
Nel dicembre 2019, la Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen annunciava con grande enfasi il Green Deal europeo, definendolo «la nuova strategia di crescita dell’Europa» e il pilastro centrale per guidare l’Unione verso la neutralità climatica entro il 2050. La promessa era chiara: trasformare radicalmente il modello economico europeo, disaccoppiando la crescita economica dal consumo di risorse e affrontando simultaneamente le crisi climatica, ambientale e sociale con un insieme coerente di politiche trasversali. Il Green Deal non era solo un piano ambientale, ma un progetto di civiltà: un patto intergenerazionale fondato su giustizia climatica, innovazione sostenibile e resilienza ecologica. Cinque anni dopo, alla fine del primo ciclo politico, è tempo di un bilancio. E quel bilancio è stato tracciato ufficialmente nel rapporto pubblicato il 30 gennaio 2025 dal Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione Europea, intitolato Delivering the EU Green Deal: Progress towards targets. Si tratta della prima valutazione sistematica e quantificata dei progressi compiuti in relazione agli obiettivi fissati nelle oltre quaranta strategie, comunicazioni e atti legislativi che compongono l’architettura del Green Deal. Il documento prende in esame 154 obiettivi concreti, misurabili e calendarizzati, offrendo per ciascuno un’indicazione sullo stato di attuazione. Il quadro che ne emerge, tuttavia, è tutt’altro che soddisfacente. Nonostante i proclami iniziali e le numerose dichiarazioni di principio, la realtà dei fatti racconta di una transizione ecologica che procede a rilento, ostacolata da resistenze politiche, da interessi consolidati e da una crescente polarizzazione che ha trasformato la sostenibilità in terreno di scontro ideologico. Meno di un quinto degli obiettivi è considerato “in linea” con la tabella di marcia. Per molti altri, il ritardo accumulato è tale da mettere a rischio non solo la credibilità dell’intero progetto, ma anche la sua efficacia nel prevenire gli impatti sempre più devastanti della crisi climatica e della perdita di biodiversità. Questo articolo propone un’analisi critica dei risultati emersi dal rapporto quinquennale della Commissione, evidenziando i settori in maggiore difficoltà, le cause strutturali dei ritardi e le contraddizioni interne che minano l’efficacia complessiva del Green Deal. Non si tratta solo di denunciare le inadempienze, ma di sollecitare un dibattito pubblico onesto e trasparente: l’Europa è ancora in tempo per mantenere la rotta della transizione ecologica, ma solo a patto di riconoscere le proprie debolezze e di agire con maggiore coerenza e determinazione.
A cinque anni dal lancio del Green Deal europeo, il bilancio ufficiale presentato dalla Commissione Europea il 30 gennaio 2025 tramite il Centro Comune di Ricerca (JRC) offre una fotografia tutt’altro che rassicurante dello stato dell’arte. Il rapporto, intitolato “Delivering the EU Green Deal: Progress towards targets”, analizza 154 obiettivi quantificabili derivanti da 44 documenti politici. Ma, nonostante il Green Deal sia stato annunciato nel 2019 come “la nuova strategia di crescita dell’Europa”, il quadro complessivo rivela ritardi strutturali, incertezze normative e scelte politiche incoerenti che mettono in dubbio la reale volontà dell’Unione di guidare la transizione ecologica globale.
Solo un quinto degli obiettivi è in linea con i tempi
Secondo il rapporto del JRC, solo 32 dei 154 obiettivi analizzati possono dirsi “in linea” con le tempistiche previste. Si tratta di meno del 21%. Ben 64 obiettivi richiedono un’accelerazione sostanziale per rientrare nei binari stabiliti, mentre 15 sono in fase di stallo o in regressione. A rendere il quadro ancor più preoccupante, vi è il fatto che per 43 obiettivi non esistono ancora dati disponibili o sufficientemente affidabili: un indicatore evidente della scarsa strutturazione del sistema di monitoraggio e trasparenza, elemento che avrebbe dovuto essere centrale in una strategia presentata come trasformativa.
Progressi recenti: segnali positivi ma insufficienti
Da gennaio 2025 ad oggi, alcuni sviluppi positivi sono emersi. La pubblicazione del Clean Industrial Deal nel febbraio 2025 ha introdotto misure per sostenere la competitività dell’industria europea, promuovendo l’adozione di tecnologie pulite e l’efficienza energetica. Inoltre, il 48% dell’elettricità nell’UE nel 2024 è stata generata da fonti rinnovabili, segnando un record storico.
Tuttavia, questi progressi non sono sufficienti a compensare i ritardi accumulati in settori chiave come l’agricoltura sostenibile, la biodiversità e la riduzione dell’inquinamento. Le proteste degli agricoltori europei nel 2023-2024 hanno portato al rinvio o all’attenuazione di alcune misure ambientali, come la riduzione dell’uso dei pesticidi e l’obbligo di lasciare una parte dei terreni agricoli incolti per favorire la biodiversità.
Responsabili dei ritardi: una rete complessa di fattori
I ritardi nell’attuazione del Green Deal possono essere attribuiti a una combinazione di fattori politici, economici e sociali.
Opposizione politica: partiti conservatori e populisti hanno ostacolato diverse iniziative ambientali, spesso in nome della protezione degli interessi agricoli e industriali. Ad esempio, il Partito Popolare Europeo e altri hanno respinto proposte chiave come la legge sul ripristino della natura e nuove regolamentazioni sui pesticidi.
