Negli ultimi decenni, la deforestazione e il degrado forestale sono divenuti temi centrali nell’agenda globale della sostenibilità. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) stima che ogni anno vadano perduti circa 10 milioni di ettari di foreste, con impatti drammatici sulla biodiversità, sul ciclo del carbonio e sulle comunità locali. Le foreste tropicali, in particolare, continuano a essere sacrificate per far spazio a coltivazioni di soia, palma da olio, cacao e per l’allevamento intensivo, alimentando dinamiche di desertificazione e di perdita irreversibile di habitat. In questo scenario, l’Unione europea, che si colloca tra i principali mercati mondiali per l’importazione di materie prime legate alla deforestazione, ha scelto di adottare un approccio normativo innovativo e vincolante. Il Regolamento (UE) 2023/1115 rappresenta il primo quadro giuridico a livello globale che introduce un obbligo generalizzato di deforestation-free supply chains. Tale scelta è coerente con il Green Deal europeo e con la strategia Farm to Fork, oltre che con gli impegni internazionali dell’UE in materia di cambiamento climatico e biodiversità, inclusi l’Accordo di Parigi del 2015 e il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework adottato nel 2022. La rilevanza di questo Regolamento risiede in due elementi fondamentali. Da un lato, l’UE si pone come normative power globale, cercando di trasferire standard ambientali elevati lungo le catene globali del valore attraverso un effetto extraterritoriale che condiziona produttori e governi di Paesi terzi. Dall’altro, la norma inaugura una stagione in cui la responsabilità ambientale delle imprese non è più affidata a schemi volontari di certificazione, ma imposta tramite obblighi di legge, con potenziali sanzioni e restrizioni commerciali in caso di violazione. Il percorso applicativo del Regolamento ha però sollevato questioni interpretative e operative di notevole complessità. Gli obblighi di tracciabilità e geolocalizzazione, l’individuazione delle aree forestali soggette a protezione, le modalità di presentazione delle dichiarazioni di due diligence e i meccanismi di verifica da parte delle autorità competenti hanno richiesto chiarimenti ufficiali. Per questo la Commissione europea ha pubblicato, il 13 novembre 2024, un Documento di orientamento (Commission Notice C/2024/6789), con lo scopo di offrire linee guida non vincolanti agli operatori e alle autorità degli Stati membri. Il documento, successivamente aggiornato il 15 aprile 2025, ha introdotto ulteriori semplificazioni amministrative e chiarimenti tecnici, accompagnati da un pacchetto di FAQ e da una proposta di atto delegato destinata a incidere su alcuni aspetti procedurali. L’introduzione del guidance si colloca in un contesto geopolitico e commerciale complesso. Diversi Paesi esportatori hanno criticato l’iniziativa europea come una forma di “neo-protezionismo verde”, sostenendo che gli standard richiesti rischiano di discriminare i piccoli produttori e di alterare la concorrenza globale. Parallelamente, associazioni di categoria e ONG europee hanno espresso preoccupazioni divergenti: le prime denunciano l’eccessiva onerosità degli adempimenti, mentre le seconde temono un indebolimento progressivo delle regole a causa delle pressioni politiche esercitate da governi e lobby economiche. Alla luce di queste tensioni, l’obiettivo di questo articolo è duplice: da un lato, offrire una ricostruzione sistematica delle previsioni normative e delle linee guida fornite dalla Commissione; dall’altro, proporre una lettura critica che evidenzi i rischi applicativi e le implicazioni socioeconomiche della misura, al fine di stimolare un dibattito accademico e politico sulla sostenibilità e sulla giustizia ambientale delle scelte regolative dell’UE.
Il Documento della Commissione fornisce definizioni operative, chiarimenti terminologici e indicazioni pratiche per l’adempimento degli obblighi di due diligence. Tra i principali contributi, vanno ricordati:
- l’interpretazione unitaria di concetti chiave come “deforestazione” e “degrado forestale”;
- le modalità di geolocalizzazione delle aree di produzione;
- l’introduzione di modelli standardizzati per le dichiarazioni di due diligence;
- la possibilità di semplificazioni procedurali per operatori che trattano volumi limitati di merci.
Questi elementi si pongono come strumenti di armonizzazione, riducendo il rischio di frammentazione normativa tra Stati membri e fornendo maggiore prevedibilità agli operatori economici.
LIMITI E CRITICITÀ APPLICATIVE
Nonostante i progressi, il guidance non ha valore vincolante e non elimina la possibilità di interpretazioni difformi da parte delle autorità nazionali. Inoltre, il peso degli obblighi di tracciabilità e geolocalizzazione grava in misura sproporzionata sulle piccole e medie imprese e sui produttori dei Paesi terzi. Il ricorso a dati satellitari e strumenti di telerilevamento, pur innovativo, può essere soggetto a errori, generando contestazioni e incertezze.
