Il Rapporto ISTAT SDGs 2025 – Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia, presentato il 10 luglio 2025, rappresenta l’ottava edizione dell’analisi ufficiale sul contributo italiano agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Con 320 misure statistiche riferite a 148 indicatori ONU, il documento offre una panoramica dettagliata sull’evoluzione – o involuzione – del nostro Paese verso i 17 obiettivi fissati per il 2030. Ma ciò che emerge non è un semplice quadro tecnico: è la conferma di un drammatico ritardo strutturale. Nonostante alcuni segnali positivi in settori come l’energia rinnovabile o la raccolta differenziata, il Rapporto segnala che oltre il 25% delle misure ha mostrato un peggioramento nel breve periodo, e ben il 20% è in stagnazione sia nel breve che nel lungo termine. Più della metà degli indicatori resta inchiodata a livelli insoddisfacenti, soprattutto in ambiti chiave come la parità di genere, la giustizia sociale, la tutela della biodiversità, l’equità territoriale e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Nel decimo anno dall’adozione dell’Agenda 2030, l’Italia si presenta con una traiettoria troppo lenta, troppo disomogenea e sempre più distante dal traguardo. Questo articolo vuole essere una lettura critica – e senza sconti – del contenuto del Rapporto, e insieme un atto d’accusa nei confronti di una politica pubblica incapace di trattare gli SDGs come priorità strategica, relegandoli a cornice retorica, utile solo per presentazioni e bilanci sociali. Il tempo per agire non è scaduto. Ma continuare a ignorare questi dati equivale a scegliere deliberatamente il fallimento.

 

 

L’ottavo Rapporto ISTAT sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), pubblicato il 10 di questo mese , è un documento che dovrebbe scuotere le coscienze. E invece scivola via nel dibattito pubblico, come se si trattasse dell’ennesima indagine statistica da archiviare. Ma ciò che emerge non è solo una fotografia aggiornata dello stato di avanzamento dell’Italia verso l’Agenda 2030: è il referto clinico di un Paese in stallo, incapace di assumersi la responsabilità del proprio futuro.
Il dato più allarmante non è solo che oltre il 25% degli indicatori peggiora nel breve periodo, ma che la stagnazione è diventata la norma. Il 20% delle misure non mostra alcun progresso né in un anno né in un decennio. In pratica, un quinto delle aree cruciali per il benessere collettivo – salute, giustizia, istruzione, ambiente, parità – è in coma politico. L’Agenda Onu 2030 non è più una promessa da mantenere, ma un’illusione persa nel linguaggio vuoto delle dichiarazioni ufficiali.

La tecnologia delle energie rinnovabili è al centro dell'attenzione in un paesaggio mattutino mozzafiato. Eleganti pannelli solari si estendono in primo piano, le cui superfici brillano dei riflessi ambrati del sole nascente. Maestose turbine eoliche si stagliano contro un cielo spettacolare dipinto di nuvole vaporose, mentre la delicata foschia mattutina crea strati di profondità e atmosfera. La scena cattura perfettamente l'armonia tra tecnologie verdi all'avanguardia e bellezza naturale, suggerendo un futuro promettente alimentato da energia pulita.ANDAMENTO GENERALE IN ITALIA
Oltre il 50 % delle misure mostra miglioramenti nel breve periodo (ultimo anno), mentre oltre il 60 % ne mostrano in decennio. Tuttavia: oltre il 25 % delle misure peggiora nel breve periodo. Circa il 20 % risulta stagnante, sia a breve sia a lungo termine.

OBIETTIVI VIRTUOSI VS OBIETTIVI IN DIFFICOLTÀ
Buone performance:
Goal 7 (Energia pulita): +19,6 % da fonti rinnovabili (2023), +66 % di raccolta differenziata.
Goal 8 (Lavoro e crescita), Goal 12 (Consumo/produzione responsabili) e Goal 17 (Partnership): in prevalenza indicatori in miglioramento.

Obiettivi critici:
Goal 6 (Acqua pulita): inefficienza nella rete (57,6 %) e razionamenti in 14 città.
Goal 15 (Vita sulla terra) e Goal 16 (Pace, giustizia, istituzioni): stagnazione o peggioramento, con indicatori quali tassi di criminalità, sovraffollamento carceri, fiducia nelle istituzioni e disagi sociali.
Goal 5 (Parità di genere): pur alcuni progressi (servizi anti-violenza), persistono disuguaglianze salariali, occupazionali, stalking, violenza domestica

DISPARITÀ TERRITORIALI
Polarizzazione Nord–Sud marcata:
Nord: circa 51 % delle misure sopra la media nazionale.
Mezzogiorno: circa 52 % sotto la media.
Differenze accentuate su povertà, istruzione, lavoro e infrastrutture idriche e sanitarie.

FOCUS SU SALUTE (GOAL 3)
Mortalità prematura in diminuzione e mortalità stradale in calo.
Speranza di vita totale sale (83,4 anni nel 2024), ma la speranza di vita in buona salute scende a 58,1 anni (–1 anno).
Persistono disuguaglianze territoriali: Sud e isole sotto la media.

RISCHI E AVVERTIMENTI
L’ONU ha definito lo scenario SDGs globale “un campanello d’allarme”: senza interventi straordinari, nel 2030 si rischia il fallimento su larga scala.
L’Italia sembra trovarsi in una “fase di tagliando”: progressi reali, ma ancora insufficienti, specie in aree ambientali, di giustizia, parità di genere e nelle disparità socio-territoriali.

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  1. Accelerare la transizione ecologica e la decarbonizzazione.
  2. Ridurre forti disparità territoriali e sociali.
  3. Potenziare istruzione, formazione e innovazione.
  4. Promuovere parità di genere e servizi di supporto.
  5. Rafforzare governance, giustizia, fiducia istituzionale

OBIETTIVI FALLITI: L’ITALIA DEI PARADOSSI
Ma quando si parla di “progressi”, sono solo in realtà briciole mascherate da successi. L’energia rinnovabile cresce, ma con un sistema elettrico nazionale ancora prigioniero di ritardi infrastrutturali e autorizzativi. La raccolta differenziata migliora, ma il ciclo integrato dei rifiuti resta fragile, con impianti carenti e costi in crescita. Il Goal 7 (energia pulita) non basta a coprire l’imbarazzante immobilismo del Goal 13 (lotta al cambiamento climatico).
La parità di genere (Goal 5) è un fallimento conclamato. Nonostante alcune luci nei servizi antiviolenza, persistono divari salariali, tassi di occupazione femminile inferiori alla media europea, abusi, stalking, violenza domestica in aumento. Il patriarcato istituzionale è ancora saldo, mentre le strategie di contrasto restano parziali, frammentarie e poco finanziate.
E che dire del Goal 15, “Vita sulla Terra? Il Paese europeo con la più alta biodiversità continua a perdere habitat, a cementificare coste, a lasciare che specie in pericolo (come il lupo o l’orso marsicano) vengano trattate come nemici pubblici. Nessuna legge sul consumo di suolo è stata varata, nessuna vera strategia per la rigenerazione ecologica è mai entrata nel cuore delle politiche nazionali.

NORD E SUD: DUE ITALIE, STESSO ABBANDONO
Il rapporto mostra anche che la frattura Nord–Sud è ormai strutturale. Le regioni del Mezzogiorno sono sotto la media in oltre la metà degli indicatori: povertà, istruzione, infrastrutture idriche, sanità. La retorica sulla coesione si scontra con un dato: l’Agenda 2030 in Italia è territorialmente inapplicata, vittima di un federalismo disfunzionale e di un’assenza cronica di politiche redistributive.
Eppure, mai come oggi ci sarebbe bisogno di una visione nazionale, forte e inclusiva. Ma il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur citando gli SDGs, è stato piegato alle urgenze economiche e alla logica della spesa, più che del cambiamento. Una montagna di miliardi che non si è tradotta in un’effettiva transizione né ecologica né sociale.

POLITICA MIOPE, ISTITUZIONI SILENTI
Il vero scandalo è politico. In Parlamento, l’Agenda 2030 è usata come slogan, non come orizzonte programmatico. I governi si sono succeduti rimuovendo sistematicamente ogni priorità ambientale o sociale quando questa entrava in conflitto con gli interessi di breve periodo. La decarbonizzazione è stata rallentata, le riforme sulla giustizia ambientale accantonate, i piani di adattamento ai cambiamenti climatici dimenticati nei cassetti.
Le istituzioni, dal canto loro, producono dati, ma non indignazione. L’ISTAT compie un lavoro prezioso e rigoroso, ma i suoi rapporti cadono nel vuoto di una comunicazione pubblica incapace di tradurre numeri in azione. L’Italia non manca solo gli obiettivi: manca la consapevolezza di quanto stia tradendo un’intera generazione.

UN FALLIMENTO ETICO
Il Rapporto SDGs 2025, al netto delle sue misure tecniche, è un atto d’accusa implicito: il Paese sta mancando un appuntamento cruciale con la propria coscienza storica. L’Agenda 2030 non è un orpello per convegni, ma un patto universale per costruire un mondo più giusto, equo e vivibile. L’Italia lo ha firmato nel 2015. Dieci anni dopo, lo ha disatteso su quasi tutti i fronti.
Non basteranno più piani settoriali, né misure cosmetiche. Serve una radicale inversione di rotta. Oppure, tra cinque anni, non parleremo più di “ritardo”, ma di resa.

Giuseppe d’Ippolito

ANTICIPAZIONE
Nelle ore in cui scrivevo quest’articolo mi giungevano due belle notizie: la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione civile (ordinanza 20381 pubblicata il 21 scorso) in cui si afferma che i giudici italiani hanno piena competenza riguardo i danni derivanti dal cambiamento climatico, rigettando ogni ipotesi di carenza di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana, con la conseguenza che le cause climatiche nel nostro Paese sono lecite e ammissibili anche in termini di condanna delle aziende fossili, per limitare i volumi delle emissioni climalteranti in atmosfera. E poi, lo storico e attesissimo parere della Corte Internazionale di Giustizia (dopo sei anni dalla richiesta dell’ONU) secondo cui il riscaldamento globale viola diritti umani, influenzando così la giustizia climatica a livello mondiale e stabilendo un’interpretazione del diritto internazionale sulla questione dei cambiamenti climatici.
Dell’avvio di entrambi i procedimenti avevamo già dato notizia, prossimamente commenterò gli esiti dei giudizi.
(GdI)