
Le proteste degli agricoltori con l’uso di trattori stanno riprendendo come nel 2023/2024, con poche ma significative differenze nelle motivazioni e nelle dinamiche tra l’Italia e il resto d’Europa. Lo scorso anno, numerosi agricoltori europei, in particolare in Francia, Germania, Romania, Belgio e Polonia, hanno manifestato contro le misure proposte nell’ambito del Green Deal europeo. Le proteste erano focalizzate sulle normative ambientali percepite come troppo restrittive, che imponevano, ad esempio, la sospensione delle attività agricole per permettere al terreno di riposare. Gli agricoltori temevano che tali misure potessero compromettere la redditività delle loro aziende. Anche gli agricoltori italiani esprimevano preoccupazioni simili riguardo alle politiche ambientali e alle difficoltà economiche del settore. Oggi, le proteste degli agricoltori italiani sono aumentate significativamente. Le manifestazioni sono iniziate il 28 gennaio e hanno coinvolto diverse regioni. Le principali rivendicazioni riguardano la crisi economica delle piccole e medie imprese agricole, caratterizzata da prezzi all’origine troppo bassi, tagli alla Politica Agricola Comune (PAC) e un crescente indebitamento. Gli agricoltori chiedono la dichiarazione dello stato di crisi e l’adozione di misure straordinarie per sostenere il settore. Lo scorso anno, le proteste erano più diffuse a livello europeo, mentre oggi si è osservata una maggiore intensità delle manifestazioni in Italia, con una partecipazione più ampia degli agricoltori italiani. Le proteste del 2024 erano principalmente focalizzate sulle politiche ambientali e sulle normative del Green Deal europeo. Oggi, le rivendicazioni si sono ampliate, includendo non solo le preoccupazioni ambientali, ma anche questioni economiche più urgenti, come la crisi dei prezzi agricoli, i tagli alla PAC, l’indebitamento delle aziende agricole e le mancate risposte del Governo.
Puntualmente, nel periodo in cui ristagnano i lavori nelle campagne (la stagione invernale è quella del riposo della terra e degli animali, anche se per quelli allevati lo è molto meno), monta la protesta, diventando visibile con la presenza dei trattori lungo le strade. Rispetto allo scorso anno non c’è grande differenza: gli agricoltori sono sempre scontenti e la situazione di crisi permane, anzi, sembrerebbe si aggravi, poiché prosegue secondo le tendenze che abbiamo già evidenziato in alcuni precedenti articoli. Le difficoltà che incontrano i piccoli e medi agricoltori non hanno trovato risposte e i dieci punti esposti al ministro un anno fa risultano essere ancora la base delle attuali proteste, come dichiarano gli stessi protagonisti.
Ci sarebbero da porsi molte domande, visto che nel corso della annata passata sono successe cose che hanno mutato la realtà agricola che conoscevamo e messo in evidenza alcuni punti critici:
– l’andamento climatico decisamente avverso per alcune colture, con la presenza di eventi estremi, che hanno prodotto proteste locali e richieste di aiuti economici nelle campagne;
– un mutamento nelle relazioni commerciali tra Stati che si prospetta radicale, con la prospettiva di un accordo UE con il Mercosur che riguarderà molto da vicino l’agricoltura e, a dominare tutto, il tornado Trump, che intende proporre dazi in ogni settore pur di ridurre le importazioni negli USA e ristabilire un predominio USA nel mondo che gli sembra sfuggire;
– l’avvento di un sistema agroalimentare incentrato sulla tecnologia, che priverebbe ancora di più le campagne dal contributo dell’elemento umano, affidando le coltivazioni a macchine guidate dall’intelligenza artificiale per avere produzioni plasmate attraverso l’ingegneria genetica.
Mi sembra poco riflessivo avere avviato la protesta senza avere modificato le richieste avanzate lo scorso anno, pur con il pregio di cercare di coagulare in un’unica direzione ed in modo unitario le decine di comitati – locali e nazionali – che avevano caratterizzato con la loro estrema frammentazione le proteste dello scorso anno. Perché un anno in più di mancata soluzione e di stallo della situazione nelle campagne non rappresenta solo una stasi, ma un peggioramento. Teniamo in conto che la situazione creatasi è il risultato delle attuali relazioni nel mondo agroindustriale e che la partita che giocano gli attori vincenti – che ritengono di avere in mano le carte migliori (tecnologia e potere di contrattazione negli accordi), non sono gli agricoltori in generale e men che mai i contadini piccoli, ma le industrie a monte e a valle della produzione agricola. I soggetti che regolano e controllano gli input , tra essi in primo luogo i fertilizzanti e l’energia necessaria a far funzionare i macchinari (trattori) per le coltivazioni, sono per buona parte gli artefici dell’evoluzione in corso. Infatti, se per la tecnologia e per le relazioni commerciali essi si assumono la responsabilità dell’iniziativa che produce i mutamenti in atto, rivendicando il ruolo delle industrie per i risultati ottenuti, anche nel cambiamento climatico il loro ruolo risulta decisivo. Spesso ne respingono la gravità e la responsabilità diretta, ma sono sicuramente gli artefici diretti della trasformazione industriale dell’agricoltura, per gli effetti -positivi e negativi – che essa produce. L’agricoltura industriale fornisce prodotti n quantità più che sufficienti a nutrirci, ma i suoi eccessi volti ad aumentare il profitto sono la causa della concentrazione delle specie agricole su sempre minori superfici, della riduzione e talvolta assenza di biodiversità e della quantità di input immessi per arrivare agli standard qualitativi e alle quantità di produzione richiesta.
