus Climate Change Service, nel 2024 e nei primi mesi del 2025 la soglia di 1,5 °C è stata superata stabilmente su base mensile, trasformando ciò che doveva essere un “limite da non valicare” in una condizione ormai ordinaria. Non si tratta di un dettaglio statistico: ogni decimo di grado in più significa più vite umane perse, più raccolti distrutti, più territori devastati. Il Mediterraneo, da tempo identificato dagli scienziati come uno degli hotspot climatici globali, è oggi il laboratorio tragico di questa accelerazione. In Spagna e Portogallo, le temperature hanno superato i 45 °C già a giugno, mentre nel Regno Unito e in Irlanda si sono registrate le estati più calde da quando esistono misurazioni sistematiche. Nel cuore dell’Europa, città come Parigi, Berlino e Milano hanno conosciuto settimane consecutive di notti tropicali, con effetti devastanti sulla salute dei più vulnerabili: anziani, bambini, persone con malattie croniche. In Italia, la crisi si è manifestata in tutta la sua complessità. La Pianura Padana ha visto ridursi drasticamente la portata del Po, compromettendo l’irrigazione di milioni di ettari coltivati. Al Sud, Sicilia e Puglia hanno sperimentato il rischio concreto della desertificazione, mentre in Sardegna e Calabria interi territori sono stati devastati dagli incendi. A Roma, Firenze e Milano i pronto soccorso hanno registrato un’impennata di accessi per colpi di calore, mentre l’infrastruttura elettrica è stata messa a dura prova dall’uso intensivo dei condizionatori, con black-out che hanno aggravato la situazione. Il conto economico e sociale è stato pesantissimo: secondo Coldiretti, l’agricoltura italiana ha perso oltre un miliardo e mezzo di euro solo tra giugno e agosto; secondo le analisi epidemiologiche, migliaia di morti in eccesso sono attribuibili direttamente alle ondate di calore. Nel frattempo, gli incendi nel Mediterraneo hanno bruciato oltre un milione di ettari, con evacuazioni di massa in Grecia, Cipro e Turchia. Ma al di là delle cifre, l’estate 2025 ha reso evidente la frattura tra promesse e realtà. Da un lato i proclami delle conferenze internazionali, le road map europee per la neutralità climatica, i piani nazionali di adattamento. Dall’altro, un continente che brucia, suda e si prosciuga sotto l’impatto di un clima ormai fuori controllo. È in questa distanza tra la retorica e l’azione che si consuma la vera crisi: quella della fiducia collettiva nella capacità delle istituzioni di proteggere le persone. L’estate 2025, dunque, non è stata solo un episodio meteorologico estremo, ma un monito storico: ci dice che il tempo delle mezze misure è finito, che i limiti fissati a Parigi non sono più obiettivi da inseguire ma soglie già oltrepassate, e che il futuro del Mediterraneo — e dell’Italia in particolare — dipende dalla rapidità e dalla radicalità con cui sapremo agire oggi.
L’ estate del 2025 verrà ricordata come una stagione spartiacque per l’Europa e, in particolare, per l’Italia. Non si è trattato soltanto di un periodo più caldo della norma, ma di una concatenazione di eventi meteorologici estremi — ondate di calore, incendi, siccità e inondazioni localizzate — che hanno reso evidente come l’obiettivo dell’Accordo di Parigi del 2015 di contenere il riscaldamento globale entro 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali sia ormai fuori portata.
Secondo il Copernicus Climate Change Service, diversi mesi tra il 2024 e il 2025 hanno già superato stabilmente questa soglia. Per l’Europa mediterranea, e quindi per l’Italia, ciò significa vivere su una vera e propria linea del fronte climatico, con impatti che si manifestano nella salute delle persone, nella sicurezza delle infrastrutture e nella tenuta delle economie locali.

LE ONDATE DI CALORE PIÙ INTENSE MAI REGISTRATE
Il segnale più immediato e drammatico dell’estate 2025 è stato il caldo estremo. La prima grande ondata ha colpito l’Europa occidentale già a fine maggio, anticipando di settimane l’inizio dell’estate meteorologica. Il 29 giugno, in Portogallo, nella città di Mora, sono stati registrati 46,6 °C, il valore più alto mai misurato in quel periodo dell’anno.
Secondo uno studio del World Weather Attribution, condotto in tempi record, le temperature estreme registrate tra il 23 giugno e il 2 luglio hanno causato almeno 2.300 decessi in eccesso in 12 città europee analizzate. In media, il 65% di queste morti è stato attribuito direttamente al cambiamento climatico. A Londra, per esempio, si sono registrati circa 260 decessi in eccesso, di cui 170 riconducibili al riscaldamento globale.
