La fine del 2022 ci ha consegnato la proposta di un nuovo PNACC (Piano Nazionale Adattamento Cambiamenti Climatici) redatto dal MASE e adesso aperto alla consultazione pubblica (testo in calce a questo intervento). Piano assolutamente indispensabile in un paese come l’Italia che si trova al centro di una zona definita hot spot mediterraneo in un rapporto del MedEcc  -il network che riunisce gli esperti mediterranei sui cambiamenti climatici e ambientali-, (“Risks associated to climate and environmental changes in the Mediterranean region”). Il rapporto considera la zona mediterranea nelle sue varie dimensioni ed evidenzia che – mentre le acque del nostro mare sono quelle che si scaldano più rapidamente – la regione nel suo complesso è la seconda al mondo per rapidità di progressione del riscaldamento. Per questo un PNACC era atteso da tempo, con eventi climatici estremi che si susseguono sempre con maggiore frequenza nel nostro paese (Ischia). I primi tentativi di dotare il paese di una programmazione nazionale risalgono al 2015 con l’adozione della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNAC) che si poneva l’ambizioso progetto di organizzare azioni e priorità volte a ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici sull’ambiente, sui settori socio-economici e sui sistemi naturali del nostro Paese.

Ancora una volta, la via era stata prioritariamente tracciata, nell’aprile 2013, dalla Commissione Europea con l’adozione della Strategia Europea di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, aggiornata nel 2018, per rafforzare il livello di preparazione e la capacità di reazione agli impatti dei cambiamenti climatici a livello locale, regionale, nazionale e dell’Unione Europea. L’integrazione dell’adattamento in tutte le politiche settoriali dell’Unione Europea veniva giustamente considerata un’azione prioritaria per permettere sinergie e diminuire i costi. La strategia europea individuava tre obiettivi:

  • la promozione di piani d’azione nazionali;
  • l’aumento e la diffusione delle conoscenze disponibili, anche con la messa a disposizione della Piattaforma Climate-ADAPT.
  • l’integrazione delle misure di adattamento nelle altre politiche e azioni dell’UE, affinché esse possano essere “climate proofing”.

Senza considerare, sempre di fonte comunitaria, nel 2020, la Strategia sulla biodiversità per il 2030, per proteggere la natura e invertire il degrado degli ecosistemi. E, recentemente, è stata lanciata la nuova strategia europea per l’adattamento che, tra le altre cose, oltre a spingere i paesi ad attuare le proprie, prevede un maggior uso delle soluzioni verdi, cioè le cosiddette nature-based solutions. La strategia europea attuale manda anche tre messaggi molto chiari: l’adattamento deve diventare intelligente (usa la parola smart), deve essere sistemico, cioè integrato in tutti i settori della nostra società, e deve essere veloce.

Quanto il nostro PNACC si avvicina a questi obiettivi (a parte la redazione del piano, raggiunto dopo quasi 10 anni, almeno sulla carta)? Innanzitutto, ha più volte sottolineato Sergio Castellari, coordinatore dell’EU Topic Centre on Climate Change Impacts Vulnerability and Adaptation (ETC/CCA) dell’Agenzia Ambientale Europea: “Per affrontare il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici è necessario innanzitutto affrontare il tema generale del “rischio climatico” che l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) definisce come l’interazione tra la vulnerabilità (predisposizione a subire gli impatti climatici), l’esposizione del territorio agli impatti climatici e i pericoli stessi dei cambiamenti climatici. L’adattamento è quindi prevenire e ridurre il rischio climatico in una maniera efficace socialmente ed economicamente; ed è uno dei due modi per combattere il cambiamento climatico, l’altro è la mitigazione, in altre parole l’eliminazione delle cause che lo provocano”.

