All’ONU raggiunto l’accordo per la protezione dell’Alto Mare cioè
di tutta quell’area (di mare) che si trova al di là della Zona Economica
Esclusiva (ZEE) nazionale. La buona notizia è che oggi qualcosa si sta muovendo,
ma non è abbastanza

Dopo oltre 20 anni di discussioni, teorie e mistificazioni, finalmente, gli Stati Membri delle Nazioni Unite hanno concordato un Trattato Globale sugli Oceani. Questa intesa è raggiunta dagli Stati membri dellOnu, che potrà essere un punto di partenza per lobiettivo 30×30: ovvero, proteggere il 30% della terra e del mare entro il 2030, come concordato nella Convenzione sulla Diversità Biologica della Cop15 di Montreal. Il testo, frutto di un negoziato serrato, presenta comunque dei punti critici e adesso sta ai governi, Italia inclusa, ratificare il trattato e metterlo in pratica in modo rapido, efficace ed equo. « L’oceano è cibo, energia, vita. Ci ha dato così tanto allumanità: è tempo di restituire. Ce labbiamo fatta!» dichiara la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Ma che cosa prevede laccordo?
Grazie all’accordo sarà possibile, inoltre, istituire Aree Marine Protette in alto mare. I delegati hanno anche concordato l’istituzione di una conference of the parties (Cop) sul tema della preservazione degli oceani che si riunirà periodicamente e consentirà agli Stati membri – scrive un quotidiano britannico – di essere costantemente aggiornati sulle reciproche decisioni e azioni relative alla governance degli oceani e alla biodiversità. Un obiettivo storico, quanto urgente.

Gli ecosistemi marini, infatti, producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, rappresentano il 95% della biosfera del pianeta e, assorbendo anidride carbonica, sono un alleato indispensabile nella lotta al climate change. Tuttavia, fino ad ora, le norme incomplete e applicate in modo approssimativo che disciplinavano lAlto Mare hanno reso quest’area più suscettibile allo sfruttamento rispetto alle acque. Secondo Greenpeace, che ha definito l’accordo raggiunto all’Onu «vittoria monumentale», il testo – frutto di un negoziato serrato – presenta comunque dei punti critici e adesso sta ai governi ratificare al più presto il trattato e quindi metterlo in pratica in modo rapido, efficace ed equo. « Questo è un momento storico per la protezione della natura e degli oceani. Ed è anche un segnale che in un mondo sempre più diviso, la protezione della natura e delle persone può trionfare sui calcoli della geopolitica», dichiara Laura Meller di Greenpeace. «Ci congratuliamo con tutti i Paesi per aver raggiunto un compromesso mettendo da parte le diverse posizioni e producendo un trattato che ci permetterà di proteggere il mare, aumentare la nostra resistenza ai cambiamenti climatici e proteggere la vita e il benessere di miliardi di persone».

Che cos’è lAlto mare?
Con il termine «Alto mare» si intende tutta quell’area (di mare) che si trova al di là della Zona Economica Esclusiva (ZEE) nazionale. Tutta questa area fa parte delle cosiddette acque internazionali, quindi al di fuori della giurisdizioni nazionali, in cui tutti gli Stati hanno diritto di navigare, fare ricerca o pescare. Il cosiddetto Alto Mare svolge un ruolo di primo piano nel sostenere le attività di pesca, fornire habitat a specie cruciali per la salute del pianeta e nel mitigare limpatto della crisi climatica.

Ma oggi solo il 10% dei pesci di grandi dimensioni è ormai rimasto negli oceani: tonno, pesce spada, merluzzo, razza, platessa, tanto per citarne qualcuno, sono vicini all’estinzione. Fino ad oggi, è stata negata la vera realtà dei dati, ma la pesca industriale è una vera e propria arma di distruzione di massa. Proviamo a spiegare meglio: in genere quando i pescatori industriali decidono di “raccogliere” i pesci non badano alle dimensioni o alla loro età, come le platesse, che vengono pescate prima del tempo previsto, mentre potrebbero raggiungere facilmente i quaranta anni, cosi come il merluzzo che ne potrebbe raggiungere addirittura i venti anni e non è un caso che ad oggi i famosi merluzzi dei Grandi Banchi di Terranova siano ormai scomparsi, appunto perché si è deciso di interrompere il normale flusso vitale marino. «Cosi come l’operato delle reti a strascico che si adopera nei mari è micidiale, basti solamente pensare che per ottenere 1kg di sogliole si uccidono 16 kg di altri animali marini che per giunta vengono ributtati morti in mare…se solo guardassimo con attenzione il tutto capiremmo che il vero problema delle risorse ittiche mondiali non è solo l’inquinamento ma la stessa pesca industriale» afferma Mario Tozzi in un articolo su La Stampa.

Tuttavia, finora nessun governo si era assunto la responsabilità della protezione e della gestione sostenibile delle risorse di questa vasta area, il che ha reso l’Alto Mare una zona vulnerabile: alcuni degli ecosistemi più importanti del pianeta, infatti, sono a rischio, con conseguente perdita di biodiversità e habitat. Secondo le stime, tra il 10% e il 15% delle specie marine è già a rischio estinzione.  La buona notizia è che oggi qualcosa si sta muovendo, ma non è abbastanza.

Serve più attenzione e più sensibilizzazione da parte di tutti per vincere questa nuova sfida 30×30.

 

Federica Rochira, Website Founder