In questo periodo entra nel vivo la discussione sulla legge finanziaria (detta più correttamente legge di stabilità) che sarà presentata a metà ottobre alle Camere e che assieme alla legge di bilancio compone il quadro triennale di finanza pubblica. Nella discussione corrente si parla di “bilancio” e di “finanziaria” sovrapponendo percorsi che sono separati, essendo comunque su strade parallele, ma che infine si riuniscono in un unico provvedimento con due sezioni: la prima relativa alla parte finanziaria e la seconda alla parte di bilancio. Si tratta di meccanismi legislativi che nella UE avvengono quasi contemporaneamente nei tempi e nei contenuti in ciascun Paese. In Italia la legge di stabilità (sostitutiva della vecchia legge finanziaria) delinea il quadro degli interventi senza rimandare – come avveniva in precedenza con le famose leggi delega – ad ulteriori leggi applicative che spesso modificavano gli intenti iniziali o, se non fossero state emanate, avrebbero vanificato le decisioni di partenza. Per queste parti applicative oggi si preparano i disegni di legge “collegati”. Il quadro degli interventi economici è stato chiarito dal DEF (Documento di Economia e Finanza che rappresenta il programma di tutte le politiche economiche e finanziarie previste dal Governo) presentato entro il 10 aprile di ogni anno. La legge di bilancio è invece un documento “preventivo”, poiché in esso si prevedono le spese per l’anno successivo e, pertanto, non può includere nuove spese o tributi e deve specificare la copertura finanziaria delle spese previste.
Chiarito questo percorso, il fatto che il ministro dell’economia dica che ci si è sbagliati nelle previsioni e che il PIL crescerà meno di quanto previsto (– 0,2% sull’1% di crescita secondo Bankitalia), rende evidente come il quadro già delineato in dirittura d’arrivo vada complessivamente rivisto: meno introiti vuol dire meno spese in bilancio per il 2025 ed un riassetto complessivo delle diverse voci negli anni successivi. Non è un errore da poco lo scostamento dello 0,2%, visto che il PIL cresce poco da decenni (escluso il rimbalzo del dopo-Covid, aiutato dalla legge del “Bonus 110%”) e le previsioni si muovono con difficoltà tra le mille necessità che ha un Paese come il nostro, senza una reale riconversione economica e con una serie di piccoli e articolati privilegi che si ha paura di perdere.
Non che il quadro europeo sia differente poiché la scarsa integrazione tra i governi rende complessa una integrazione finanziaria ed economica già in stato avanzato a livello socioeconomico. La guerra in Ucraina ha stremato il sistema UE e i governi come quello in Germania si sono tragicamente resi conto che avere saldo il mercato interno tedesco e puntare sugli investimenti e le esportazioni internazionali non salva: oggi è necessario un solido mercato comunitario, come ha sostenuto Draghi, con gli strumenti che gli Stati si sono sempre dati: una reale armonizzazione finanziaria, un sostegno alla unità dato dal debito comune e un sistema di difesa unico. Un quadro che – a mio avviso – si limita a ripetere le antiche prerogative del governo di uno stato, ma che oggi sembrano non essere più sufficienti. Anche in sede Ue, sia pure con incertezza e ritrosia, avanza l’idea che la reale novità nelle ricette economiche è l’ingresso della variabile eco-biologica nella loro valutazione.
In questa situazione, la risposta del Governo italiano è debole: applica ricette antiche sperando che il PIL risalga e che la ripresa non venga ostacolata da eventi esterni. Senza la bussola centrata sulla situazione climatica, i suoi cambiamenti e le riconversioni, sarà difficile andare molto lontano, poiché lo stesso Draghi ha parlato di questa fase e soprattutto di un debito da rendere comune e strutturale, come “ultima spiaggia” della UE se si vuole ricreare la spinta comunitaria. Un esempio da manuale riguardo questa situazione è quello di Colbert (detto creatore della teoria economica del “mercantilismo”) che, da ministro delle finanze di Luigi XIV di Francia, detto il re Sole, tagliò le spese e aumentò le imposte indirette, quadro d’intervento imitato (ma è una parola grossa) dal governo italiano che vede i tagli come intervento per riequilibrare il bilancio e l’utilizzo delle imposte indirette per aumentare gli introiti (dall’aumento delle accise su alcuni carburanti, a quello sulla vendita delle sigarette, ad esempio). Si deve aggiungere che la capacità d’intervento nella Francia del XVII secolo fu data dal pervasivo intervento dello Stato (come ancora oggi tentano i governi francesi) e dal prestigio dato alla nazione francese dalla politica del re Sole; in questo, i tentativi dei nazionalisti della UE si collocano ad un basso livello e l’imitazione del creatore del mercantilismo viene perseguita – forse involontariamente – cercando di ridurre le importazioni e di annullare progressivamente il finanziamento alla parte agricola. Tutto ciò suona come l’incapacità di governare un continente popolato sempre più da anziani e di comprendere le ragioni del futuro guardando al di là delle proprie piccole frontiere.
