Una perturbazione di proporzioni eccezionali ha colpito il Texas, provocando almeno 68 vittime, quartieri sommersi dall’acqua e migliaia di famiglie costrette a fuggire dalle proprie case. I meteorologi parlano di piogge “una volta ogni mille anni”, eppure l’allarme lanciato dalle autorità è arrivato tardi per molti. A migliaia di chilometri di distanza, il Nord Italia affrontava in contemporanea un’ondata di precipitazioni altrettanto violente: allagamenti, fiumi esondati, danni a infrastrutture, frane, blackout elettrici. Una sincronia inquietante, ma tutt’altro che casuale. Il punto non è solo meteorologico, ma profondamente politico. In Texas, l’amministrazione pubblica si è trovata impreparata a gestire l’emergenza anche per colpa dei tagli, negli anni precedenti, alla ricerca scientifica e al personale del National Weather Service. Una scelta deliberata, condotta nel nome del risparmio o del negazionismo climatico, che ha lasciato scoperti gli argini della sicurezza pubblica. Allo stesso modo, in Italia si è ridotta negli anni la capacità di monitorare, prevedere e prevenire gli effetti dei fenomeni estremi, spesso con scelte amministrative miope o colpevole disinteresse. Ciò che unisce i due fronti — quello texano e quello italiano — è l’emergere di una nuova realtà: la crisi climatica non è un evento futuro da studiare con calma, ma una condizione attuale che richiede strumenti operativi e risorse dedicate oggi. E ogni euro tagliato alla ricerca sul clima, ogni laboratorio dismesso, ogni ufficio meteo lasciato senza personale è un passo indietro nella lotta per la sicurezza collettiva. Non è solo il clima a essere impazzito: lo è anche chi decide di voltarsi dall’altra parte mentre gli scienziati lanciano l’allarme. E i cittadini ne pagano il prezzo, spesso con la vita. Di fronte agli eventi estremi, il negazionismo non protegge: uccide.

 

 

Nelle ultime settimane, il Texas è stato colpito da un’alluvione devastante, con piogge definite dai meteorologi “una volta ogni 1000 anni”. Decine di morti, città sommerse, famiglie evacuate. Mentre gli scienziati cercavano di spiegare la portata dell’evento, un dato è emerso con forza: il National Weather Service, pur avendo emesso allerte tecniche, ha operato con personale ridotto e strumenti limitati, a causa dei tagli strutturali alla ricerca climatica e meteorologica imposti negli anni scorsi.
Dall’altra parte dell’oceano, in Italia, non è andata meglio. Forti precipitazioni hanno messo in ginocchio il Nord, con frane, esondazioni e blackout. L’intero asse alpino e prealpino ha mostrato ancora una volta la sua fragilità di fronte all’intensificarsi degli eventi atmosferici. È un film che si ripete: piogge più intense, suoli impermeabilizzati, e sistemi di allerta che, se ci sono, spesso non bastano.

Guadando con silenziosa determinazione acque alluvionali profonde fino al ginocchio, una figura solitaria con un impermeabile giallo brillante crea perfette increspature circolari sulla superficie blu acciaio. La luce dell'ora d'oro inonda la scena, proiettando lunghi riflessi che brillano e danzano a ogni passo attento. Armato di un bastone di legno per saggiare la profondità dell'acqua, questo simbolo della perseveranza umana si staglia contro l'ambiente circostante. Questo momento tranquillo ma potente cattura il delicato equilibrio tra sfida ambientale e resilienza umana, il tutto avvolto dal caldo bagliore del tramonto.QUANDO SI TAGLIA SUL CLIMA, SI MOLTIPLICANO I DISASTRI
L’esperienza texana è una lezione durissima: ridurre i fondi per lo studio del clima, per il monitoraggio meteorologico e per la prevenzione equivale a indebolire le difese di una nazione contro l’impatto del cambiamento climatico. È come disattivare i sensori di un’auto che corre a tutta velocità verso un muro.
Eppure, questo è esattamente ciò che molti governi – anche europei – continuano a fare. In nome della “semplificazione”, della “razionalizzazione” o di un malinteso senso dell’equilibrio economico, vengono tagliati i fondi alla ricerca pubblica, ai laboratori meteo-climatici, ai programmi di adattamento. Persino l’educazione ambientale finisce spesso tra le prime voci da sacrificare.
Nel caso degli Stati Uniti, il budget della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) ha subito ripetuti tentativi di riduzione, con impatti reali sulla capacità di emettere allarmi tempestivi. In Italia, si discute ancora su chi debba occuparsi degli allarmi locali, mentre i centri ARPA faticano con carenze di organico e fondi insufficienti. Nel frattempo, i comuni pagano il prezzo: infrastrutture inadeguate, tombini ostruiti, piani regolatori vecchi di trent’anni.

