Nel lessico della transizione ecologica, alcune parole brillano per frequenza d’uso: sostenibilità, rinnovabili, decarbonizzazione, green economy. Tutte evocano un orizzonte di progresso pulito, tecnologico e necessario. Eppure, dietro questa visione ottimistica si cela un nodo cruciale e ancora troppo poco discusso: la dipendenza crescente da minerali critici, e in particolare dalle cosiddette “terre rare”, elementi chimici essenziali per produrre le tecnologie che dovrebbero liberarci dai combustibili fossili. Auto elettriche, pale eoliche, pannelli solari, batterie di nuova generazione, ma anche server, droni, satelliti e sistemi di difesa avanzati: la domanda globale di terre rare è esplosa nell’ultimo decennio, e promette di crescere esponenzialmente nei prossimi anni. Ma questa corsa al “nuovo oro tecnologico” ha un costo ambientale e umano spesso nascosto dietro l’etichetta “green”. Le miniere che estraggono terre rare devastano ecosistemi, inquinano acque e suoli, emettono sostanze tossiche e radioattive, e alimentano circuiti economici spesso segnati da sfruttamento, violazioni dei diritti umani e nuovi squilibri geopolitici. Siamo dunque di fronte a un paradosso della transizione ecologica: per liberarci dalle fonti fossili, rischiamo di affidarci a un nuovo modello di estrazione intensiva, altrettanto predatorio e insostenibile. Come ha osservato il filosofo tedesco Andreas Malm, “il problema non è semplicemente con cosa sostituire il motore a combustione, ma il sistema sociale ed economico che ne impone l’uso sistematico e universale”. La “guerra per le terre rare” non è solo una questione industriale o tecnologica: è una questione politica, ecologica e morale. Chi controlla queste risorse? A quale prezzo vengono estratte? Chi decide cosa sia “necessario” per la transizione? E, soprattutto, siamo disposti a sacrificare comunità e ambienti lontani in nome di un progresso che riteniamo inevitabile? In questo articolo mi propongo di attraversare criticamente questi interrogativi, esaminando l’uso e l’abuso delle terre rare, le nuove mappe geopolitiche che ne derivano, gli impatti ambientali e sociali, e le possibili alternative a un modello che rischia di replicare, sotto una vernice verde, tutte le ingiustizie del passato. La transizione ecologica è forse il più grande progetto politico del nostro tempo. Ma non sarà sostenibile se non sarà anche giusta.

 

 

Nell’era della transizione energetica e digitale, pochi elementi sono diventati tanto strategici quanto le cosiddette terre rare. Si tratta di un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica — come il neodimio, il lantanio, il disprosio e il terbio — fondamentali per la fabbricazione di tecnologie moderne: dalle auto elettriche alle turbine eoliche, dagli smartphone ai missili guidati. La loro importanza è tale da averle rese l’oggetto di una non più silenziosa e crescente “guerra” globale, fatta di investimenti minerari, politiche industriali aggressive e nuove alleanze strategiche.
Ma dietro il mito tecnologico delle terre rare si nasconde una realtà contraddittoria e spesso ignorata: la loro estrazione e lavorazione ha conseguenze devastanti sull’ambiente, sulle comunità locali e sulla stessa sostenibilità della transizione ecologica. È forse giunta l’ora di analizzare criticamente tali implicazioni, mettendo in discussione la narrazione dominante secondo cui ogni tecnologia “green” sia automaticamente anche “giusta” e “pulita”.

Gratis Foto Aerea Di Camion Che Trasportano Legname Foto a disposizioneCOSA SONO LE TERRE RARE E PERCHÉ SONO DIVENTATE COSÌ IMPORTANTI
Le terre rare non sono geologicamente rare, ma sono rare in termini economici, perché si trovano in basse concentrazioni e la loro estrazione richiede processi complessi, costosi e altamente inquinanti. Le loro proprietà magnetiche, catalitiche e ottiche le rendono insostituibili in molti settori.
Applicazioni principali
Neodimio e disprosio: magneti permanenti nei motori di auto elettriche e turbine eoliche.
Lantanio: batterie ricaricabili, specialmente nei veicoli ibridi.
Terbio e europio: schermi LED e luci fluorescenti.
Cerio: lucidatura di vetri, catalizzatori per auto.
Nel 2023, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) ha indicato che la domanda globale di terre rare per l’energia pulita potrebbe aumentare di 4-6 volte entro il 2040 se vogliamo rispettare gli Accordi di Parigi.

L’IMPATTO AMBIENTALE: UN PARADOSSO DELLA TRANSIZIONE
La transizione ecologica promette un futuro a basse emissioni, ma le materie prime che ne rendono possibile la realizzazione pongono sfide ambientali enormi. L’estrazione delle terre rare comporta la distruzione di interi ecosistemi, l’inquinamento di suolo e falde acquifere, l’emissione di sostanze radioattive e tossiche.
Caso emblematico: Baotou, Cina
Il 70% della produzione mondiale di terre rare proviene dalla Cina, in particolare dalla regione della Mongolia Interna. Qui, l’attività mineraria ha creato veri e propri laghi tossici dove si accumulano scorie radioattive e acidi usati per separare gli elementi. Secondo uno studio dell’Università di Harvard (2018), gli abitanti dell’area attorno a Baotou mostrano tassi più alti di cancro, malattie respiratorie e deformazioni alla nascita.

