Tracciamo un percorso ideale che dovrebbe rappresentare,
per il mondo imprenditoriale, la prassi corretta per contribuire
agli obiettivi di decarbonizzazione in modo efficace e nel rispetto
di tutti gli stakeholder.

C’è qualcuno che pensa di essere un buon cristiano anche se fa peccato di tanto in tanto, perché poi si confessa, si pente e riceve l’assoluzione. Salvo poi a riprendere a peccare ed essere assolto, fino alla fine della propria esistenza. E così c’è anche qualcuno che pensa, prima, di poter inquinare liberamente, poi, di pentirsi e di fare azioni virtuose per l’Ambiente, “compensando” le marachelle e autoassolvendosi. Si chiama infatti “compensazione” o, anche, “carbon offsetting” quel meccanismo che permette alle imprese di compensare le proprie emissioni di CO2 o di altri gas a effetto serra (misurati in anidride carbonica equivalente, CO2E) in un determinato posto, attraverso il supporto a progetti, realizzati altrove, di riduzione delle emissioni, i quali assorbono o evitano la CO2. Tale meccanismo si realizza attraverso l’acquisto di cosiddetti “crediti di carbonio”, dove un credito di carbonio corrisponde a una tonnellata di CO2 assorbita o evitata dal progetto. Non sarebbe una cattiva idea, se incidesse sulle emissioni strutturali e tipiche di una determinata attività d’impresa, diventa una pessima idea se utilizzata nelle attività ulteriori o residuali di quella stessa azienda.  Ci spieghiamo con un disegnino narrativo: poniamo che un’azienda emetta, nella propria ordinaria attività, 100 unità di gas effetto serra; poi decida di ampliare il proprio business con un nuovo settore produttivo che emette 30 unità di gas; quindi, acquisti 30 crediti di carbonio per compensare la nuova emissione; 100+30-30= 100, il risultato è che quella attività continua ad inquinare 100 e il contributo per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 è praticamente nullo. Ma c’è di più, quell’attività di compensazione viene esaltata in claim pubblicitari (ovviamente, a supporto della vendita di nuovi prodotti o servizi) per ricostruire la perduta verginità ambientale da quella determinata azienda inquinante o per sostenere attività di marketing nelle quali i temi della difesa dell’ambiente e della sostenibilità ecologica e ambientale, acquistano valore agli occhi dei consumatori, utenti e degli investitori. Il meccanismo che trasforma in impegno finanziario quello che dovrebbe essere un impegno sociale e ambientale non è nuovo o unico alle nostre latitudini: meccanismo non diverso da quello delle cosiddette “quote latte” per la sovraproduzione casearia, dei “certificati verdi” per le rinnovabili, del mercato delle “garanzie d’origine” per l’energia pulita, ecc.  Lo possiamo tradurre in un “paghi e superi i limiti del consentito”. Ma la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, il contrasto dei mutamenti climatici, la tutela della salute, possono essere oggetto di mercato? Gli stati pensano di si, se è vero, come è vero, che l’introduzione dei mercati regolamentati risalgono al Protocollo di Kyoto del 1997 e prevedono lo scambio di “quote di emissione” tra aziende e governi, i quali sono vincolati per legge a rendere conto delle loro emissioni di gas serra, con la finalità di trarre profitto dalle quote non utilizzate (CO2 non emessa) o raggiungere obiettivi normativi predeterminati. Il mercato volontario del carbonio emerse parallelamente all’attuazione del Protocollo di Kyoto per i settori non inglobati dal mercato normativo.

Ma, per fortuna, negli anni l’idea della compensazione delle emissioni di CO2 riferita al carbon offsetting, ha acquisito una connotazione negativa proprio perché suggerisce l’azione di comportamenti negativi e privi di una definizione comune. Sembra quasi ovvia l’idea che occorre sì sostenere progetti di riduzione delle emissioni, ma in parallelo alle ordinarie azioni di riduzione, per contribuire alla neutralità del carbonio globale (senza l’obiettivo di compensare un comportamento negativo). Più riduciamo le nostre emissioni e contribuiamo a progetti che riducono le emissioni di CO2, maggiore è l’impatto che possiamo avere nell’affrontare il cambiamento climatico. In poche parole, lo sforzo dovrebbe essere duplice e combinare misure di riduzione all’interno della filiera produttiva di un’impresa, sostenendo al contempo, in modo trasparente, progetti che evitino o catturino le emissioni al di fuori della loro tradizionale filiera produttiva. Crediamo che le imprese dovrebbero far riferimento al concetto di neutralità del carbonio a livello globale, come l’equilibrio complessivo tra gas serra rilasciati nell’atmosfera e gas serra assorbiti. Va quindi sottolineato che il carbon offsetting deve sempre essere associato a pratiche di riduzione delle emissioni di CO2 perché sia un’azione valida ed efficace. Secondo l’ultimo rapporto di Science Based Targets, SBT (qui), le misure di compensazione e neutralizzazione della CO2 (carbon offsetting) giocano un ruolo critico nell’accelerare la transizione verso le zero emissioni nette a livello globale, ma “non sostituiscono la necessità di ridurre le emissioni di CO2 nella catena di valore aziendale in linea con le ultime scoperte scientifiche“. Il rapporto spiega che gli sforzi di riduzione potrebbero non essere sufficienti per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C fissato dall’Accordo di Parigi per via delle emissioni residue, le emissioni che un’azienda non vuole ridurre a causa soprattutto di vincoli tecnici o economici. Pertanto, la compensazione delle emissioni di CO2, diviene una misura necessaria per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette a livello globale, solo se in parallelo alla riduzione.

