La transizione ecologica è oggi sotto minaccia per diverse ragioni politiche, economiche e culturali che si stanno intrecciando in modo sempre più evidente. Negli ultimi anni, si è rafforzata in Europa una corrente politica euroscettica e sovranista che guarda con sospetto alle politiche ambientali dell’UE. Alcuni governi nazionali, in particolare in vista delle elezioni europee del 2024, hanno iniziato a fare marcia indietro su dossier ambientali chiave, come la Nature Restoration Law, il Regolamento sul divieto dei motori endotermici entro il 2035, l’applicazione rigida della direttiva sulla due diligence (CSDDD). Questo avviene spesso in nome della “competitività industriale”, della “sovranità energetica” o della “difesa dell’agricoltura tradizionale”. La guerra in Ucraina, l’aumento del costo dell’energia, l’inflazione e il rallentamento economico globale hanno portato molti governi a rivedere le priorità. Le misure ambientali sono viste da alcuni come un lusso o un ostacolo per la ripresa economica, anziché come un volano per l’innovazione. Alcuni settori industriali esercitano pressioni forti per diluire, rinviare o eliminare norme ambientali considerate troppo onerose. In particolare, la lobby dell’automotive, la lobby dell’agrochimica e dell’agroindustria, i grandi gruppi energetici legati ai combustibili fossili. Queste pressioni hanno avuto effetti concreti sul testo finale di molte direttive europee, come la CSDDD o la CSRD, che sono state fortemente annacquate rispetto alle versioni iniziali. Negli spazi pubblici, spesso la transizione ecologica viene rappresentata come una minaccia alla libertà individuale o come una forzatura tecnocratica. Questo alimenta disinformazione e rallenta il consenso necessario per politiche ambiziose. In questo contesto, anche il fenomeno del greenwashing contribuisce alla sfiducia.

 

 

L’Unione Europea si è posta obiettivi ambiziosi in materia di sostenibilità ambientale. Con il Green Deal europeo, la Commissione ha tracciato una rotta per rendere il continente climaticamente neutro entro il 2050. Tuttavia, negli ultimi mesi questa traiettoria ha subito pressioni crescenti: l’avanzata di forze politiche ostili alla regolazione ambientale, il rallentamento nell’adozione di normative chiave, come la Direttiva sulla Due Diligence o la Nature Restoration Law, e il timore che la transizione ecologica possa diventare il capro espiatorio di un’Europa in crisi economica e sociale, hanno riaperto un dibattito sulla tenuta del progetto.
La questione centrale è: come si può mantenere la rotta verso la sostenibilità anche quando il contesto politico è sfavorevole? Esistono le alternative che possano garantire continuità, indipendentemente dai cicli elettorali o dai giochi di potere a Bruxelles? In questo articolo provo a rispondere, individuando sette alternative strategiche e multilivello per sostenere la transizione ecologica anche in tempi incerti.

1. La transizione ecologica sotto minaccia: un’analisi del contesto politico europeo
Negli ultimi mesi, il dibattito sulla sostenibilità si è fatto più acceso e polarizzato. Da una parte, vi sono pressioni crescenti per rallentare l’adozione delle normative ambientali, considerate da alcuni governi “troppo onerose” o “inadeguate al contesto geopolitico attuale”. Dall’altra, la società civile, le ONG e parte del mondo economico continuano a chiedere coerenza e ambizione.
Il caso della Nature Restoration Law è emblematico: approvata dal Parlamento europeo nonostante l’opposizione di diversi Stati membri e una forte campagna di disinformazione, è stata poi bloccata a livello di Consiglio per mesi. Lo stesso vale per la Direttiva sulla Due Diligence (CSDDD), approvata solo dopo una profonda diluizione dei requisiti iniziali.
Secondo un report di Greenpeace Europe (2024), “il rischio più grande per il Green Deal non è la sua ambizione, ma la mancanza di volontà politica per attuarlo pienamente”. Il voto europeo del 2024 e lo spostamento a destra di alcuni governi nazionali complicano ulteriormente il quadro. Quando le politiche ambientali non sono accompagnate da misure sociali e di redistribuzione, rischiano di colpire soprattutto le fasce più deboli. Questo alimenta tensioni sociali e populismo. La cosiddetta “giusta transizione” è ancora lontana dall’essere una realtà coerente e sistemica.
Molte imprese e attori economici dichiarano di voler investire nella sostenibilità, ma chiedono certezze normative. I continui rinvii, compromessi e modifiche alle direttive ambientali generano confusione e ostacolano gli investimenti di lungo periodo.

2. Il potere delle città e delle regioni: la resilienza dal basso
In questo scenario, un’alternativa credibile per mantenere viva la transizione ecologica è puntare sulla forza delle città e delle regioni. La governance multilivello dell’UE consente a questi attori subnazionali di assumere un ruolo diretto nel promuovere politiche sostenibili, anche in assenza di un impulso forte da Bruxelles. Città come Amsterdam, Copenaghen, Barcellona o Parigi hanno già messo in campo strategie ambiziose per ridurre le emissioni, migliorare la qualità dell’aria, promuovere la mobilità sostenibile e investire in rinnovabili. Alcuni esempi:
– Il progetto “Amsterdam Circular 2025”, che punta a rendere l’economia cittadina pienamente circolare.
– Il piano “Superblocks” di Barcellona, che riduce il traffico nelle aree residenziali.
– Il Climate Action Plan di Parigi, che prevede la neutralità climatica entro il 2050 e una riduzione delle emissioni del 50% entro il 2030.
Anche le regioni hanno un ruolo chiave, specialmente in paesi come Italia, Spagna o Germania, dove le competenze ambientali sono distribuite. La Rete delle Regioni per lo Sviluppo Sostenibile e il Patto dei Sindaci per il Clima mostrano che esistono già infrastrutture di cooperazione che possono essere potenziate.

Rappresentazione dell'ecologia e della sostenibilità3. Il ruolo strategico del settore privato
In un contesto di incertezza normativa, le imprese possono – e in molti casi stanno già – agendo autonomamente per guidare la transizione. Le ragioni sono molteplici: riduzione dei rischi, pressione degli investitori, aspettative dei consumatori, vantaggi reputazionali.
Numerosi casi mostrano come il settore privato possa essere motore di cambiamento.
– Alcune aziende hanno investito massicciamente in rinnovabili e promuovono l’economia circolare nella catena del valore.
– Altre hanno accelerato il phase-out dal carbone e investono in smart grids e rinnovabili nei mercati emergenti.
– C’è anche chi guida l’innovazione nella gestione energetica e nell’efficienza degli edifici.
Inoltre, i mercati finanziari stanno sempre più premiando le imprese attente ai criteri ESG. La crescita degli investimenti sostenibili, la nascita di strumenti come i green bond e la pressione delle grandi asset manager (es. BlackRock, BNP Paribas AM) vanno in questa direzione.
Non va tuttavia sottovalutato il rischio di greenwashing, che resta elevato. Le norme come la Direttiva Green Claims (UE 2024/825) e la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) saranno cruciali per distinguere tra marketing ambientale e vera sostenibilità.

4. La società civile come motore di cambiamento
Se la politica tentenna, spesso sono i cittadini a guidare il cambiamento. La mobilitazione della società civile per il clima è uno dei fenomeni più significativi degli ultimi anni: da Fridays for Future a Extinction Rebellion, da ClientEarth alle reti dei consumatori consapevoli. Oltre alla pressione pubblica, la società civile agisce anche sul piano legale e culturale. ClientEarth ha intentato cause contro governi e imprese per mancata azione climatica, con esiti spesso favorevoli. Organizzazioni come Stop Ecocidio stanno promuovendo l’introduzione del crimine di ecocidio nel diritto internazionale. Inoltre, cresce l’interesse per forme di cittadinanza attiva nella transizione: dalle comunità energetiche alle cooperative agricole bio, dalle monete locali verdi ai bilanci partecipativi in chiave ecologica.
Coinvolgere pienamente la cittadinanza nella definizione delle politiche ambientali non è solo una questione etica, ma una necessità strategica per garantirne la durabilità. La democratizzazione della transizione è la chiave per una sostenibilità autentica.

Un uomo anziano era seduto a chiedere la pioggia nella stagione secca, il riscaldamento globale5. Alleanze internazionali e diplomazia climatica
Un’Europa politicamente frammentata può comunque esercitare una leadership globale sul clima attraverso la diplomazia internazionale. Anche se gli equilibri interni all’UE vacillano, è possibile costruire alleanze esterne con altri attori che condividono l’impegno ecologico.
Esempi significativi sono:
– L’accordo UE-Canada per un commercio sostenibile e inclusivo.
– Il “Climate Club” promosso dalla Germania con paesi OCSE e G20.
– Le relazioni rafforzate con paesi africani per la giusta transizione energetica.
Inoltre, l’UE può giocare un ruolo chiave nei negoziati multilaterali, come le COP, anche solo come “blocco di pressione”. La credibilità diplomatica passa però dalla coerenza interna: non si può negoziare la decarbonizzazione globale se si rinvia quella europea.
Infine, la diplomazia climatica può essere decentrata: le università, i think tank, le ONG e le municipalità hanno strumenti propri per promuovere gemellaggi, progetti comuni, partenariati verdi con realtà extraeuropee.

6. Strumenti finanziari per la resilienza verde
Sostenere la transizione in tempi di instabilità politica richiede anche risorse economiche dedicate e accessibili. Il rischio di stop-and-go negli investimenti green può essere mitigato con strumenti finanziari resilienti e innovativi. Il Next Generation EU resta una delle leve più potenti, ma la sua attuazione deve essere rafforzata. Troppi PNRR hanno destinato risorse alla transizione senza meccanismi efficaci di monitoraggio o impatto. Serve un approccio più trasparente, partecipato e “transformative” alla spesa pubblica.
Anche le banche pubbliche possono giocare un ruolo cruciale. La BEI (Banca Europea degli Investimenti), definita la “Banca del Clima”, dovrebbe rafforzare il proprio mandato climatico e aumentare i fondi destinati alle PMI verdi, all’adattamento climatico e alle infrastrutture locali.
Occorre inoltre vigilare sul greenwashing finanziario. Il regolamento sulla Tassonomia europea e la direttiva SFDR sono strumenti promettenti, ma necessitano di piena attuazione e revisione per evitare abusi.

Primo piano di persone felici che posano insieme7. Verso una nuova governance ecologica multilivello
Infine, per mantenere la rotta ecologica serve una riforma della governance europea che renda le politiche ambientali più resilienti alle oscillazioni politiche. Una possibilità è rafforzare i meccanismi vincolanti: meno raccomandazioni, più regolamenti direttamente applicabili.
Inoltre, occorre formalizzare il ruolo delle autorità subnazionali e della società civile nei processi decisionali. Un modello interessante è quello del Comitato Europeo delle Regioni, che andrebbe potenziato con poteri di codecisione sulle politiche climatiche.
Un altro passo potrebbe essere l’adozione di obiettivi climatici costituzionali, vincolanti anche in caso di crisi politica. Alcuni paesi europei (es. Francia, Germania) hanno già avviato dibattiti in questo senso.
Infine, è fondamentale creare una cultura amministrativa e politica favorevole alla sostenibilità, con percorsi di formazione, indicatori di performance ecologica e una valutazione costante delle politiche pubbliche in termini di impatto climatico.

Conclusioni: una rotta verde da difendere e reinventare
La transizione ecologica è troppo importante per essere lasciata alla sola volontà dei governi di turno. È un progetto collettivo, sistemico, multilivello, che deve coinvolgere istituzioni, imprese, cittadini e comunità scientifica. Se le pressioni politiche rischiano di deviare l’Europa dalla rotta, spetta a tutte le altre forze attive nella società contribuire a mantenerla.
Ci sono alternative credibili e percorribili. Dalle città resilienti alle imprese innovative, dalla società civile organizzata alla diplomazia multilaterale, dagli strumenti finanziari trasparenti a una governance più inclusiva e stabile. L’Europa può ancora essere leader mondiale nella transizione, ma deve dimostrarlo con coerenza, coraggio e lungimiranza.
Come ha scritto il giurista francese Yann Aguila: “La transizione ecologica è la nuova frontiera del diritto, della democrazia e dell’economia. Ogni ritardo, ogni compromesso al ribasso, ogni incertezza normativa mina non solo l’ambiente, ma la fiducia dei cittadini nel futuro dell’Europa.”

Giuseppe d’Ippolito

 

P.S. Una buona Pasqua, senza l’uccisione di agnelli, a tutte e tutti.