L’errore di considerare i consumi indotti dal timore delle
catastrofi, è credere che le regole del consumo siano
sempre le stesse in ogni tempo e dappertutto. Invece
i consumatori cambiano pelle e sempre più, possono
scegliere di diventare produttori di ciò che consumano.
Il caso eclatante, solo all’inizio del suo sviluppo, è quello
del “prosumer” di energia

Mi ha colpito alcuni giorni fa il titolo di un articolo da un quotidiano: “Chi ha paura è il consumatore ideale”. Un’affermazione perentoria a cui seguiva un discorso molto opinabile, per non dire scorretto, che mirava a identificare le capacità di leggere e capire la realtà, manipolandola a proprio uso e consumo, in un gruppo dominante, considerandolo in grado di indurre il mutamento dei “consumi” attraverso la paura per un futuro oscuro determinato dal cambiamento climatico. Ho sorriso considerando che lo stesso autore dell’articolo, in fondo, appartiene ad una delle élite dominanti, che ovviamente pensa in un modo diverso da quella da lui descritta, ed usa per comunicare uno di quei mezzi abituali per le élites (di qualunque parte).

Intendo dire che oggi risulta evidente sul pianeta una lotta di potere tra gruppi, cosa che ha poco a che fare con i risultati scientifici.  I risultati scientifici sulla gravità del cambiamento climatico sino a vent’anni fa erano accettati da una minoranza, anche tra i ricercatori; ormai, dati alla mano, il cambiamento climatico è considerato quasi unanimemente un processo a cui le nostre azioni hanno dato un impulso sfavorevole a noi stessi. Per come viviamo, è importante considerare l’accelerazione dei fenomeni atmosferici e dei cambiamenti indotti: paradossalmente, è relativamente più importante capire quanto velocemente dovremo cambiare abitudini e quale sia la causa su cui possiamo intervenire, che non stabilire se il pianeta volga verso un clima torrido o una nuova glaciazione.

I fenomeni estremi si alterneranno tra loro in zone dove tutto ciò sinora non è mai successo, mettendo a dura prova le abitudini sociali e le produzioni diffuse, a partire da quelle agricole. Infine, si è arrivati a comprendere – meglio tardi che mai! – che in un mondo finito non possono esistere consumi infiniti, ragione per cui si dovrà agire contemporaneamente su diversi ambiti: rigenerare gli strumenti di vita (curare di più l’alimentazione, equilibrando i consumi, e la salute, facendo prevenzione attraverso una vita meno stressante); ridurre i residui del consumo non utilizzabili da altri viventi (piante, animali, microrganismi); riutilizzare sempre i materiali rari recuperati. La riduzione di CO2 nell’atmosfera non può avvenire solo sostituendo alle energie fossili altri sistemi rinnovabili, ma anche riducendo l’impatto dei consumi che la società di mercato ha generato.

Da quando si è affermata la società industriale, il consumo dei prodotti è stato l’obiettivo esplicito di qualunque produzione ed il consumatore nei piani aziendali è diventato uno stereotipo “ideale”. Col tempo abbiamo capito che non esiste un consumo totale, perché quello che non usiamo ce lo ritroviamo dappertutto (vedi la plastica), quello che utilizziamo male ed in grande quantità lo ritroviamo persino nel grasso del nostro organismo e quello che risulta nel tempo tossico uccide i viventi, spesso in modo subdolo e sottile.

Invece il consumatore è una persona in carne ed ossa, che cambia secondo le abitudini, le possibilità, la cultura e se con la paura o la manipolazione si può ottenere il consenso, la “paura” in un regime di mercato non può spingere al consumo. La molla che spinge al consumo è l’idea di migliorare, e per farlo non possiamo che stimolare valori positivi. La paura genera le speculazioni.

 

Il mutamento delle abitudini e dei comportamenti dal periodo della pandemia in poi è qualcosa di molto complesso, una fase che l’umanità ha attraversato in diversi periodi storici, quando in contrapposizione a grandi aggregazioni amministrative, spesso organizzate in una società castali, sono nate piccole realtà autosufficienti. Oggi è in corso un mutamento simile (ovviamente con forme adatte alla realtà attuale), che produrrà consumi ridotti rispetto a quelli attuali, organizzati possibilmente in circuiti brevi. Sarà il declino (senza rimpianti) di molti eventi (turismo di massa, concerti), ormai sempre più ingestibili.

A causarlo non è un complotto ma sono le stesse condizioni in cui si realizza il mercato a sviluppare i mutamenti socioculturali; ad esempio, se il traffico e l’approvvigionamento delle megalopoli diventa problematico, non c’è altro sistema che accorciare i circuiti e favorire l’autoconsumo a partire da quello energetico, sviluppando il mercato locale per una massa di necessità ora legate a circuiti internazionali. Non tutti i prodotti o servizi assumeranno tali caratteristiche ma, a mio avviso, le nostre abitudini cambieranno molto: l’automobile per i miei nipoti non sarà più uno status symbol come lo è stato per la mia generazione, anche perché ce ne saranno sicuramente meno (costeranno di più) alimentate con energie diverse da quella fossile.

L’errore di considerare i consumi indotti dal timore delle catastrofi, è credere che le regole del consumo siano sempre le stesse in ogni tempo e dappertutto. Invece i consumatori cambiano pelle e sempre più, possono scegliere di diventare produttori di ciò che consumano. Il caso eclatante, solo all’inizio del suo sviluppo, è quello del “prosumer” di energia, colui che produce da solo o con altri l’energia che consuma e che può decidere come e quando farlo non solo per sé, ma per altri, influenzando così in modo nuovo il sistema di produzione. Si tratta di un aspetto ancora poco studiato, specie in Italia dove è praticamente inesistente, in attesa della creazione del sistema delle comunità energetiche rinnovabili (CER).

Il mutamento sociale prodotto da questo cambiamento di ruoli vede poco attenti tutti gli attori del sistema (sindacati, associazioni dei consumatori, associazioni padronali e di categoria, amministratori e governi), che a parole si dicono estremamente interessati, ma, in concreto, si mostrano impegnati a difendere i privilegi piccoli o grandi ottenuti nel tempo, invece di aprire nuove strade al benessere collettivo ed alla cooperazione. I più attenti sembrano essere gli uffici marketing e i sondaggisti che, comunque, analizzano i mutamenti per scopi individuali e spesso molto limitati.

Infine, una domanda che ci poniamo tutti: esistono “I persuasori occulti”? Ricordo che s’intitolava così il libro edito nel 1957 da Vance Packard, pietra miliare del consumerismo, che ci insegnava come, per indurre all’acquisto ed al comportamento uniforme di massa, le lusinghe e le sirene della tranquilla vita della middle class americana passassero attraverso i messaggi pubblicitari diretti e anche i messaggi “subliminali”, precursori del mercato delle fake news attuali. Quasi quarant’anni dopo questa prima allerta, nel 1995, due autori inglesi, Tim Lang e Yiannis Gabriel, scrissero “The Unmaneageable Consumer. Contemporary Consumption and its Fragmentations” (L’ingestibile consumatore. L’attuale consumo e le sue frammentazioni), rilevando come, lungi dal raggiungere l’omologazione totale, nel tempo si era prodotta la frammentazione delle tipologie e della stessa idea di consumo, creando una spaccatura divergente tra i sogni degli industriali e dei commercianti e quelli degli stessi consumatori. Ma già allora gli autori mostravano che, sebbene i consumatori continuassero a sognare di gestire il consumo, la realtà produceva situazioni in cui avveniva l’esatto contrario senza che comunque chi gestiva l’offerta fosse in grado a sua volta di guidare i comportamenti.

Oggi le dinamiche tra i diversi prodotti sono ancora più divergenti e contradditorie ed alle mutazioni dell’assetto industriale e commerciale corrispondono anche le diverse caratteristiche antropologiche dei consumatori. Ricordiamoci che il mondo del consumo è motivato non dalla paura di qualcosa, ma dall’aspirazione a una vita migliore.

È in questa realtà che si introduce l’intelligenza artificiale (AI) e per capire questi mutamenti serve studiare i comportamenti reali e non limitarsi a sondaggi o, peggio, ai like su qualche social media.  

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

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