Contraddizione evidente:
La transizione verso energie “pulite” si basa su un sistema di approvvigionamento profondamente sporco.
Anche l’estrazione di terre rare in paesi come Brasile, Myanmar, India o Repubblica Democratica del Congo presenta un mix di deforestazione, miniere illegali, traffico armato e collasso ecologico.

Gratis Immagine gratuita di a cielo aperto, arido, attrezzatura da costruzione Foto a disposizioneGEOPOLITICA DELLE TERRE RARE: CHI CONTROLLA IL FUTURO
Il controllo delle terre rare è diventato una leva di potere globale. Attualmente, la Cina domina non solo la produzione ma anche la raffinazione e la filiera tecnologica associata. Negli anni 2000, Pechino ha investito pesantemente nel settore, accettando i costi ambientali interni per ottenere una posizione dominante.
Alcuni dati:
Cina: 70% della produzione mineraria, oltre il 90% della raffinazione globale.
USA: dipendenti per oltre l’80% delle terre rare da fornitori esteri, principalmente cinesi (dati 2023).
UE: ha inserito le terre rare nella lista delle “materie prime critiche” già nel 2011.
Nel 2010, la Cina ha usato per la prima volta il suo monopolio come arma geopolitica, bloccando le esportazioni verso il Giappone durante una disputa territoriale. Questo episodio ha fatto capire a tutto l’Occidente quanto fosse vulnerabile.
Oggi, la corsa alle terre rare è una corsa armata, letteralmente: gli Stati Uniti hanno incluso la loro produzione nel Defense Production Act; l’Unione Europea ha varato il Critical Raw Materials Act (2023), fissando obiettivi di autosufficienza per il 2030.

SFRUTTAMENTO, COLONIALISMO VERDE E DISUGUAGLIANZE
Dietro la retorica della sostenibilità si cela una nuova forma di estrattivismo: quello “verde“, che perpetua dinamiche coloniali tra Nord e Sud del mondo.
Due esempi significativi:
Repubblica Democratica del Congo: pur essendo ricchissima di minerali (coltan, cobalto, terre rare), è uno dei paesi più poveri al mondo. Miniere gestite da compagnie straniere e milizie armate sfruttano manodopera minorile e devastano interi territori.
Groenlandia: la fusione dei ghiacci ha reso accessibili nuovi giacimenti di terre rare. L’Isola, formalmente autonoma dalla Danimarca, è al centro di interessi cinesi, statunitensi ed europei. Ma la popolazione Inuit ha più volte espresso opposizione allo sfruttamento minerario indiscriminato.
Come ha osservato Vandana Shiva, “la nuova economia verde rischia di essere una nuova forma di saccheggio globale, mascherata da progresso ecologico“.

LE ALTERNATIVE POSSIBILI: USCIRE DALLA TRAPPOLA DELL’ESTRATTIVISMO
Il quadro sembra cupo, ma non è immutabile. Esistono alternative concrete, sebbene poco discusse, che potrebbero ridurre la dipendenza da terre rare e mitigarne gli impatti.
a) Riciclo e recupero
Oggi solo il 5% delle terre rare viene riciclato a livello globale. Una strategia europea più ambiziosa potrebbe portare questo dato oltre il 30% entro il 2035, secondo la Commissione UE. Servono politiche di ritiro, centri di smontaggio, ricerca avanzata per separare in modo efficiente gli elementi da dispositivi usati.
b) Tecnologie alternative
Motori elettrici a flusso assiale o a induzione che non necessitano magneti. Batterie al sodio o allo zolfo in sostituzione del litio e delle terre rare. Materiali ceramici o compositi per sostituire alcuni usi ottici.
c) Economia circolare
Bisogna ridisegnare i prodotti per durare, essere riparabili, aggiornabili e riciclabili. Un’auto elettrica usa centinaia di kg di minerali critici: ma quante auto ci servono, davvero? La domanda non è tecnica, è politica.
d) Sovranità tecnologica e regole globali
Servono regole vincolanti per le imprese che operano nel settore estrattivo: certificazioni ambientali, diritti delle comunità locali, obblighi di bonifica e restituzione ecologica dei territori. Non è più accettabile che la “transizione” sia costruita sulla violazione sistematica dei diritti umani.

CONCLUSIONE: UNA TRANSIZIONE SOSTENIBILE È POSSIBILE SOLO SE È GIUSTA
La guerra per le terre rare ci pone di fronte a una contraddizione fondamentale: può una tecnologia verde basarsi su pratiche distruttive e diseguali? Possiamo davvero considerare sostenibile una transizione che esternalizza i suoi costi su altre popolazioni, su altri ecosistemi, su altri continenti?
L’errore più grande che possiamo commettere oggi è pensare che basti cambiare il tipo di energia o il tipo di veicolo per risolvere la crisi ecologica. Come scrive il filosofo francese Bruno Latour, “non si tratta di sostituire una civiltà industriale con un’altra, ma di uscire dall’idea stessa di dominio sulla natura”.
Le terre rare ci ricordano che la transizione non è solo un problema tecnologico, ma soprattutto un problema di giustizia. Una transizione ecologica che ignora i limiti planetari, che riproduce le logiche del saccheggio e dell’ineguaglianza, non sarà mai né verde né duratura.
Sarà solo l’ennesima rivoluzione incompiuta.

Giuseppe d’Ippolito

 

 

Fonti per approfondimenti (link)