Vi è inoltre il rischio che la classificazione dei “Paesi a basso rischio”, prevista dal Regolamento, venga influenzata da logiche geopolitiche o commerciali, riducendo l’efficacia ambientale complessiva dello strumento.
IMPATTI GEOPOLITICI E SOCIOECONOMICI
Le reazioni dei Paesi esportatori sono state fortemente critiche, con accuse di protezionismo verde e minacce di ritorsioni commerciali. Parallelamente, si è evidenziato il pericolo di trade diversion: i prodotti non conformi agli standard europei potrebbero essere facilmente dirottati verso mercati meno regolamentati, senza determinare un reale impatto sulla riduzione globale della deforestazione.
Sul piano sociale, il regolamento rischia di escludere dal mercato europeo i piccoli produttori locali, favorendo le grandi multinazionali che dispongono di strumenti avanzati di monitoraggio e tracciabilità. Tale dinamica rischia di accentuare disuguaglianze già profonde nelle filiere agroalimentari globali.
CONSIDERAZIONI
Il Regolamento (UE) 2023/1115 e il successivo Documento di orientamento della Commissione costituiscono una delle iniziative più ambiziose mai adottate dall’Unione europea in materia di sostenibilità ambientale e responsabilità delle catene globali del valore. Il loro impianto normativo evidenzia con chiarezza la volontà dell’UE di esercitare il proprio ruolo di normative power, ponendo la sostenibilità al centro non solo della politica interna, ma anche delle relazioni commerciali con i Paesi terzi.
1) Dal punto di vista giuridico, l’innovazione principale risiede nell’obbligo di due diligence vincolante, che trasforma un approccio sinora dominato da standard volontari e certificazioni private in una responsabilità giuridica diretta per gli operatori economici. Tale passaggio implica una ridefinizione profonda delle logiche di governance ambientale, spostando l’asse dalla soft law alla hard law. Tuttavia, la natura non vincolante del guidance e le ambiguità interpretative che ne derivano rischiano di indebolire l’efficacia complessiva del quadro normativo, aprendo spazi a conflitti applicativi e a possibili frammentazioni tra Stati membri.
2) Sul piano socioeconomico, la misura solleva interrogativi cruciali di giustizia ambientale. Se da un lato il regolamento persegue l’obiettivo legittimo di ridurre l’impronta ecologica europea e di contribuire alla protezione delle foreste globali, dall’altro esso rischia di generare effetti distributivi iniqui. I piccoli produttori dei Paesi terzi, spesso privi delle capacità tecniche e finanziarie per rispettare gli obblighi di tracciabilità e geolocalizzazione, potrebbero essere esclusi dalle catene di approvvigionamento europee, con conseguenze negative sia sul piano sociale che sullo sviluppo sostenibile locale. Il principio di equità, che dovrebbe guidare ogni politica di transizione ecologica, rischia così di essere sacrificato sull’altare della tutela ambientale a misura europea.
3) Dal punto di vista teorico, il Regolamento e il suo Documento di orientamento si collocano al crocevia di tre dinamiche fondamentali. In primo luogo, rappresentano un esempio paradigmatico di governance beyond the state, in cui l’UE tenta di proiettare i propri valori normativi al di là dei propri confini, influenzando regole e pratiche globali. In secondo luogo, pongono con forza la questione della giustizia climatica, intesa come equa distribuzione dei costi e dei benefici della transizione ecologica: senza strumenti compensativi e di sostegno, la misura rischia di trasferire oneri sproporzionati sulle comunità più vulnerabili. In terzo luogo, mettono in luce la tensione tra l’ideale della sostenibilità e la realtà delle dinamiche geopolitiche, in cui il rischio di “protezionismo verde” non può essere ignorato.
Alla luce di queste considerazioni, si può concludere che il Regolamento (UE) 2023/1115 rappresenti una tappa essenziale, ma non definitiva, nel percorso dell’Unione europea verso un modello di economia realmente sostenibile e inclusiva. La sua efficacia dipenderà non solo dall’interpretazione e dall’applicazione delle linee guida, ma anche dalla capacità delle istituzioni europee di accompagnare la normativa con strumenti di cooperazione internazionale, assistenza tecnica e finanziaria, e meccanismi di monitoraggio trasparenti e partecipativi.
In ultima analisi, la sfida che il Regolamento pone non è soltanto quella di “ripulire” le catene di approvvigionamento europee, ma di contribuire a una trasformazione più ampia delle relazioni economiche globali, fondata su principi di responsabilità condivisa, solidarietà e giustizia ambientale.
Solo in questo modo l’UE potrà legittimamente rivendicare un ruolo di leadership etica e politica nella transizione ecologica globale.
Hèléne Martin