ITALIA E PREVENZIONE DEGLI EVENTI METEO ESTREMI: TRA PIANI, RITARDI E CONTRADDIZIONI
Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC)
Dopo anni di stallo, il PNACC è stato finalmente approvato il 21 dicembre 2023. Il Piano, predisposto dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), rappresenta lo strumento strategico nazionale per affrontare gli impatti del cambiamento climatico. Tra le sue finalità: la mappatura dei rischi climatici per territori e settori (agricoltura, salute, trasporti, ecc.); l’individuazione di misure di adattamento locali, regionali e nazionali; la promozione della collaborazione tra Stato, Regioni ed enti locali; il coordinamento con il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) e la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile.
Ma il PNACC ha valore solo programmatico, non è vincolante né direttamente finanziato. La sua attuazione dipende dalla volontà (e dalle risorse) delle Regioni e dei Comuni. Manca un chiaro cronoprogramma e un sistema di monitoraggio pubblico trasparente.
Sistema di allerta meteo e protezione civile
L’Italia dispone di un sistema di protezione civile avanzato, articolato su più livelli:

  • Il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile elabora previsioni e coordina le emergenze.
  • Le allerte sono gestite in collaborazione con le ARPA regionali e i Centri Funzionali.
  • È in funzione un sistema di allerta a colori (verde, giallo, arancione, rosso) per prevedere fenomeni come alluvioni, frane e temporali intensi.

Il personale di soccorso si fa strada tra le acque alluvionali alte fino alle ginocchia, mentre il sole tramonta dietro nuvole tempestose. I loro caschi arancioni risaltano contro la luce dorata che si riflette sulla superficie dell'acqua. Una lunga fila di soccorritori si muove con determinazione e determinazione, creando una catena umana attraverso il terreno allagato. Sullo sfondo, veicoli di emergenza con luci lampeggianti attendono su un terreno più elevato, pronti a supportare l'operazione. Il contrasto tra le montagne che si oscurano, il cielo luminoso e l'acqua scintillante mette in risalto il coraggioso impegno di queste squadre che rispondono alla potenza della natura.Problemi principali:

  • Disomogeneità tra le Regioni: alcuni territori sono molto avanzati, altri meno preparati;
  • Scarsa diffusione della cultura del rischio tra i cittadini;
  • Mancanza di personale e risorse in molte ARPA regionali;
  • Le allerte sono spesso lette come “previsioni del tempo” e non come strumenti di protezione civile.

PNRR e fondi per la resilienza climatica
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede circa 2,8 miliardi di euro per interventi legati alla gestione del rischio idrogeologico e alla resilienza climatica, principalmente nella Missione

 

 

2 – Rivoluzione verde e transizione ecologica.

Progetti inclusi:

  • Riforestazione urbana;
  • Risanamento idrogeologico;
  • Riqualificazione dei bacini fluviali;
  • Miglioramento delle reti fognarie e di drenaggio urbano.

Limiti:

  • Ritardi cronici nella progettazione esecutiva e nei bandi;
  • Difficoltà dei piccoli Comuni a partecipare, per carenza di personale tecnico;
  • Assenza di una visione organica: molti interventi sono frammentati e reattivi.

