Pensiamo mai a quale sia l’impronta ecologica dei capi che indossiamo,
cioè quanto inquina la loro produzione? La fast fashion (letteralmente ‘moda veloce’),
che consente una disponibilità costante di nuovi stili a prezzi molto bassi, ha portato
a un forte aumento della quantità di indumenti prodotti, utilizzati e poi scartati. In questo
articolo (tratto dal sito del Parlamento UE, 2020, “L’impatto della produzione e dei rifiuti
tessili sull’ambiente”) si spiega quanto essi incidono sulla qualità del nostro ambiente

Consumo in eccesso di risorse naturali
La produzione tessile ha bisogno di utilizzare molto acqua, senza contare l’impiego dei terreni adibiti alla coltivazione del cotone e di altre fibre. Si stima che l’industria tessile e dell’abbigliamento abbia utilizzato globalmente 79 miliardi di metri cubi di acqua nel 2015, mentre nel 2017 il fabbisogno dell’intera economia dell’UE ammontava a 266 miliardi di metri cubi. Alcune stime indicano che per fabbricare una sola maglietta di cotone occorrano 2.700 litri di acqua dolce, un volume pari a quanto una persona dovrebbe bere in 2 anni e mezzo.
Nel 2020, il settore tessile è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo. In quell’anno, sono stati necessari in media nove metri cubi di acqua, 400 metri quadrati di terreno e 391 chilogrammi di materie prime per fornire abiti e scarpe, per ogni cittadino dell’UE (fonte: Agenzia Europea dell’Ambiente, qui)

Inquinamento idrico
Si stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile a causa dei vari processi a cui i prodotti vanno incontro, come la tintura e la finitura, e che il lavaggio di capi sintetici rilasci ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari.

Microplastiche
Il lavaggio di indumenti sintetici rappresenta il 35% del rilascio di microplastiche primarie nell’ambiente. Un unico carico di bucato di abbigliamento in poliestere può comportare il rilascio di 700.000 fibre di microplastica che possono finire nella catena alimentare.
La maggior parte delle microplastiche derivanti dai tessili viene rilasciata durante i primi lavaggi. La moda veloce si basa sulla produzione di massa a prezzi bassi e volumi di vendita elevati che promuovono numerosi primi lavaggi.
Il lavaggio dei prodotti sintetici ha causato l’accumulo di oltre 14 milioni di tonnellate di microplastiche sul fondo degli oceani. Oltre a questo problema globale, l’inquinamento generato dalla produzione di abbigliamento ha un impatto devastante sulla salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi dove si trovano le fabbriche.

Emissioni di gas a effetto serra
Si calcola che l’industria della moda sia responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio, più del totale di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme.
Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, gli acquisti di prodotti tessili nell’UE nel 2020 hanno generato circa 270 kg di emissioni di CO2 per persona. Questo significa che i prodotti tessili consumati nell’UE hanno generato emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate.

Rifiuti tessili in discarica
Anche il modo in cui le persone eliminano gli indumenti che non si vuole più tenere in casa è cambiato: molti capi vengono gettati anziché donati.
Tra il 2000 e il 2015, la produzione di abbigliamento è raddoppiata, mentre l’utilizzo è diminuito del 36%.
Questo ha comportato la riduzione del ciclo di vita dei prodotti tessili: i cittadini europei consumano ogni anno quasi 26 kg di prodotti tessili e ne smaltiscono circa 11 kg. Gli indumenti usati possono essere esportati al di fuori dell’UE, ma per lo più vengono inceneriti o portati in discarica (87%).
La crescita della moda veloce, favorita in parte dai social media e dall’industria che porta le tendenze della moda a un numero maggiore di consumatori a un ritmo più rapido rispetto al passato, ha svolto un ruolo fondamentale nell’aumento dei consumi.

La soluzione? La detta i principi dell’economia circolare.

  1. Riadattare e riutilizzare più volte i capi invece di buttarli subito.
  2. Fare acquisti nei negozi vintage o di seconda mano.
  3. Far ricorso alla moda circolare con capi di abbigliamento nuovi ma ecosostenibili che nascono dal recupero delle fibre.
  4. Mettere a disposizione di altri gli abiti che non si può più indossare, vendendoli oppure regalandoli a chi li usa per fare beneficenza o li raccoglie negli appositi cassonetti stradali.

Dal 2013 è attivo a Verona il Progetto Quid (trovate il sito qui), gestito da un’impresa sociale, che dichiara “Nuova vita a persone e tessuti”. Il progetto si ispira a quattro azioni: “1. Crediamo nelle nuove possibilità quelle di persone fragili che attraverso il lavoro costruiscono dignità e autonomia. Crediamo nel lavoro. Come occasione di riscatto, come possibilità di cambiamento. 2. Crediamo nelle seconde possibilità quelle di tessuti avanzati che diventano creazioni belle e uniche. Crediamo nella bellezza. Nei gesti di chi disegna, cuce, progetta. 3. Crediamo nell’etica quella di chi ogni giorno ci sceglie e ci sostiene. 4.Crediamo nel talento e nella forza femminile nelle diversità che ci rendono unici. Crediamo sia possibile. Nuova vita a persone e tessuti”.

Ci crediamo anche noi!

ClimateAid Network