In Italia, le città della Pianura Padana hanno sperimentato temperature record con punte oltre i 42 °C a Bologna e Firenze, mentre Milano ha vissuto la sua sequenza più lunga di notti tropicali (temperature minime superiori ai 20 °C). L’impatto sanitario è stato grave: le strutture ospedaliere hanno registrato un aumento delle ospedalizzazioni per colpi di calore e disidratazione, con un picco del 25% nei pronto soccorso di Emilia-Romagna e Lombardia.
Il Met Office britannico ha certificato che l’estate 2025 è stata la più calda mai registrata nel Regno Unito, con una temperatura media di 16,1 °C, ben 1,51 °C sopra la media storica. Secondo i ricercatori, eventi simili sono ormai 70 volte più probabili a causa del riscaldamento globale..
In Irlanda, Met Éireann ha dichiarato l’estate più calda dal 1900, con notti insolitamente miti e siccità estese che hanno reso la vegetazione particolarmente vulnerabile agli incendi.
INCENDI DEVASTANTI NEL MEDITERRANEO
Il caldo eccezionale si è tradotto in incendi di proporzioni senza precedenti. Secondo il World Weather Attribution, i roghi che hanno devastato Turchia, Grecia e Cipro sono stati il 22% più intensi del normale a causa della combinazione tra caldo, venti forti e deficit di precipitazioni invernali.
- In Cipro, tra il 23 e il 24 luglio, gli incendi nella regione di Limassol hanno distrutto oltre 130 km² di territorio, causando due vittime, l’evacuazione di 16 comunità e la distruzione di più di 500 edifici.
- In Turchia, nella provincia di İzmir, le fiamme hanno bruciato per settimane, con 50.000 evacuati e danni anche all’aeroporto internazionale Adnan Menderes.
- In Grecia, gli incendi hanno colpito duramente il Peloponneso e le isole egee, mettendo in ginocchio il settore turistico nel pieno della stagione estiva.
Nel complesso, l’estate 2025 è stata la più grave mai registrata per gli incendi in Europa, con oltre 1 milione di ettari bruciati, 20 vittime e 80.000 persone evacuate.
LA CRISI IDRICA IN ITALIA E L’IMPATTO SULL’AGRICOLTURA
In Italia, l’emergenza più grave si è manifestata sotto forma di siccità cronica. Il bacino del Po, già in sofferenza nel 2022, ha registrato livelli idrici ai minimi storici. La portata del fiume, secondo l’Autorità di bacino, è scesa del 40% rispetto alla media stagionale, compromettendo l’irrigazione di milioni di ettari di terreni agricoli.
La Coldiretti ha stimato perdite superiori a 1,5 miliardi di euro per il comparto agroalimentare, con cali del 20–40% nella produzione di cereali, riso e mais. La scarsità d’acqua ha colpito anche la zootecnia, con allevamenti costretti a ridurre le mandrie per mancanza di foraggio e acqua.
La crisi idrica non ha solo un impatto economico: mette a rischio la sicurezza alimentare del Paese e accelera i processi di desertificazione già visibili in Sicilia, Sardegna e Puglia.
SALUTE PUBBLICA E INFRASTRUTTURE SOTTO STRESS
Le conseguenze sanitarie del caldo estremo sono sempre più gravi. L’European Climate and Health Observatory ricorda che tra il 1980 e il 2023 il 95% delle morti legate a eventi climatici in Europa è stato causato dalle ondate di calore. Solo nel 2022 si stimarono tra 60.000 e 70.000 vittime. Nel 2025 il trend si conferma, con numeri in crescita anche per effetto dell’invecchiamento della popolazione e dell’urbanizzazione.
Gli ospedali italiani hanno riportato aumenti delle ospedalizzazioni fino al 30% nei giorni più caldi, con decessi soprattutto tra anziani e persone fragili. A Milano, Roma e Napoli, le autorità sanitarie hanno emesso più volte allerta di livello rosso.
Le infrastrutture hanno subito danni diffusi: binari ferroviari deformati, blackout elettrici per sovraccarico dei sistemi di condizionamento, riduzione della produttività nelle fabbriche e difficoltà logistiche legate al trasporto fluviale e su gomma.
L’ITALIA TRA RETORICA E AZIONE
L’estate 2025 dimostra in modo inconfutabile che il riscaldamento globale non è più una minaccia futura ma una realtà presente. Il superamento della soglia di 1,5 °C fissata a Parigi non è solo un indicatore statistico: si traduce in vite umane perse, raccolti distrutti, territori devastati.
Per l’Italia, situata in un hotspot climatico globale come il Mediterraneo, la sfida è duplice: adottare misure di adattamento rapido (piani idrici, difesa dagli incendi, città più resilienti) e al tempo stesso accelerare la transizione energetica, senza cedere a compromessi che rischiano di rimandare ancora l’azione.
Il 2025 non è un anno qualunque: potrebbe essere ricordato come il momento in cui l’Europa e l’Italia hanno compreso di aver oltrepassato il punto di non ritorno climatico, oppure come l’ultima occasione per reagire prima che le conseguenze diventino irreversibili.
Giuseppe d’Ippolito


