Il cambiamento climatico non è più una minaccia ipotetica: è un processo in atto, documentato in modo inequivocabile dalla scienza, vissuto sulla pelle dalle comunità più esposte e riconosciuto anche dai più restii tra i decisori politici. Eppure, nonostante decenni di summit internazionali, piani d’azione, green deal e impegni solenni, l’inversione di rotta tarda ad arrivare. Le emissioni globali continuano a crescere, gli eventi climatici estremi si moltiplicano, e le istituzioni sembrano paralizzate da interessi contrapposti, inerzia burocratica e calcoli di consenso. In questo scenario di paralisi decisionale, cresce l’interesse per soluzioni alternative e per strumenti capaci di superare i limiti della politica tradizionale. Tra queste, un’ipotesi suggestiva — e a tratti provocatoria — comincia a farsi spazio: affidare all’intelligenza artificiale la scrittura delle leggi sul clima. Siamo pronti a considerare l’idea che un algoritmo possa fare meglio dei nostri Parlamenti? Che possa suggerire norme più giuste, più tempestive, più efficaci per salvare il pianeta? Può sembrare fantascienza, ma in realtà l’IA è già al lavoro in molti ambiti della governance pubblica: analizza flussi energetici, pianifica trasporti sostenibili, individua aree a rischio idrogeologico. La domanda non è se potrà intervenire nella scrittura delle leggi ambientali, ma quando e con quali garanzie. Questa riflessione parte da un presupposto scomodo: la crisi climatica richiede risposte più rapide e radicali di quelle che le attuali democrazie riescono a produrre. L’intelligenza artificiale, se ben progettata, potrebbe offrire una via per accelerare le decisioni, depurandole dalle distorsioni del breve termine. Ma con essa si aprono anche dilemmi profondi: chi programma l’IA? Su quali valori? Con quale legittimazione democratica? In quest’articolo, tenterò di esplorare le potenzialità e i rischi dell’uso dell’IA per scrivere le leggi sul cambiamento climatico. Vedremo cos’è davvero questa tecnologia, come potrebbe essere applicata al caso italiano e perché, forse, non si tratta solo di una provocazione, ma di una prospettiva da prendere sul serio.

 

 

Immaginare un ordinamento in cui l’intelligenza artificiale scrive le leggi non significa sognare un futuro distopico dominato da macchine senz’anima, ma esplorare fino a che punto la razionalità algoritmica possa intervenire nei meccanismi — spesso inefficienti — della normazione. La domanda è tanto provocatoria quanto necessaria: in un Paese come l’Italia, dove la qualità della legislazione è spesso compromessa da frammentazione, lentezza e stratificazione incoerente di norme, l’IA potrebbe rappresentare uno strumento di razionalizzazione e semplificazione. Ma a quali condizioni?

Questa fotografia immortala una scena vibrante all'interno di una grande aula legislativa durante una sessione di voto. I membri dell'assemblea sono mostrati mentre partecipano attivamente, con molti che alzano la mano in segno di approvazione o per segnalare la propria presenza. L'ambiente è riccamente decorato con intricate sculture in legno e decorazioni tradizionali, a riflettere la serietà e la formalità dell'occasione. Questa immagine ritrae il processo democratico in azione, mentre i rappresentanti sono impegnati nel processo decisionale che plasma la politica e l'orientamento del governo.Lentezza e frammentazione: i limiti dell’attuale produzione normativa
Il sistema legislativo italiano soffre da tempo di alcune patologie strutturali.
Eccessiva produzione normativa, con decine di leggi approvate ogni anno, spesso in contraddizione tra loro.
Tecnica legislativa debole, con testi poco chiari, pieni di rinvii, riferimenti incrociati e clausole generali.
Influenza di logiche emergenziali, che favoriscono decreti-legge convertiti con modifiche marginali, senza un disegno coerente.
Intermediazione politica opaca, che tende a mediare interessi particolari più che a perseguire il bene comune.
L’IA, se ben progettata, potrebbe aiutare a riformare questo impianto, suggerendo testi normativi chiari, coordinati, coerenti con l’ordinamento vigente e ancorati a dati di realtà. Potrebbe valutare l’impatto ex ante ed ex post delle leggi, segnalare conflitti normativi, ridondanze o ambiguità.

IA come co-legislatore: un modello ibrido
Non si tratterebbe (almeno in una prima fase) di sostituire il Parlamento, ma di affiancarlo. Un possibile modello potrebbe prevedere proposte normative generate dall’IA, su input di autorità politiche, sociali o scientifiche; simulazioni predittive sugli effetti delle norme proposte (economici, ambientali, sociali); riscrittura automatica di testi di legge per migliorarne la coerenza e la leggibilità con un’analisi automatizzata di compatibilità costituzionale e con il diritto UE.
Questo modello ibrido lascerebbe al Parlamento la funzione deliberativa e rappresentativa, ma gli fornirebbe strumenti più efficienti e razionali per esercitarla. Alcune Regioni italiane, come l’Emilia-Romagna, stanno già sperimentando forme di normazione “assistita” da sistemi di IA per la semplificazione legislativa.

