
C’è un silenzio strano che accompagna la crisi climatica nel Mediterraneo. Un silenzio assordante, fatto di dati scientifici ignorati, allarmi sistematicamente derubricati a “eventi eccezionali” e di una politica che, davanti all’evidenza, sceglie la rimozione come strategia. Eppure, il Mediterraneo ci sta lanciando segnali chiari, violenti, innegabili: si sta scaldando a una velocità allarmante. E lo fa sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno. A dirlo non sono attivisti o profeti di sventura, ma il Copernicus Marine Service, il servizio europeo di monitoraggio marino. I suoi dati parlano chiaro: a giugno 2025 la temperatura superficiale del Mediterraneo occidentale ha superato i 29 gradi Celsius, con picchi anomali di oltre +5 °C rispetto alla media storica. E non si tratta solo di qualche giorno particolarmente caldo. È la conferma di una tendenza di lungo periodo, che vede il nostro mare trasformarsi in una vasca tropicale instabile, con effetti a catena sull’ambiente, sull’economia e sulla sicurezza delle comunità costiere. Il Mediterraneo non è un mare qualsiasi. È un ecosistema fragile, chiuso, densamente abitato, attraversato da rotte commerciali, turistiche e migratorie. È un crocevia climatico, culturale e geopolitico. Eppure, malgrado la sua importanza strategica, viene trattato come un’appendice marginale nel dibattito sul cambiamento climatico. Le sue acque si scaldano, i suoi fondali si desertificano, le sue coste si sgretolano, ma l’urgenza non si traduce mai in azione concreta. Quello che segue non è solo un aggiornamento scientifico. È un atto di accusa. Contro l’inerzia delle istituzioni, l’ipocrisia del discorso pubblico, e la normalizzazione del disastro. Perché, se il Mediterraneo sta bollendo, è anche perché abbiamo scelto – consapevolmente o meno – di lasciarlo cuocere.
Il Mar Mediterraneo sta cuocendo. Letteralmente. Non è una metafora da ambientalista allarmato, ma una fotografia reale scattata dai satelliti e dai modelli del Copernicus Marine Service (CMEMS), il servizio europeo che monitora gli oceani. A fine giugno 2025, la temperatura superficiale ha toccato i 29,4 °C nel bacino occidentale, con anomalie di +5 °C rispetto alla media storica. È come se fossimo passati da un mare temperato a una vasca tropicale, in pochi decenni.
Ma il dato più inquietante non è questo. È il silenzio istituzionale che lo circonda.
SAPPIAMO TUTTO, MA NON FACCIAMO NULLA
Da anni i climatologi lanciano l’allarme: il Mediterraneo è uno degli hotspot climatici globali, si riscalda più velocemente della media mondiale. CMEMS lo documenta puntualmente: tra il 1982 e oggi, l’aumento medio della temperatura superficiale è di oltre +0,4 °C per decennio. In profondità, a 800 metri, si registra già un incremento di oltre +1 °C.
Eppure, ogni estate si ripete lo stesso copione: ondate di calore marine devastanti, pesci che muoiono per asfissia, coralli sbiancati, e poi? Nessun piano d’emergenza, nessun cambio di rotta politico. Solo qualche articolo sparso, qualche tweet del ministro di turno e il solito dibattito sterile tra “allarmisti” e “realisti”.
Nel frattempo, i dati peggiorano (vedere il link in fondo pagina ne IL MEGLIO DAL WEB). Il 2025 potrebbe diventare l’anno più caldo mai registrato nel Mediterraneo. Ma il vero calore che manca è quello della reazione politica.
Nell’ immagine sotto, basata sui dati del Copernicus Marine Service (CMEMS), le aree di rosso scuro indicano temperature superiori a 5°C rispetto alla media stagionale.
IL PREZZO DELLA NEGAZIONE
Le conseguenze sono devastanti e sotto gli occhi di tutti:
- Ecosistemi distrutti: posidonie in sofferenza, invasioni di specie aliene come il granchio blu e il pesce scorpione.
- Pesca in crisi: l’instabilità termica minaccia le risorse ittiche e la sopravvivenza della pesca artigianale.
- Fenomeni meteo estremi: più calore in mare significa più energia in atmosfera. Risultato? Nubifragi, bombe d’acqua, trombe marine, che colpiscono con sempre maggiore violenza le nostre coste.
Ma tutto questo viene sistematicamente derubricato a “eventi eccezionali”. Come se un’ondata di calore da +7 °C rispetto alla media fosse un incidente. Non lo è. È la nuova normalità climatica. E ogni ritardo nell’intervento equivale a una precisa scelta politica: la scelta di non agire.
LA RETORICA DELLA RESILIENZA HA STANCATO
Le istituzioni europee parlano di “resilienza climatica” come se bastasse un centro studi a riparare un mare surriscaldato. Ma la verità è che servono scelte drastiche:
- Stop ai sussidi alle fonti fossili, anche in ambito marittimo;
- Riduzione reale delle emissioni climalteranti (non greenwashing);
- Protezione vera della biodiversità marina, non solo sulla carta;
- Piani di adattamento locale per le comunità costiere, oggi esposte e domani sommerse.
Per ora, tutto questo è rimandato, diluito o ignorato. In compenso si investe in turismo balneare, porti crocieristici e cementificazione costiera, come se il mare fosse ancora una risorsa inesauribile.
NON SIAMO SPETTATORI: SIAMO RESPONSABILI
Il mare non mente. E oggi ci sta dicendo che stiamo superando un limite. Non possiamo più nasconderci dietro la complessità del problema o l’alibi della gradualità. Sappiamo tutto. Abbiamo i dati, le tecnologie, le competenze. Ci manca solo la volontà politica di cambiare.
Oppure, più semplicemente, ci manca il coraggio di scegliere il futuro invece della convenienza immediata.
Il Mediterraneo è la nostra casa liquida. Se lo lasciamo bollire, ci stiamo cucinando dentro anche noi.
Hèléne Martin