Il nostro PNACC contiene 361 azioni finalizzate allo sviluppo di un contesto organizzativo ottimale a livello nazionale e locale. Si prevede un rafforzamento della capacità di adattamento dei territori e dei settori economici di riferimento (dal turismo all’agricoltura, dalla pesca all’energia, dalla salute all’industria). Inoltre, esso contiene un insieme di azioni settoriali, presentate attraverso un database, che troveranno applicazione nei piani settoriali e intersettoriali, nelle modalità che saranno individuate dalla struttura di governance.

Possiamo definirlo un buon piano che ha vari punti di forza. Il primo è nelle previsioni dell’impatto che il cambiamento climatico avrà sull’Italia, settore per settore, da valere quale monito sulle certe conseguenze della possibile inazione programmatica e amministrativa. Il punto -ovviamente- aprirà il capitolo delle responsabilità ambientali in caso di prossimi eventi estremi ma costringerà anche a maggiori approfondimenti e conoscenze sul rischio climatico. Il secondo consiste nella scrittura delle linee guida per tutte le amministrazioni statali e locali che d’ora in poi, nelle loro scelte gestionali dovranno tenere ben presenti i dati e le raccomandazioni legate al clima, prevedendo risultati ed efficacia degli interventi in relazione all’andamento delle variazioni climatiche. Il terzo è l’opportuna previsione di un alto rischio di conflitti di competenze tra i vari attori chiamati a dare attuazione al piano (previsti diversi interventi di autorità scientifiche, tecniche e amministrative distinte ed autonome). Si prevede per questo l’istituzione presso il ministero dell’Ambiente di un Osservatorio nazionale, “composto da rappresentanti dei ministeri competenti per ciascuno dei settori d’azione presi in considerazione, le Regioni e le Province autonome, il Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio, le Autorità di bacino distrettuali. È prevista la partecipazione di altri Ministeri o altri Enti aventi competenza nei settori d’azione…”. Si legge nel piano: “L’Osservatorio nazionale ha il compito di aggiornare nel tempo delle priorità di intervento e le azioni di adattamento individuate dal Pnacc; programmare l’utilizzo, le fonti di finanziamento, il cronoprogramma degli interventi; curare le attività di monitoraggio dello stato di avanzamento e dell’efficacia degli interventi individuati per perseguire le azioni del Pnacc, oltre che le attività di reporting e valutazione di approvare le proposte di interventi presentate dalle Regioni, dagli Enti Locali o altri Enti pubblici con le proposte d’azione individuate nel Pnacc”.

Ma ci sono anche delle criticità e non sono di poco conto. La prima è che Il piano non include attualmente una pianificazione finanziaria e una possibile allocazione dei fondi e questo non lo rende un vero e proprio piano d’azione. La seconda è diretta conseguenza della prima: il piano non contiene alcun elenco di provvedimenti specifici per le singole criticità del territorio italiano, da Ischia ai ghiacciai alpini. Nessuna soluzione viene indicata ma ci si limita a descrivere le linee guida per portare a soluzione alcuni singoli problemi, genericamente descritti. Per fortuna, è il PNRR ad intervenire, in alcuni casi, per indicare finanziamenti e soluzioni specifiche a specifiche problematiche ambientali e infrastrutturali.

In conclusione, possiamo dire: prova superata per il governo in carica ma anche per quelli che l’hanno preceduto cui va il merito di aver avviato la stesura del PNACC e il demerito di non averlo portato però a compimento (complice anche il lungo procedimento per la valutazione ambientale).

La prossima sfida sarà, ancora, sui tempi. Dopo la pubblicazione avvenuta a fine dicembre, ora parte la consultazione pubblica e alla fine, dovrebbe arrivare la versione definitiva con decreto ministeriale. Riusciranno entro il prossimo marzo a dotare il paese di un così importante strumento? Attendiamo fiduciosi.

Giuseppe d’Ippolito, Website Founder

 

 

APPROFONDIMENTI

La Strategia Europea di Adattamento ai Cambiamenti Climatici
La Strategia UE sulla biodiversità per il 2030
European Green Deal
La Piattaforma UE Climate-ADAPT
Il Piano Nazionale Adattamento ai Cambiamenti Climatici