Pressioni economiche: la crisi energetica e l’aumento dei costi di produzione hanno spinto alcuni governi a rallentare la transizione ecologica. In Germania, la dipendenza dal gas russo e la giusta decisione di abbandonare l’energia nucleare hanno creato vulnerabilità energetiche, influenzando negativamente l’industria e la competitività del paese.
Resistenze sociali: le proteste degli agricoltori e di altri gruppi sociali hanno evidenziato la percezione di una transizione ecologica imposta dall’alto, senza un adeguato coinvolgimento delle comunità locali. Queste tensioni hanno alimentato il fenomeno del “greenlash“, una reazione negativa alle politiche ambientali percepite come punitive o disconnesse dalle realtà quotidiane.
Clima ed energia: obiettivi lontani, rischi vicini
Tra i settori più critici vi è quello climatico. Nonostante il pacchetto Fit for 55 abbia fissato obiettivi ambiziosi – come il taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 – il ritmo attuale di decarbonizzazione è insufficiente. Il rapporto sottolinea che l’energia da fonti rinnovabili cresce troppo lentamente, soprattutto nei settori dei trasporti e del riscaldamento residenziale. Inoltre, il phase-out dei combustibili fossili è stato rallentato in vari Stati membri in nome della sicurezza energetica post-crisi ucraina, alimentando investimenti contraddittori in nuove infrastrutture fossili.
Biodiversità e suolo: promesse disattese
Gravi ritardi si registrano anche nella tutela della biodiversità e del suolo. La Strategia per la Biodiversità 2030 prevedeva il ripristino di almeno il 30% degli ecosistemi degradati, ma i dati mostrano che l’attuazione è ancora nella fase preliminare, con pochissimi interventi concreti sul campo. La Nature Restoration Law, cuore legislativo di questo obiettivo, ha subito numerosi attacchi politici ed è ancora in bilico in Consiglio, con vari Paesi – tra cui l’Italia – che oscillano tra il sostegno formale e il boicottaggio sostanziale.
Agricoltura e inquinamento: politiche in rotta di collisione
La strategia Farm to Fork, che avrebbe dovuto ridurre del 50% l’uso dei pesticidi chimici e incentivare l’agricoltura biologica, è oggi tra le componenti più compromesse del Green Deal. Le proteste del settore agricolo – spesso strumentalizzate da partiti populisti – hanno contribuito a indebolire la volontà politica di procedere con la riforma, e la Commissione ha già ritirato o sospeso alcune delle proposte più incisive. Sul fronte dell’inquinamento, infine, il principio “zero pollution” resta un enunciato teorico: le concentrazioni di sostanze tossiche nei suoli, nelle acque e nell’aria continuano a superare le soglie raccomandate in numerose regioni europee.
Il paradosso della leadership climatica senza coerenza interna
L’Unione Europea continua a rivendicare un ruolo guida nella lotta globale alla crisi climatica, ma questo rapporto evidenzia un paradosso: si chiede al mondo di seguire un modello che l’Europa stessa fatica ad attuare. La transizione ecologica non è mai stata solo una questione tecnica, ma soprattutto politica. I ritardi accumulati non sono imputabili alla complessità degli obiettivi – noti fin dall’inizio – bensì alla mancanza di coraggio nell’affrontare le resistenze interne, a partire dal settore agricolo-industriale e da una parte dell’industria energetica.
Il Green Deal ha bisogno di essere rifondato, non solo accelerato.
Il rapporto quinquennale pubblicato dal JRC dovrebbe essere letto come un campanello d’allarme, non come un semplice documento tecnico. L’attuale traiettoria non porterà l’Unione a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, né a garantire una transizione equa e sostenibile per tutti. Più che di correzioni di rotta, il Green Deal ha bisogno di una rifondazione politica: servono norme vincolanti, una fiscalità climatica coerente e una maggiore partecipazione dei cittadini nei processi decisionali. Senza queste condizioni, le ambizioni ambientali dell’Europa rischiano di restare parole vuote su carta.
Non restiamo spettatori della transizione incompiuta
La transizione ecologica non può essere lasciata solo nelle mani dei governi e delle istituzioni: è una sfida che richiede il coinvolgimento attivo della società civile, delle imprese, del mondo della cultura e dell’informazione. Il Green Deal europeo non è un piano immutabile: può essere migliorato, rafforzato, salvato — ma solo se l’opinione pubblica europea tornerà a considerarlo una priorità non negoziabile.
Oggi più che mai è il momento di alzare la voce, chiedere trasparenza, pretendere coerenza dalle forze politiche e partecipare in prima persona al dibattito democratico sulle scelte che plasmeranno il futuro del nostro continente.
Iniziamo a chiedere ai nostri rappresentanti locali e nazionali come intendono accelerare l’attuazione del Green Deal. Partecipiamo alle consultazioni pubbliche. Condividiamo dati, articoli, conoscenza. Costruiamo una cultura ecologica informata e intransigente, perché senza pressione dal basso non ci sarà transizione dall’alto.
Il tempo della retorica è finito. È l’ora dell’azione, della vigilanza e della responsabilità condivisa.
Hèléne Martin