Legittimazione democratica e rischi di tecnocrazia
Il nodo principale resta la legittimazione democratica. Le leggi sono espressione della sovranità popolare, che in Italia si esercita attraverso il Parlamento (art. 1 della Costituzione). Nessun algoritmo, per quanto avanzato, può sostituirsi alla rappresentanza democratica senza scardinare i fondamenti costituzionali. L’IA potrebbe però diventare una forma di “consulenza aumentata” al legislatore: imparziale, basata su dati, trasparente.
Il rischio non è tanto quello della “dittatura degli algoritmi”, quanto quello opposto: che l’IA venga usata per giustificare decisioni già prese da gruppi di potere, nascondendo dietro una presunta oggettività calcoli funzionali a interessi specifici. Per questo, ogni uso dell’IA nel processo legislativo richiede trasparenza negli algoritmi e nei dataset utilizzati; accesso pubblico ai criteri di programmazione; supervisione etica e pluralista nella definizione degli obiettivi normativi.

Il contesto culturale italiano: ostacoli e opportunità
In Italia, il rapporto tra politica e tecnologia è ancora segnato da diffidenza. L’adozione di strumenti innovativi è spesso frenata da scarsa alfabetizzazione digitale nella PA e nel legislatore, timori di perdita di controllo da parte dei partiti politici, resistenze corporative e burocratiche.
Eppure, proprio in un contesto come quello italiano — dove la qualità legislativa è una questione strutturale — l’IA potrebbe essere una risorsa per migliorare la qualità della democrazia deliberativa, ridurre l’arbitrarietà nella scrittura delle leggi e promuovere una nuova cultura della responsabilità pubblica basata sull’evidenza e non sull’improvvisazione.

Gratis Codice Proiettato Sulla Donna Foto a disposizioneUna prospettiva per il futuro
Pensare a un’IA legislatrice non significa auspicare la fine della politica, ma immaginare un suo rinnovamento profondo. Le sfide che l’Italia e l’Europa devono affrontare nei prossimi decenni — crisi ecologica, transizione energetica, intelligenza artificiale stessa — sono troppo complesse per essere gestite con gli strumenti del passato. In questo scenario, l’intelligenza artificiale potrebbe diventare non la padrona del processo legislativo, ma una sua alleata intelligente, al servizio della democrazia, della giustizia sociale e della sostenibilità.

L’approccio algoritmico: oltre il breve termine
L’intelligenza artificiale, a differenza degli esseri umani, non è soggetta a pressioni elettorali, lobbying industriale o calcoli di consenso. Il suo mandato non sarebbe conquistare voti, ma salvaguardare sistemi complessi: l’atmosfera, gli oceani, le foreste, l’equilibrio idrico. Una legge scritta dall’IA partirebbe da una domanda chiave: quali azioni sono scientificamente necessarie per contenere l’aumento della temperatura globale sotto 1,5°C, nel minor tempo possibile e con il massimo grado di equità sociale? Le risposte dell’IA potrebbero risultare radicali, ma razionali a partire da una tassazione automatica delle emissioni su scala globale, basata su metriche real-time di carbon footprint. Un divieto progressivo dei combustibili fossili, con calendario obbligatorio, senza deroghe nazionali. Un obbligo di rigenerazione ecologica, con vincolo legale per ogni azienda a compensare danni ambientali in proporzione al profitto. Un’allocazione equa delle risorse climatiche, con trasferimenti automatici tra paesi ricchi e poveri secondo un principio algoritmico di giustizia climatica.

Etica e sorveglianza: i rischi di una governance automatizzata
Affidare la scrittura delle leggi a un’IA solleva domande cruciali. Chi addestra l’intelligenza artificiale? Su quali valori? Come bilancia tra urgenza ecologica e diritti umani? E ancora: chi controlla il controllore?
Una legge “perfetta” sul clima, se applicata senza considerare le condizioni sociali, potrebbe produrre instabilità, migrazioni forzate o perdita di posti di lavoro. L’IA dovrebbe quindi incorporare non solo parametri ecologici, ma anche metriche etiche, sociali e culturali, apprese da un pluralismo di fonti.

La Corte europea dei diritti dell'uomo in dieci punti - Famiglia CristianaIA e climate litigation: un ruolo da protagonista anche nei tribunali
Un’ulteriore frontiera, già oggi attiva, è il ruolo dell’IA nel contenzioso climatico. Gli algoritmi, opportunamente addestrati, sono in grado di scandagliare grandi banche dati giurisprudenziali per individuare precedenti rilevanti, simulare gli esiti probabili di controversie complesse, suggerire strategie argomentative coerenti con l’evoluzione del diritto ambientale europeo e internazionale e  supportare le Corti costituzionali e i tribunali amministrativi nell’analisi dell’impatto normativo in termini di equità intergenerazionale, rispetto dei diritti fondamentali e coerenza con l’Accordo di Parigi.