Comunicare in modo non globale, diffondendo qualità riferite solo alle compensazioni per le attività diverse da quelle della propria filiera tradizionale, non aiuta l’ambiente ed è anche ingannevole per i consumatori.

Quali devono essere i prossimi passi, allora? Partiamo da tre considerazioni, tratte dalla realtà quotidiana: la prima, è che non risulta ancora definita una metodologia per raggiungere e valutare la neutralità del carbonio a livello aziendale. La seconda: i progetti sostenuti attraverso le compensazioni non si limitano all’assorbimento o alla riduzione delle emissioni di CO2, ma realizzano ulteriori impatti ambientali e sociali positivi, come i benefici per la salute, la protezione della biodiversità, l’uguaglianza di genere e lo sviluppo economico. La terza: il rischio principale se l’imprenditore non si adegua è quello di andare fuori mercato perché le imprese non sono più valutate in base solo alla loro performance economico-finanziaria ma anche a quelle di sostenibilità e fra i valutatori ci sono i consumatori/clienti e lo stesso sistema creditizio, due stakholder fondamentali che stanno già privilegiando, nelle loro relazioni, le aziende più virtuose. Tentiamo, allora, di fornire una piccola guida che indichi, dal nostro punto di vista, la metodologia attraverso la quale il mondo imprenditoriale può contribuire alla neutralità globale del carbonio, seguendo un percorso articolato in quattro fasi:
1.Misurazione
Il primo passo che un’impresa deve compiere per combattere il cambiamento climatico è misurare la propria impronta di CO
2. La misurazione dell’impronta di CO2 deve seguire regole precise, oggettive e condivise. Tutte le emissioni di gas a effetto serra sono espresse in tCO2E, tonnellate di anidride carbonica equivalente, che comprende altri gas a effetto serra, il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O) sono i due principali. L’impronta di CO2 di un’azienda deve essere valutata periodicamente e deve essere inclusa nel rapporto di sostenibilità o nel rapporto extra finanziario di un’azienda (come peraltro l’UE chiede).
2.Riduzione
A livello imprenditoriale, misurare l’impronta di CO
2 consente all’azienda di identificare le principali fonti di emissione e di individuare una strategia di sostenibilità per raggiungere i propri obiettivi di riduzione. Sarebbe preferibile utilizzare gli scenari di decarbonizzazione più ambiziosi che conducano a un’azione di riduzione rapida e al minor livello di emissioni cumulative, tenendo conto che le strategie di riduzione variano a seconda del settore e del tipo di attività aziendale.
3.Compensazione
La compensazione delle emissioni di CO2 è un’azione volontaria che può essere compiuta a livello aziendale. Deve valere per le proprie emissioni inevitabili o residue e per le emissioni che persistono dopo le azioni di riduzione. A tal fine le imprese possono acquistare crediti di carbonio, generati da progetti di riduzione delle emissioni che assorbono o evitano la CO2. In fase di compensazione delle proprie emissioni, le aziende devono assicurarsi di sostenere progetti di alta qualità. Pertanto, il primo elemento da considerare è la certificazione del progetto, ovvero se il progetto sia stato certificato da uno standard internazionale. Una volta che il progetto è stato certificato, viene periodicamente verificato da parti terze. In questo modo, lo standard può emettere la quantità di crediti di carbonio corrispondente alle emissioni che il progetto ha assorbito o evitato in un determinato periodo di tempo. Affinché gli standard possano emettere i crediti di carbonio, i progetti devono seguire regole e procedure specifiche. In particolare, il progetto deve essere reale, misurabile, permanente, addizionale, verificato in modo indipendente, e unico.
4.Comunicazione
Perché una strategia di carbon offsetting sia corretta e veritiera e non si incorra in accuse di greenwashing e di pratiche scorrette, le imprese devono attuare una strategia di comunicazione accurata e precisa. Essa deve consistere in una corretta divulgazione delle informazioni sui progetti sostenuti, sugli impatti ambientali e sociali positivi generati e su tutti i benefici collaterali, quali la protezione della biodiversità, e il contributo agli SDG (obiettivi di sviluppo sostenibile). Inoltre, l’impresa deve fornire una chiara spiegazione del meccanismo della finanza del carbonio e del suo ruolo nel raggiungere l’obiettivo di 1,5°C stabilito dall’Accordo di Parigi.

Misurare, ridurre, compensare e comunicare. Questi sono, a nostro avviso, i 4 pilastri di una strategia efficace per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette, oggi fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo di 1,5°C stabilito dall’IPCC. Inoltre, se l’imprese sapranno garantire la terzietà, l’indipendenza e la verificabilità nelle attività descritte e nel sostegno a progetti di riduzione delle emissioni, l’attività delle aziende potrà concretamente consentire di ottenere un impatto realmente positivo sull’ambiente e sulla società

Giuseppe d’Ippolito, Website Founder