Non comprendo con quali velleità le organizzazioni agricole maggioritarie sostengano l’immissione sul mercato di nuove varietà geneticamente modificate: se per il consumatore il problema è principalmente la sicurezza del prodotto alimentare (oltre al costo), per i coltivatori è sottrarsi al ruolo di manovalanza per conto di grandi gruppi industriali e finanziari, che forniscono seme e ritirano. Ma tutte le innovazioni in corso aumenteranno la dipendenza dell’agricoltura dall’industria e sanciranno inesorabilmente il ruolo subalterno di essa. Pensano che l’affermarsi sul mercato con queste nuove varietà li arricchirà più di ora? L’esperienza mi insegna che ogni innovazione industriale in agricoltura ha prodotto l’effetto che produce la carota messa a qualche centimetro dalla bocca del somaro mentre tira la carretta con sopra il padrone e la sua famiglia: gli permette di tirare la carretta senza lamentarsi, ma alla fine non riuscirà mai a raggiungere l’agognato premio.
Contro lo strapotere che i grandi gruppi esercitano anche grazie all’operato favorevole di settori agricoli, si oppone giustamente la protesta, ma essa non produrrà dei risultati diversi da quelli dello scorso anno se non riuscirà ad uscire dalle secche del minoritarismo: non si deve lottare solo per dimostrare che si è forti e che si esiste; per mutare le cose forse non basta più il solo coinvolgimento solidale di parte della popolazione, ma servirebbe un’alleanza profonda, innanzitutto con i consumatori, su presupposti diversi. Il terreno di confronto e scontro, contrariamente alla apparenze, risulta oggi più favorevole di ieri, perché la condizione dell’insieme dei Paesi della UE è debole e spiazzata rispetto alle innovazioni necessarie e all’arroganza trumpiana. È necessario il riassetto di tutto il sistema economico creato, che dava all’agricoltura un ruolo ben preciso: lavorare per consentire di alimentare bene la massa di lavoratori che costruivano il sistema industriale europeo. Ora che il sogno industriale langue, che ruolo deve avere l’agricoltura europea? È questo il vero obiettivo in palio in questa fase. La UE deve riscrivere le prospettive della nostra agricoltura e non potrà cavarsela con le “riformine” sino ad ora tentate: pannicelli caldi per curare la malattia di sovrapproduzione e prezzi bassi che ha contagiato anche l’agricoltura e che alimenta il sistema di scambio ineguale nel mondo.
Dobbiamo costruire un modello agricolo adatto a questi tempi ed ai nostri mezzi europei. Non è detto che i modelli creati altrove (USA, Cina) possano servirci, anche se tutti sembrano convergere nell’utilizzo di un modello agricolo degli USA, nato per rendere grande l’America, non certo l’Europa. L’agricoltura europea è già ad alta produttività senza che siano stati introdotti nuovi brevetti genetici e riesce a produrre in piccoli spazi con rese enormi (obiettivo a cui punta l’innovazione futura) , per aumentare le quali, i costi sarebbe ro enormi e le produzioni andrebbero fuori mercato. Per produrre per i cittadini europei, per chiudere i sistemi circolari e renderli efficienti, è necessario approfondire lo studio delle nostre terre, delle nostre risorse e fondare la flessibilità produttiva che ancora ha il sistema europeo u basi scientifiche : l’agroecologia nasce per questo e può essere un grande strumento a costi bassissimi rispetto ai modelli importati.
Un’ultima notazione: nell’anno trascorso è stata condotta una grande battaglia politica (e ideologica) contro l’ambientalismo ed il “green deal”. Ho già detto come essa sia stata condotta in base a falsità e disinformazione. Ora è necessario vedere anche l’altra faccia di questi attacchi: non mi sembra che le condizioni di disagio degli agricoltori derivino dall’uso eccessivo dell’ecologismo nel sistema agricolo, anzi mi sembra che questo accanimento contro l’ambientalismo “causa di tutti i mali”, rappresenti la ricerca di un capro espiatorio da sacrificare per “ammorbidire “ il nuovo padrone del mondo e puntare su guadagni a breve termine sia d’immagine (salveremo dalla fame i bambini) che di mercato (cercare di mantenere dei dazi senza rialzo del prezzo per qualche mese. Per sottrarsi al gioco internazionale sul rialzo dei prezzi del petrolio e sul ritenere i prodotti fondamentali per la vita umana solo delle “commodities” , cioè dei prodotti banali e di poco valore, da mantenere costantemente a prezzi bassi, sarebbe necessario rivolgersi per la produzione alle energie rinnovabili e ridurre l’impatto del sistema agroalimentare. L’anidride carbonica prodotta in agricoltura inquina come quella industriale e ha lo stesso valore e lo stesso peso di quella prodotta altrove; non vedo come gli agricoltori possano ritenersi meno inquinati di altri settori se producono le stesse quantità di CO2.
Chiarire questi aspetti e cercare da subito alcuni alleati chiave nel rapporto con le larghe masse della popolazione italiana, sarebbe utile e necessario per costruire l’agricoltura del futuro.
Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti