Recentemente, il presidente Donald Trump ha intrapreso una serie di azioni che segnano un netto cambiamento nelle politiche ambientali degli Stati Uniti. Il 20 gennaio 2025, giorno del suo insediamento, ha firmato diversi ordini esecutivi che revocano regolamentazioni ambientali precedenti, tra cui un ordine esecutivo del 1977 che conferiva al Consiglio per la Qualità Ambientale (CEQ) l’autorità di implementare regolamenti vincolanti per le agenzie federali in conformità con il National Environmental Policy Act (NEPA). Questa mossa riduce il ruolo del CEQ e potrebbe influenzare le procedure di revisione ambientale per progetti come oleodotti e iniziative di energia rinnovabile. Inoltre, Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, sottolineando l’intenzione di dare priorità allo sviluppo economico nazionale rispetto agli impegni internazionali sul clima. Ha anche emesso ordini esecutivi che promuovono l’estrazione di combustibili fossili, bloccano la costruzione di turbine eoliche offshore e pongono ulteriori restrizioni all’energia rinnovabile attraverso il Dipartimento degli Interni. Queste decisioni hanno suscitato reazioni contrastanti. Alcuni sostengono che potrebbero accelerare i processi di autorizzazione per progetti energetici, mentre altri avvertono che potrebbero aumentare le incertezze legali e i rischi, portando a maggiori contenziosi e ritardi. La comunità internazionale osserva con attenzione, poiché queste mosse potrebbero influenzare gli sforzi globali per affrontare la crisi climatica. Noi sosteniamo che si tratti di un bluff per l’impraticabilità del modello presidenziale.

 

Negli ultimi anni, l’Unione Europea si è affermata come leader globale nella lotta contro il cambiamento climatico, definendo ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione. In quest’ambito, la recente promessa di Donald Trump di rilanciare l’industria dei combustibili fossili negli Stati Uniti avrebbe tutte le premesse per rappresentare una sfida significativa per l’Europa. Questa dichiarazione non solo accentua le tensioni geopolitiche e commerciali, ma rischia di ostacolare il progresso globale verso un futuro sostenibile. In questo contesto, l’UE deve bilanciare la sua strategia climatica con la necessità di mantenere la competitività economica e la coesione sociale. La transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio è al centro delle politiche europee. L’UE si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 attraverso il Green Deal Europeo, che include il pacchetto “Fit for 55” per ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990; l’espansione delle energie rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica; l’estensione del sistema di scambio delle quote di emissioni (ETS) a nuovi settori. Il ritorno dei fossili negli Stati Uniti, tuttavia, potrebbe portare a un aumento globale delle emissioni, riducendo l’efficacia degli sforzi europei e compromettendo gli obiettivi climatici internazionali. Industria, Autocarro, Minerali, Carbone

Il ritorno dei fossili negli Stati Uniti: possibili impatti sull’Europa
La politica di rilancio dei combustibili fossili negli Stati Uniti potrebbe avere diversi effetti sull’Europa. Se il mercato globale dell’energia diventasse più instabile, l’UE potrebbe affrontare rincari delle materie prime con aumento dei costi energetici. Avremmo disparità commerciali, perché le imprese europee, soggette a standard climatici rigorosi, potrebbero trovarsi in svantaggio competitivo rispetto a quelle americane. Si innesterebbero tensioni diplomatiche. Il ritorno dei fossili potrebbe minare la cooperazione transatlantica sui temi climatici, rendendo più difficile raggiungere accordi globali.

Energia, Energie RinnovabiliUna transizione equa e sostenibile: il modello europeo
Per garantire che la transizione energetica sia sostenibile e inclusiva, l’UE è quindi obbligata a integrare le politiche ambientali, con quelle economiche e sociali, assicurando che ogni misura climatica tenga conto del suo impatto sulle comunità più vulnerabili.
L’UE ha compiuto progressi significativi nel passaggio alle energie rinnovabili, con il recente dato di Ember (vedi articolo in questa pagina in GREEN NEWS) che evidenzia come queste coprano quasi il 50% della produzione elettrica totale. Questo riflette il successo di politiche mirate e investimenti in tecnologie come solare, eolico e idroelettrico. È vero che il raggiungimento di questo obiettivo non è uniforme: alcuni Paesi, come la Germania e la Spagna, sono all’avanguardia, mentre altri, come i Paesi dell’Est, sono più lenti nel dismettere il carbone. La Francia invece merita una menzione particolare, ma la sua produzione di elettricità “pulita” deriva principalmente dal nucleare, che rappresenta oltre il 70% del mix energetico nazionale. Sebbene il nucleare abbia il vantaggio di essere a basse emissioni di carbonio, la gestione delle scorie e i rischi legati agli impianti pongono sfide significative. La Francia è stata inoltre colpita da problemi tecnici legati ai suoi reattori negli ultimi anni, evidenziando la necessità di diversificare ulteriormente il mix. L’Italia, con una buona capacità installata di rinnovabili (soprattutto solare e idroelettrico), ha fatto progressi, ma a un ritmo più lento rispetto ad altri Paesi europei. Ostacoli burocratici, lentezze negli iter autorizzativi e una rete elettrica non sempre pronta per integrare le rinnovabili rappresentano sfide da superare. Tuttavia, il trend è positivo, soprattutto con il recente aumento degli investimenti nel solare e nei parchi eolici. La graduale eliminazione del carbone è una delle conquiste più significative dell’UE, ma il processo non è ancora completo. Paesi come Polonia e Germania sono tra gli ultimi baluardi del carbone, in parte a causa della dipendenza storica e della difficoltà di sostituire questa fonte con rinnovabili o gas naturale. Tuttavia, con il sostegno del Just Transition Fund e della politica climatica dell’UE, anche queste economie stanno iniziando a riconvertire il loro mix energetico.
L’Europa deve poi continuare a promuovere campagne di informazione per spiegare i benefici della transizione verde, contrastando la disinformazione e valutando regolarmente l’efficacia delle misure adottate, modificandole se necessario.

Una transizione impossibile: il bluff del prossimo modello statunitense
La transizione che vorrebbe (meglio: che non vorrebbe) Trump, in ambito di clima e energia rappresenta, in realtà, un bluff, un modello non praticabile, almeno nel campo delle politiche ambientali.
La protezione legale dell’84% delle sovvenzioni previste dall’Inflation Reduction Act (IRA) rappresenta un’importante salvaguardia per gli investimenti nelle energie rinnovabili, anche sotto una presidenza con visioni che contrastano la transizione ecologica, come quella di Donald Trump. I 96,7 miliardi di dollari già contrattati tra agenzie statunitensi e beneficiari costituiscono un vincolo giuridico che rende difficile un semplice ritiro o annullamento da parte dell’amministrazione. Questo dato evidenzia due aspetti cruciali. La resilienza degli investimenti climatici: il fatto che una percentuale così alta sia protetta legalmente dimostra che l’IRA è stato progettato per resistere a cambiamenti politici, garantendo continuità nelle politiche per le rinnovabili anche in un contesto meno favorevole. Limiti al potere presidenziale: Trump, pur avendo espresso critiche verso l’IRA e promesso un rollback delle politiche ambientali, si trova in una posizione limitata rispetto a contratti già firmati. Questo vincolo legale potrebbe evitare un arresto brusco dello slancio verso la decarbonizzazione, almeno nel breve periodo. Senza considerare che il blocco allo sviluppo dei parchi eolici varrà solo per i progetti offshore mentre quasi tutto l’eolico onshore si trova su terreni privati e non sarà colpito.
La decisione di ridurre gli incentivi per auto elettriche e infrastrutture di ricarica rischia di creare una frattura significativa tra l’amministrazione Trump e alcuni dei principali attori industriali statunitensi, come Ford e General Motors (GM) che hanno già investito miliardi nello sviluppo di veicoli elettrici e stanno affrontando una competizione globale sempre più serrata, in particolare con i produttori cinesi, che dominano il mercato grazie a economie di scala e al forte supporto statale. Ridurre gli incentivi potrebbe rallentare la crescita delle vendite di veicoli elettrici negli Stati Uniti, rendendo più difficile per i produttori americani competere a livello internazionale e minacciando i loro piani di elettrificazione perché gli incentivi statunitensi non solo supportano la transizione domestica, ma rafforzano la capacità delle imprese americane di competere in mercati globali. Ford e GM hanno un peso politico significativo, e la loro opposizione potrebbe tradursi in pressioni politiche, specialmente considerando la forza dei sindacati nel settore automobilistico. Ciò indipendentemente dal fatto che la mossa presidenziale sembra in contraddizione con l’obiettivo di proteggere e rafforzare le industrie americane. Penalizzare produttori nazionali impegnati nella transizione potrebbe minare la retorica dell’amministrazione Trump di dare priorità alle aziende statunitensi.
L’uscita dall’Accordo di Parigi non è una novità. Quando, nel 2017, nella sua prima presidenza, Trump annunciò il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo, Michael Bloomberg dichiarò pubblicamente che la sua organizzazione, Bloomberg Philanthropies, avrebbe contribuito economicamente per coprire parte dei fondi che gli Stati Uniti avrebbero dovuto versare alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). In particolare, Bloomberg si impegnò a sostenere il bilancio dell’UNFCCC con circa 15 milioni di dollari per coprire il contributo che gli Stati Uniti avrebbero dovuto fornire nel breve termine. Questo gesto era simbolico e pratico, dimostrando il sostegno della società civile e del settore privato all’accordo di Parigi, nonostante il ritiro federale. L’impegno dimostrava anche come molti attori negli Stati Uniti – stati, città e aziende – intendessero proseguire con azioni climatiche anche in assenza di un impegno federale.

Opportunità per rafforzare il ruolo globale dell’UE
Oggi più che mai, di fronte alle improbabili sfide ambientali annunciate da Trump, l’UE ha l’opportunità di consolidare la sua leadership climatica.
A partire dal rafforzamento del Green Deal, incrementando gli investimenti in tecnologie verdi e accelerando la transizione energetica per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Collaborare con paesi come Cina e India, partener strategici, servirà a promuovere standard climatici ambiziosi e incentivare la transizione globale. Promuovere la sostenibilità come vantaggio competitivo facendo sì che le imprese europee possano capitalizzare la crescente domanda globale di prodotti e servizi sostenibili.

Competitività: rispondere alle sfide globali
L’industria europea deve affrontare il rischio di concorrenza sleale da parte di economie che continuano a fare affidamento sui combustibili fossili. La strategia dell’UE per mantenere la competitività deve continuare a prevedere dei meccanismi di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) già introdotti per evitare la “fuga di carbonio”, imponendo dazi sulle importazioni da paesi con standard climatici meno rigorosi. Occorre continuare ad investire in tecnologie pulite come l’idrogeno verde, l’energia solare e l’eolico offshore e promuovere accordi commerciali che includano standard ambientali, creando un effetto a catena positivo su scala internazionale.

Coesione sociale: garantire una transizione equa
Le politiche climatiche devono essere sempre di più accompagnate da misure che proteggano i cittadini più vulnerabili dagli impatti economici della transizione. Per questo l’UE ha adottato strumenti specifici come il Fondo per una Transizione Giusta (JTF), creato per sostenere le regioni più colpite dall’abbandono dei combustibili fossili, con investimenti in nuove opportunità lavorative e formazione. Misure tutte da rafforzare e rilanciare. Vanno poi rafforzate le misure contro la povertà energetica con sussidi e programmi di ristrutturazione energetica delle abitazioni per ridurre i costi dell’energia per le famiglie a basso reddito. Infine, il coinvolgimento dei sindacati, delle imprese e della società civile nella definizione delle politiche climatiche, è sempre più essenziale.

Conclusione: un equilibrio complesso ma necessario
L’UE si trova di fronte a una sfida epocale: conciliare decarbonizzazione, competitività e coesione sociale in un contesto globale sempre più complesso. Il ritorno dei fossili promesso da Trump rappresenterebbe un ostacolo significativo, ma non lo è fino in fondo mentre, invece, offre anche l’opportunità di rafforzare il ruolo dell’Europa come leader globale nella lotta contro il cambiamento climatico. Attraverso politiche ambiziose, investimenti mirati e una governance inclusiva, l’UE può dimostrare che è possibile costruire un futuro sostenibile senza sacrificare la competitività economica o la giustizia sociale.
È normale preoccuparsi, ma è altrettanto normale ignorare il bluff di Trump.

Giuseppe d’Ippolito