La scena immortala un cantiere in piena attività, con operai e macchinari, tra cui un grande camion per cemento bianco e una ruspa, che si muovono nell'area. La costruzione comporta molta polvere e movimento, a testimonianza dell'intenso lavoro e del coordinamento necessari per realizzare la complessa struttura. Torri di impalcature circondano il sito, a indicare un intenso lavoro di sviluppo e ingegneria in corso. Urbanistica e consumo di suolo
L’Italia continua a soffrire di consumo di suolo elevato (oltre 2 mq al secondo nel 2023, secondo ISPRA), che rende più gravi gli effetti delle piogge intense:

  • Crescono le aree impermeabilizzate;
  • Le città sono spesso costruite in aree a rischio alluvione;
  • I piani regolatori di molti comuni sono obsoleti e non tengono conto delle nuove mappe del rischio climatico.

Aspetti positivi recenti:

  • Alcune Regioni hanno introdotto strumenti urbanistici più rigorosi sul rischio idrogeologico;
  • La Strategia Nazionale per il Consumo di Suolo Zero esiste, ma non è ancora legge: la proposta di legge si è arenata più volte in Parlamento.

Comunicazione e cultura del rischio
La comunicazione delle allerte e la cultura della prevenzione rimangono uno dei punti più deboli:le campagne pubbliche sono saltuarie e frammentarie. I piani comunali di protezione civile non sempre sono conosciuti o divulgati. I cittadini spesso non sanno come comportarsi in caso di alluvione o frana.
Tuttavia, iniziative locali virtuose esistono (es. scuole con piani di evacuazione, esercitazioni annuali), ma non sono sistematizzate a livello nazionale.

L’ITALIA FA QUALCOSA, MA ANCORA TROPPO POCO E TROPPO TARDI
In sintesi, l’Italia ha avviato — con ritardo — politiche importanti per affrontare gli eventi meteorologici estremi, ma queste restano troppo spesso sulla carta o si scontrano con:

  • Mancanza di coordinamento tra livelli istituzionali;
  • Ritardi cronici nei lavori pubblici;
  • Scarso coinvolgimento della cittadinanza;
  • Tagli alle strutture scientifiche e tecniche regionali.

In un Paese fragile dal punto di vista idrogeologico, con oltre il 90% dei comuni a rischio frane o alluvioni, la prevenzione non può essere opzionale né intermittente. La vera sfida non è solo rispondere agli eventi estremi, ma prevenire e preparare.

NON È FATALITÀ: È RESPONSABILITÀ POLITICA
Attribuire tutto al “maltempo” o alla “natura imprevedibile” è comodo, ma falso. Le scelte politiche, in particolare quelle che negano l’urgenza climatica o tagliano i fondi alla prevenzione, hanno conseguenze concrete. Le piogge estreme non si possono evitare, ma le loro conseguenze sì: con studi aggiornati, sistemi di allerta rapidi, città più resilienti, una cultura del rischio diffusa. Nulla di tutto ciò si costruisce senza investimenti e visione.
Tagliare il clima è una scelta. E questa scelta costa vite.

SERVE UNA SVOLTA IMMEDIATA
Il caso Texas ci mostra cosa accade quando si depotenzia la ricerca, si licenzia il personale specializzato e si disinveste nella scienza. È una lezione che l’Italia dovrebbe prendere molto sul serio, specie ora che i fenomeni estremi diventano la nuova normalità.
Non bastano più le promesse, né le lacrime a disastro avvenuto. Servono atti concreti: finanziamenti strutturali alla ricerca climatica, piani meteo adattati ai nuovi scenari, ingegneria del territorio, comunicazione del rischio e – soprattutto – una politica che abbia il coraggio di dire che il cambiamento climatico non è un’opinione, ma un’emergenza reale e crescente.
Perché, se non lo facciamo ora, domani sarà troppo tardi. E non potremo dire che non sapevamo.

Giuseppe d’Ippolito