L’impermeabilizzazione del suolo (la sua copertura permanente
con strati impermeabili di edifici, strade asfaltate, parcheggi e così
via) provoca una perdita irreversibile delle funzioni ecologiche del suolo.
Le città sono interessate sempre più da ondate di calore, a causa
della mancanza di evaporazione in estate.
Occorre domandarsi perché gli appelli alla tutela del suolo cadano nel vuoto

Ormai è diventata una pratica usuale (e sterile) ogni anno, in occasione della giornata dedicata alla difesa del suolo, riportare i dati della quantità di suolo ulteriormente consumato da strade e costruzioni. Anche quest’anno i dati ci dicono che in Italia è avvenuta la perdita di una superficie grande quanto il comune di Mantova; ricordo di avere scritto nel 2015 che “nel territorio dell’Unione Europea, vengono sottratti circa 1.000 Km2 di suolo, destinati alla realizzazione di abitazioni, industrie e reti autostradali che, in termini di impatto, causa un irreversibile cambiamento del suolo e delle sue funzioni biologiche.” Molti anni prima, pensando di fare effetto sulle persone, il WWF aveva scritto in una sua pubblicità “Quest’anno ci siamo giocati l’Austria” (riferendosi alla superficie deforestata in Amazzonia).

Gli studi hanno dimostrato, già una decina di anni fa, che l’equilibrio tra ambiente naturale e agricoltura inquinante è stato compromesso, prevedendo che nel nostro Paese esistesse un rischio desertificazione nella misura del 21,3% del suolo italiano ed il 41,1% del suolo situato nelle regioni centro meridionali. Negli ultimi 50 anni si è assistito, a causa dei fenomeni di degradazione del suolo, ad una riduzione di oltre il 30% della sua capacità di ritenzione e di regimazione delle acque, amplificando ulteriormente, sia il rischio idrogeologico, sia il verificarsi di eventi catastrofici.

Questa tendenza insostenibile minaccia la disponibilità di terreni fertili e serbatoi di acque sotterranee per le generazioni future. L’impermeabilizzazione del suolo (la sua copertura permanente con strati impermeabili di edifici, strade asfaltate, parcheggi e così via) provoca una perdita irreversibile delle funzioni ecologiche del suolo. Poiché l’acqua non può né infiltrarsi né evaporare, aumenta il deflusso delle acque, portando a inondazioni catastrofiche.

Le città sono interessate sempre più da ondate di calore, a causa della mancanza di evaporazione in estate. I paesaggi sono frammentati e gli habitat diventano troppo piccoli o troppo isolati per sostenere alcune specie. Inoltre, il potenziale di produzione alimentare di terra è perso per sempre. Il Centro comune di ricerca della Commissione stima che quattro milioni di tonnellate di grano sono potenzialmente persi ogni anno per l’impermeabilizzazione del suolo; ma, a differenza di altre risorse come l’aria e l’acqua, per il suolo non esiste ancora a livello comunitario una legislazione specifica che miri alla sua protezione.

Penso che occorra domandarsi perché gli appelli alla tutela del suolo cadano nel vuoto e come mai, come per altri beni che tutti avrebbero l’interesse di mantenere in buono stato, anche il suolo è soggetto ad una trascuratezza, inspiegabile con motivazioni razionali ed apparentemente incoerente con gli scopi che una qualsiasi attività produttiva che insiste sul suolo intende raggiungere.

La risposta a queste domande va cercata nei meccanismi che innesca una società fondata sulle regole del mercato finanziario applicate ad ogni possibile rapporto e transazione. Il vivente, la cui caratteristica è la ciclicità, si adatta male a questi sistemi rettificati, con relazioni molto semplificate; ne soffre in primo luogo l’agricoltura, il sistema creato dall’uomo per aumentare la quantità di cibo a disposizione, che si fonda sull’uso di due fattori: la terra e l’acqua e sulla circolarità delle relazioni che si creano tra di essi, con la formazione di vapore, nuvole, venti attraverso la rotazione della terra.

Il suolo agricolo, quindi, è un bene primario che andrebbe sempre tutelato e innumerevoli studi hanno individuato i punti critici delle trasformazioni avvenute nei suoli agricoli del pianeta: l’erosione, la salinizzazione dei suoli, la desertificazione di vaste aree del pianeta causate dall’agire umano rappresentano effetti da combattere attraverso piattaforme internazionali di accodo tra gli Stati. Tutti convergono nel ritenere necessario il ripristino di alcuni aspetti di efficienza e fertilità del suolo agricolo che il suo eccessivo uso ha dissipato e la difesa del suolo sembrerebbe, pertanto, qualcosa di largamente condiviso.

Si deve aggiungere che negli ultimi 70 anni si è aggiunta la consapevolezza scientifica del legame essenziale tra terra e acqua e, con essa, della necessità di difendere i suoli non utilizzati a scopo “umano” (foreste naturali, habitat, corsi d’acqua) rendendo sempre più evidente la necessità di non poter piegare a scopo economico tutto ciò che esiste sul pianeta. Invece, le ricette economiche propagandate per lungo tempo tendevano a ritenere la terra, e con essa il suolo, un elemento suscettibile di valorizzazione produttiva attraverso un uso più intensivo. Queste ricette non sono più gestibili perché il danno che ne deriva è sempre meno lontano nel tempo: i benefici si riducono sia nell’entità che nella durata.

Gli investimenti produttivi avviati con questa prospettiva ed a lungo sostenuti, ben rappresentati in Italia con la bonifica integrale, hanno subito il destino di tutte le politiche d’investimento di mercato: sono diventati secondari, considerati meno validi di altri a maggiore rendimento in grado di avere ricadute immediate sui bilanci degli Stati. Negli anni di recessione, in genere, si privilegiano politiche di taglio delle voci finanziarie non prioritarie, cioè degli investimenti, soprattutto di quelli a basso rendimento; in quelli di espansione, si privilegiano gli investimenti ad alto rendimento, spesso ad alto rischio, legate ai mercati finanziari. Questo abbandono non riguarda più unicamente gli investimenti relativi alle produzioni agricole inserite sui mercati delle commodities, ma anche quelle attività e produzioni relative ad un impegno di “sviluppo sostenibile”, che sino ad ora era riuscito a conquistare uno spazio d’interesse, suscettibile di “sostenere” attività di servizio legate allo sviluppo di consumi non materiali del suolo. Si deve rilevare che comunque, in entrambi i casi, il suolo è considerato un supporto, da plasmare e modificare, e la sua tutela è una funzione collegata alla correzione dei guasti prodotti dal suo uso intensivo.

Una prima evidenza della teoria economica applicata al campo agricolo è che la difesa del suolo non viene considerata una normale attività legata al ciclo di utilizzo del bene, come potrebbe essere per qualunque altro bene economico, il cui reintegro viene contabilizzato normalmente con quote di ammortamento. In questo caso la funzione di reintegro viene parcellizzata in diverse altre funzioni, considerate non come reintegro, ma come funzioni di attività, produttive o sociali, e pertanto suscettibili di utilizzo economico o di uso per interesse collettivo. Le funzioni di difesa del suolo sono collegate in modo diretto al valore delle produzioni su di esso insediate, come nel caso della fertilizzazione o della difesa dai parassiti; anche nel caso di investimenti il suolo viene valutato per il miglioramento della sua struttura, o per l’eventuale disinquinamento o bonifica. In tutti questi casi il suolo non ha un suo valore “unico”, ed addirittura può essere valutato diversamente in virtù dell’intervento previsto.

Contrariamente a quanto si sostiene, che la divisione suoli rurali e suoli urbani permetta una più efficace difesa del suolo, la sua difesa si scontra anzitutto con la parcellizzazione e la privatizzazione che esso ha subito e con la divisione culturale tra città e campagna, che ha considerato suoli esistenti nella stessa area geografica, o addirittura contigui, in modo molto diverso a seconda che rientrassero nella categoria di suoli urbani o rurali.

Il risanamento del suolo e la sua tutela sono soprattutto a vantaggio delle popolazioni urbane (attualmente la maggioranza della popolazione del continente), le quali non sembrano rendersi conto di tale interesse e scaricano ogni aspetto del problema sull’agricoltura, settore che occupa la maggior parte dei suoli con la propria attività economica.

Ma anche in campo agricolo si ripropone lo scarso interesse per la tutela dei suoli, per molteplici motivi; per limitarci al campo strettamente economico, uno dei motivi principali risiede nel fatto che le produzioni non ripagano un investimento in questa direzione, oltre al fatto che la divisione della proprietà rende ancora meno attrattivo per i singoli ciò che chiaramente ha un costo notevole non collegato ad un profitto nel breve periodo.

Almeno fintanto che non si trattierà di riparare i danni di una qualche catastrofe.

Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti

 

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