Ma quali sono gli strumenti di previsione utilizzati per giungere a sbagliare le previsioni di un 20%? Classicamente, sono impiegati gli Outlook dei centri finanziari internazionali, (OCSE, Banca Mondiale, Fondo Monetario, studi della BCE, ecc. ecc.) accanto a quelli nazionali (Bankitalia, ecc.), ma gli scostamenti prodotti dagli eventi geoclimatici e dalle “crisi umanitarie” propongono un quadro di dati parallelo spesso poco utilizzato. Per quanto i ministeri si esercitino nel bilancio ambientale, il degrado delle aree non incide direttamente sulle previsioni e gli strumenti che chiariscano il fabbisogno e il potenziale energetico – ad esempio – sono ancora strumenti “paralleli”. Essi non riescono a superare la fase di sperimentazione, nonostante gli ESG (gli indicatori economici, ambientali e di governance) facciano parte del bagaglio ordinario nella misurazione nel settore pubblico e sempre più in quella delle imprese anche piccole. Così, passa in secondo piano la notizia che l’osservatorio ANBI (Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue) analizzando i dati sulle risorse idriche da gennaio a settembre abbia conteggiato 1899 eventi estremi di cui 212 tornado (concentrati soprattutto nell’area tirrenica), con 52 solo a settembre e 1023 nubifragi in massima parte avvenuti nel centro-nord; che influenza potrà avere un dato simile sulla legislazione di finanziamento delle spese correnti e di investimenti? E la discussione sul trasporto elettrico su ruote e sull’elevare dazi alla Cina fa perdere di vista le condizioni generali del sistema ferroviario, alle cui ordinarie carenze hanno dato un contributo essenziale gli scompensi del freddo intenso e del caldo estremo degli ultimi anni. Per non parlare della progressiva riduzione del finanziamento per la sanità pubblica che produce una riduzione parallela delle cure e che, senza alcun finanziamento per la prevenzione, si traduce in un aumento dei malati, la cui conseguenza evidente è l’intasamento dei pronto soccorso. In risposta si creano barriere procedurali e provvedimenti sanzionatori. La soluzione amministrativa sembra la più praticata, anche se è la meno utile e la più costosa.
Nelle previsioni di bilancio le catastrofi sono ancora inserite tra i fondi delle emergenze (che ne sarà delle assicurazioni obbligatorie, saranno solo private?) e la struttura degli investimenti non prevede una voce unica per la manutenzione di tutte le infrastrutture (specie quando esse si incrociano negli impieghi); non c’è un confronto di indicatori sul livello di manutenzione e/o di innovazione. L’intervento di ammodernamento e rinnovo finanziato dal PNRR in tal modo risulta disgiunto dai provvedimenti di manutenzione ordinaria, di recupero dei materiali, di ricerca di base. La dimensione applicativa della ricerca risulta avulsa dal contesto e, come sempre avvenuto durante il boom economico, il territorio in cui si sviluppano le nuove tecnologie è sostanzialmente estraneo ad esse.
Per questi motivi le persone si sentono estranee dal dibattito sulla finanziaria, si sentono sollevate se viene bloccato il trasporto elettrico, si disperano se si prevede di aumentare il costo del carburante diesel e si disinteressano alla condizione delle piante nelle aree urbane. Invece dovrebbero gioire per ogni albero in più, anche se toglie spazio alle auto, dovrebbero essere favorevoli all’aumento del prezzo dei carburanti non rinnovabili e dovrebbero chiedere di investire nella prevenzione per la salute e degli infortuni sul lavoro, dovrebbero pensare che ogni auto a benzina in meno è una bronchite cronica in meno negli anni a venire, meno visite mediche, meno medicine.
E dinanzi alle alluvioni ed alla siccità prolungata sarebbe necessario un provvedimento di manutenzione straordinaria delle nostre case, delle nostre strade, delle campagne; sarebbe necessario un Piano di ripristino della vita nell’Appennino e nelle Alpi e di alleggerimento della pressione abitativa nelle pianure; un Piano demografico a breve termine, con l’immissione annuale di nuovi italiani senza attendere che i ventenni di oggi (pochini di numero) decidano di avere figli che tra vent’anni saranno attivi nel sistema; un Piano sanitario di prevenzione che ponga l’alimentazione sana e controllata come primo strumento sanitario e non come oggetto di esportazione di un effimero made in Italy (prodotto sempre più da “stranieri”); un Piano energetico che ponga in primo piano la costruzione di un mercato unico dell’energia europeo (come si fece con quello agricolo), che sviluppi le rinnovabili già pronte all’uso, penalizzi l’uso del fossile, sappia come utilizzare un vettore come l’idrogeno (strumento di conservazione e d’impiego dell’energia) e renda le città meno tossiche.
Una finanziaria fondata su un sistema agroambientale e di servizi ancora non si è vista, ma è l’originale impostazione che potrà sostituire le soluzioni rabberciate che i Colbert nostrani cercano.
Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti