Nel panorama politico italiano del 2025 si è fatto sempre più acceso il dibattito sulla tenuta del Green Deal europeo, in particolare dopo l’annuncio, da parte dell’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump, dell’imposizione di dazi sui prodotti europei — in particolare su quelli industriali ed energetici, considerati “aiutati” da sovvenzioni ambientali incompatibili con i principi del libero mercato. In Italia, questa prospettiva ha alimentato reazioni allarmistiche in alcuni settori politici ed economici. Alcune forze politiche, in particolare esponenti della Lega e di Fratelli d’Italia e la stessa Presidente del Consiglio hanno cominciato a ventilare l’ipotesi di sospendere o “congelare” temporaneamente l’applicazione delle misure più incisive del Green Deal, sostenendo che esse penalizzerebbero l’economia italiana, già messa alla prova dall’inflazione e dalla concorrenza internazionale. Ma questa posizione, se pur comprensibile da un punto di vista elettorale e industriale di breve periodo, appare miope e pericolosa in una prospettiva di lungo termine. Sospendere il Green Deal come reazione a un ricatto commerciale significa non solo indebolire l’autonomia strategica dell’Europa, ma anche rinunciare a un modello di sviluppo fondato sulla resilienza, la transizione ecologica e l’innovazione tecnologica. Significa, ancora una volta, subordinare le politiche ambientali a una logica emergenziale, dimenticando che i cambiamenti climatici non si “sospendono” per decreto. Inoltre, è contraddittorio invocare il sostegno alla filiera produttiva italiana e, allo stesso tempo, mettere in discussione la riconversione verde che potrebbe rendere le imprese italiane più competitive sul medio periodo. L’industria nazionale ha bisogno di una visione, non di deroghe. La sospensione del Green Deal, oltre a compromettere gli obiettivi di riduzione delle emissioni, rischierebbe anche di frenare gli investimenti green, creare incertezza normativa, e rendere l’Italia meno attrattiva per le imprese europee che intendono adeguarsi alle nuove regole della sostenibilità. Infine, cedere alle pressioni esterne, come i dazi USA, senza una risposta unitaria a livello europeo, equivarrebbe ad ammettere una debolezza politica strutturale. L’Italia, anziché isolarsi, dovrebbe promuovere una posizione comune in seno all’UE, che sappia difendere le sue politiche ambientali come strumenti di crescita economica e protezione sociale, e non come ostacoli allo sviluppo.

 

 

Qualcuno sano di mente può seriamente ipotizzare che sospendendo il Green Deal si possano interrompere, sospendere o anche solo rallentare le conseguenze del riscaldamento globale, in Italia o altrove? In realtà, sarebbe vero l’opposto: un arretramento delle politiche climatiche accelera e aggrava le conseguenze già in atto.
Fabbrica che produce inquinamento da co2Una riflessione critica
Sospendere il Green Deal non fermerebbe la crisi climatica, perché le cause del riscaldamento globale non dipendono dalle scelte politiche, ma dalle emissioni di gas serra accumulate e in continuo aumento a livello globale. Gli effetti del cambiamento climatico – eventi estremi, siccità, innalzamento dei mari, perdita di biodiversità – non sono una questione di “opinioni” o “scelte tattiche”, ma processi fisici innescati da oltre un secolo di uso massiccio di combustibili fossili.
Il clima non negozia. Se si smette di intervenire, non si mette in pausa il riscaldamento globale. Lo si alimenta.

L’illusione italiana e le sue contraddizioni
Chi, in Italia, propone di sospendere o rimandare il Green Deal in nome dell’economia, sembra voler vendere l’illusione che si possa fare una pausa selettiva: “facciamolo noi, per un po’, poi si vedrà”. Ma il cambiamento climatico non si ferma ai confini nazionali e non tiene conto delle emergenze elettorali. Anzi, colpisce con maggiore severità proprio i Paesi più fragili dal punto di vista ambientale e infrastrutturale – come ampie zone del Sud Italia, le pianure alluvionabili del Nord, le coste esposte all’erosione e alla risalita del mare.
Le conseguenze globali e il paradosso della “rinuncia nazionale”
Sospendere il Green Deal in Italia, o in Europa, non porterà il resto del mondo a fare lo stesso. Al contrario, ad esempio la Cina, pur con le sue ambiguità, continua a investire massicciamente nelle tecnologie verdi, e non arretrerà se l’Europa lo farà. Le aziende green europee perderanno terreno competitivo e occupazionale a favore dei giganti asiatici. I cittadini – quelli che oggi soffrono per il costo dell’energia o per la scarsità d’acqua – saranno i primi a pagare l’inerzia con bollette più alte, cibo più caro, salute più fragile. Una sospensione del Green Deal europeo rappresenterebbe una frattura profonda tra le istituzioni politiche e i cittadini europei che, sempre più spesso, si trovano ad affrontare gli effetti tangibili del cambiamento climatico. Le ondate di calore, le alluvioni, la siccità e i fenomeni meteorologici estremi non sono più scenari futuri ma parte della quotidianità. Ecco perché una riflessione critica su questo scenario ipotetico è non solo necessaria, ma urgente.
Se il Green Deal venisse sospeso: quali risposte avrebbe la politica di fronte all’emergenza climatica?
Scena realistica con assistenza agli anziani per persone anzianeIl Green Deal come promessa sociale e politica
Il Green Deal europeo, lanciato nel 2019, è molto più di un piano ambientale: è un patto intergenerazionale e un progetto di trasformazione economica e sociale. Con i suoi obiettivi di neutralità climatica entro il 2050, riduzione delle emissioni, promozione delle energie rinnovabili, mobilità sostenibile e tutela della biodiversità, rappresenta una risposta sistemica alla crisi ambientale. Sospenderlo, anche solo parzialmente, significherebbe tradire quella promessa: ai giovani, che chiedono un futuro sostenibile; alle imprese, che hanno già iniziato la transizione; e ai cittadini colpiti dagli effetti del cambiamento climatico.

L’imbarazzo della politica davanti alla realtà climatica
In assenza di una cornice politica chiara e ambiziosa come il Green Deal, la politica si troverebbe nuda di fronte alla crisi. Quali spiegazioni potrebbe offrire quando le temperature medie continuano a salire e le città diventano sempre più invivibili? L’agricoltura soffre di siccità prolungate e rese decrescenti? Le famiglie pagano di più per il cibo, l’energia, la sanità? I territori costieri vengono sommersi dall’innalzamento del livello del mare?
Una politica che arretra sull’ambiente non avrebbe più legittimitàstrumenti per rispondere a queste domande. I cittadini non chiedono solo compensazioni economiche, ma visione, coerenza e leadership morale.
Il rischio di perdere il controllo della narrazione
Sospendere il Green Deal non farebbe sparire la crisi climatica, ma cambierebbe chi ne controlla la narrazione. Sarebbero le compagnie assicurative a parlare dei danni economici dei disastri climatici. Gli scienziati a denunciare l’inazione politica, ad esempio nei report dell’IPCC. Le piazze, i movimenti e le proteste a reclamare giustizia climatica. Le corti costituzionali, come già accaduto in Germania o Francia, a obbligare gli Stati ad agire. Il vuoto lasciato dalla politica istituzionale verrebbe colmato da una pressione diffusa e crescente. Il conflitto climatico diventerebbe un conflitto sociale.
Le false soluzioni e la tentazione del greenwashing
In assenza del Green Deal, alcuni governi potrebbero scegliere strade più facili,
incentivare soluzioni tecnologiche marginali o non pronte (es. carbon capture, idrogeno blu). Investire in energie fossili “di transizione”, come gas e combustibili sintetici. Affidarsi al greenwashing, cioè a una sostenibilità solo comunicata e non reale.
Ma i cittadini sono sempre più informati. La sfiducia verso le istituzioni potrebbe crescere, soprattutto tra i giovani, portando a una crisi di rappresentanza e partecipazione democratica.

Il costo sociale ed economico dell’inazione
Uno studio della Banca Centrale Europea e dell’European Environment Agency ha stimato che l’inazione climatica costerebbe molto di più dell’azione. A livello europeo, si parla di centinaia di miliardi di euro l’anno in danni diretti da eventi climatici estremi. Perdita di milioni di posti di lavoro nei settori agricolo e turistico. Aumento delle malattie respiratorie e cardiovascolari. Spostamenti climatici interni ed esterni (migrazioni forzate).
Sospendere il Green Deal non è neutrale: significa accettare un prezzo umano ed economico più alto.
La necessità di risposte sistemiche e credibili
Se davvero si volesse sostituire il Green Deal, l’unica alternativa possibile sarebbe un patto ancora più ambizioso, costruito su trasparenza e partecipazione pubblica. Con una giustizia climatica e una redistribuzione equa dei costi della transizione. Con investimenti pubblici in infrastrutture verdi, salute, energia pulita e formazione. Con un rafforzamento delle normative vincolanti (es. CSDDD, CSDR, norme sull’ecodesign).
Ma nessun rinvio, nessuna attenuazione, nessuna sospensione può bastare come risposta credibile a chi soffre oggi le conseguenze del clima che cambia.
La politica, oggi più che mai, ha il dovere di costruire speranze concrete. Deve investire, guidare, proteggere, non rimandare. Perché ogni rinvio è una risposta negata a chi ha perso la casa in un’alluvione, a chi respira aria inquinata, a chi vive con l’ansia di un futuro incerto.
Il Green Deal non è perfetto, ma è l’unico strumento oggi capace di dare una direzione chiara e di dimostrare che l’Europa può ancora essere una comunità di destino e di giustizia. La sua sospensione sarebbe un’ammissione di resa. E alla crisi climatica non ci si arrende. Si risponde.

Sospendere il Green Deal sarebbe fare come quell’uomo che per fare dispetto alla moglie, si evirò.
La metafora è forte, ma efficace: sospendere il Green Deal sarebbe un atto di autolesionismo collettivo, come quell’uomo del proverbio che, per fare dispetto alla moglie, si evirò. È l’illustrazione perfetta di una scelta miope, vendicativa e controproducente, che finisce per danneggiare chi la compie più di chi ne sarebbe il bersaglio.
Infatti, per “punire” le presunte rigidità ecologiche o le politiche troppo ambiziose, si finirebbe per distruggere l’unico progetto capace di dare respiro e futuro all’economia europea. Per “proteggere” l’industria da vincoli ambientali, la si esporrebbe a un ritardo competitivo globale, mentre il mondo corre verso l’innovazione green. Per “difendere” la libertà nazionale o la sovranità economica, si rinuncerebbe a guidare una trasformazione epocale, lasciando la regia ad altri attori, come la Cina o gli Stati Uniti.
Il proverbio serve quindi a ricordarci che la vendetta politica contro l’ambiente si ritorce inevitabilmente contro chi la compie. In un’epoca in cui la scienza è unanime e i fenomeni climatici parlano chiaro, interrompere il cammino verso la sostenibilità non è solo irresponsabile, è autodistruttivo.
Un’Europa che rinuncia al Green Deal è come una nave che getta in mare la bussola nel mezzo della tempesta, convinta che sia la colpa dello strumento, e non del clima che cambia.

L’ipotesi italiana in europa
La posizione italiana – o più precisamente di alcune forze politiche italiane – che ipotizzano la sospensione o il ridimensionamento del Green Deal europeo per proteggere l’economia nazionale dalle conseguenze dei dazi statunitensi, non ha trovato un’ampia accoglienza né sostegno esplicito negli altri Stati membri dell’UE, almeno fino a oggi.
Reazioni nelle istituzioni europee
La Commissione Europea, pur consapevole delle tensioni geopolitiche e delle difficoltà economiche che attraversano alcuni Paesi membri, non ha messo in discussione l’impianto del Green Deal, anzi ne ha ribadito più volte il ruolo strategico. A marzo 2025, la presidente Ursula von der Leyen ha affermato che la risposta ai dazi statunitensi “non può e non deve essere il rallentamento della transizione ecologica”, ma semmai un rafforzamento del coordinamento interno e una maggiore capacità dell’UE di parlare con una voce unica nei confronti delle grandi potenze economiche.
Stati membri
Francia e Germania hanno mostrato fermezza nel difendere le misure ambientali, sottolineando la necessità di sostenere i settori colpiti senza smantellare l’architettura del Green Deal. I Paesi Bassi, i Paesi nordici e l’Austria hanno espresso forte preoccupazione per qualsiasi tentativo, anche solo narrativo, di depotenziare il quadro climatico europeo. I Paesi dell’Est, invece, pur meno vocali, hanno posto l’accento sulla necessità di flessibilità e gradualità, ma non hanno proposto la sospensione.
Parlamento Europeo
Nel Parlamento Europeo, i gruppi dei Verdi/ALE, del PSE e di Renew Europe hanno criticato duramente le aperture a uno “stop” del Green Deal, affermando che una crisi commerciale con gli USA non può giustificare l’arretramento sui diritti climatici e ambientali. I rappresentanti del gruppo ID e parte di ECR, dove si collocano alcuni eurodeputati italiani, hanno invece portato avanti posizioni più critiche verso le “rigidità ecologiche”.
Dimostrazione, Fridays For FutureSocietà civile e imprese
Organizzazioni come WWF, Greenpeace, CAN Europe, ma anche Confederazioni di imprese green e tecnologiche europee, hanno messo in guardia contro il “rischio reputazionale e strategico” di un’Europa che arretra proprio mentre il mondo è alle prese con ondate di calore, siccità e tensioni climatiche sempre più evidenti.
Ad oggi, la posizione italiana è percepita in Europa come isolata e strumentale. Nessuno degli altri grandi Paesi UE ha accolto con favore l’idea di sospendere o rallentare il Green Deal in risposta ai dazi americani. Al contrario, vi è una preoccupazione crescente che proprio l’instabilità geopolitica richieda maggiore coerenza e unità sulla sostenibilità.

In conclusione
Sospendere il Green Deal non sospende la crisi climatica. La sospende solo nella testa di chi crede che basti chiudere gli occhi per non vedere arrivare la tempesta. Il dovere è di rispondere alla crisi, non di rinviarla.
Sospendere il Green Deal equivarrebbe a scegliere il corto termine rispetto al lungo periodo, la paura rispetto al coraggio, la convenienza rispetto alla responsabilità.

Giuseppe d’Ippolito