Casi concreti iniziano a emergere: dalla provocazione alla proposta
In realtà, non serve attendere un governo delle macchine. Già oggi, strumenti di IA supportano la redazione di policy climatiche in città come Amsterdam, Copenaghen e Singapore. Sistemi predittivi aiutano a pianificare trasporti a basse emissioni, ottimizzare l’uso di energia o mappare le vulnerabilità territoriali.
Ma un passo oltre sarebbe immaginare leggi proposte direttamente da un sistema esperto di IA, con capacità di elaborare milioni di dati scientifici, valutare impatti a lungo termine e suggerire interventi che superano le lentezze burocratiche. Un Parlamento, umano, potrebbe poi approvarle o modificarle — ma a partire da una base oggettiva e orientata alla sopravvivenza.
– La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz c. Svizzera (2024) ha visto un ruolo chiave dell’analisi predittiva nel supportare l’argomentazione sulla violazione del diritto alla vita delle ricorrenti. Algoritmi di supporto hanno contribuito alla sistematizzazione dei dati climatici e giurisprudenziali.
– In Francia, il Conseil d’État ha avviato progetti pilota di IA giuridica per l’analisi dei ricorsi in materia ambientale, con risultati incoraggianti in termini di tempestività e coerenza delle decisioni.
– In Italia, alcuni TAR (come quello del Lazio) stanno valutando l’adozione di strumenti AI-based per il supporto nella redazione di sentenze in materia ambientale, in particolare nei casi riguardanti l’autorizzazione di grandi impianti industriali.
In un’epoca in cui la giustizia climatica sta diventando uno dei campi di battaglia cruciali per la difesa dei diritti umani, l’uso dell’intelligenza artificiale nei tribunali può rafforzare l’accesso alla giustizia, ridurre i tempi decisionali e aumentare la prevedibilità e la qualità delle pronunce. Naturalmente, anche qui valgono le stesse cautele viste per la legislazione: trasparenza, accountability, controllo umano.
Dalla scrittura delle leggi al loro controllo giudiziario, l’IA può diventare uno strumento di riequilibrio tra diritto e futuro, restituendo al diritto quella funzione anticipatoria e protettiva che troppo spesso viene sacrificata alle contingenze.

Proposte di policy: verso un ecosistema giuridico aumentato
Per valorizzare il potenziale dell’intelligenza artificiale nella lotta al cambiamento climatico e garantire al contempo il rispetto dei principi democratici, si propone l’adozione di un quadro normativo e istituzionale articolato su tre pilastri:

  1. Istituzionalizzazione di un’Agenzia nazionale per l’Intelligenza Artificiale e la Legislazione Sostenibile (ANIALS), un ente autonomo e indipendente, dotato di competenze multidisciplinari (giuridiche, tecniche, ambientali), incaricato di sviluppare strumenti di IA trasparenti e open-source per il supporto alla redazione legislativa, di valutare l’impatto normativo delle leggi esistenti e future in chiave climatica e di redigere rapporti annuali sullo stato dell’eco-normazione in Italia.
  2. Introduzione dell’obbligo di climate impact assessment assistito da IA. Ogni proposta di legge, nazionale o regionale, dovrebbe includere un’analisi preventiva dei suoi effetti sull’ambiente e sul clima, supportata da algoritmi predittivi certificati e pubblicamente accessibili.
  3. Formazione e alfabetizzazione giuridico-tecnologica per decisori e magistrati. Investire nella formazione continua di parlamentari, funzionari pubblici e giudici sull’uso responsabile e consapevole dell’IA nel processo normativo e giurisdizionale, con moduli obbligatori nei corsi della Scuola Superiore della Magistratura e della Scuola Nazionale dell’Amministrazione.

Conclusione: una co-scrittura per il futuro
Il sogno (o l’incubo) di un’IA legislatrice ci costringe a riflettere sulle insufficienze delle nostre istituzioni nel rispondere alla crisi climatica. Forse la soluzione non è rinunciare alla politica, ma affiancarle strumenti che la liberino dal ricatto del tempo corto. La sfida è far sì che l’intelligenza artificiale non diventi un’autorità incontrollata, ma una coscienza estesa, al servizio del pianeta e delle generazioni future.
Solo un’alleanza tra scienza, diritto e tecnologia — costruita su basi etiche solide e democraticamente legittimate — potrà consentire all’Italia di affrontare la crisi climatica con strumenti all’altezza della sfida.

  1. Giuseppe d’Ippolito