La televisione negli anni Sessanta e Settanta faceva riflettere e, per me che l’ ho vista, la nuova alluvione della Romagna ha richiamato alla memoria uno sceneggiato di allora: “Il mulino del Po” tratto dal ciclo di tre romanzi di Riccardo Bacchelli. Pubblicati separatamente alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, poi raccolti in un unico volume, narrano le vicende della famiglia Scacerni, mulinari nel delta del Po ferrarese. La saga è scritta in un modo un po’ démodé, ricordando lo stile narrativo usato da Manzoni o Tolstoj molti decenni prima, e narra vicende con al centro i membri della famiglia e per sfondo il periodo storico che va dalla ritirata napoleonica dalla Russia sino alla battaglia del Piave della Prima guerra mondiale, con i suoi cambiamenti, battaglie, rivolte. Ma il cuore dell’intreccio sono i mulini ormeggiati sulle rive del fiume, una delle industrie dell’epoca, vittime (come oggi le altre industrie della stessa area) di alluvioni, piene, tassa sul macinato; vicende che ciclicamente causavano morti, rovine e insperate fortune lungo il fiume. Il pregevole sceneggiato televisivo tratto da questo romanzo, per sottolineare la drammaticità di alcune scene durante una alluvione e la distruzione di uno dei mulini, ebbe la genialità di utilizzare come colonna sonora un brano musicale – allora recentissimo – dei Pink Floyd, tratto dal loro LP Ummagumma. Allora, dopo l’alluvione di Firenze del 1966, questi aspetti della fiction televisiva aiutavano a riflettere, a collegare il passato con il presente e spingevano a leggere per cercare nella letteratura il senso delle cose che spesso ci sfuggiva.
Oggi gli italiani leggono poco e, pur guardando la TV come e più che nel corso degli anni Settanta, ormai vedono programmi spazzatura con conduttori (si diceva una volta “presentatori”) dai vestiti improbabili o si appassionano a storie di tradimenti nel Palazzo (“roba di corna”, avrebbe detto mia nonna).
Un’alluvione non evoca altro che immagini e, anche nella sua ripetitività, sembra essere un avvenimento “originale”, inaspettato anche nelle parole delle vittime che si meravigliano se un nuovo muro di protezione non abbia resistito alla piena o se non si è riusciti a ricostruire in tempo un argine, cercando la colpa in qualcuno. La vicenda dell’alluvione e dei suoi effetti in Romagna (l’ennesima, simile a quelle che sono descritte nel romanzo) si limita alle immagini del disastro, uguale a mille altri, e allo scontro tennistico tra maggioranza e opposizione che cercano di scaricare le responsabilità gli uni sugli altri. Bisogna ricordare che il governo in modo roboante aveva dichiarato allora di essere capace di fare meglio della maggioranza che governa la Regione. Il risultato finale appare oggi molto diverso e attribuisce a quanti governano lo Stato notevoli responsabilità materiali, visto che il ruolo del commissario straordinario è apparso agli occhi delle vittime dell’alluvione a dir poco insignificante, e anche con notevoli responsabilità morali perché, non si è contrapposto a quello che si ritiene, sempre da parte della maggioranza di governo, un “andazzo regionale”, cioè il protestare e chiedere finanziamenti senza poi utilizzarli o utilizzandoli in modo improprio.
La realtà è che, sia pure in diverso modo, esiste una corresponsabilità complessiva politica nel non avere impedito la successione di catastrofi che, come le invasioni barbariche, si ripetono ciclicamente come ci ricordano i romanzi che descrivono le vicende avvenute nell’area nel corso dell’Ottocento. Ad essa si unisce l’incapacità di creare una cultura del territorio diversa da quella dell’abusivismo e dell’attesa del successivo (ritenuto inevitabile) condono. Sono costretto a ripetermi, direi stancamente, perché non c’è molto di nuovo da aggiungere a quanto già scritto in occasione dell’alluvione avvenuta poco più di un anno fa (https://www.climateaid.it/2023/05/11/chi-semina-vento-raccoglie-tempesta/). Allora parlavo da queste pagine di agricoltura, oggi mi riferisco al sistema produttivo e a quello abitativo nel loro complesso, ma il discorso non cambia perché concludevo dicendo “Sarebbe necessario ridurre la pressione produttiva, differenziare le produzioni…. realizzare concretamente la resilienza; invece, si cerca sempre qualcosa che rappresenti la soluzione finale, da vendere … attraverso un marchio brevettato”.
In quanto alla soluzione proposta dal governo e divenuta rapidamente legge per le imprese, cioè le assicurazioni obbligatorie contro le catastrofi che successivamente saranno allargate anche a tutte le famiglie (suppongo quelle proprietarie di case), essa ricorda più il coniglio tirato fuori dal cilindro di un prestigiatore che non una vera proposta. Soluzione fantasmagorica, che ha l’impudenza di proporre alle vittime di un’alluvione un ulteriore costo, spacciato come aiuto, invece di un concreto sostegno fatto non solo di compensazioni finanziarie, ma di strategie territoriali alternative agli attuali Piani di sviluppo urbano e industriale.
Non mi dilungo sui dettagli tecnici: sarebbe sufficiente chiedere a quanti oggi, prima della legislazione obbligatoria, hanno firmato per tale assicurazione per sapere quanti dettagli, distinguo e clausole siano contenute nei contratti. Oppure chiedere a quanti in agricoltura già da anni seguono la pratica assicurativa contro eventi meno distruttivi delle catastrofi e hanno subito un evento “estremo”, se effettivamente la loro situazione sia migliore rispetto a quella degli altri. Se si pensa ad una assicurazione obbligatoria generalizzata (quella in agricoltura non lo è, comunque), a tutti viene da pensare a quella dell’auto, alle sue condizioni di mercato, alle società assicurative che aumentano costantemente i prezzi, alla sfiducia nel sistema creato che tutti hanno, direi motivatamente, dati i rincari sostenuti da motivazioni risibili e la scarsa trasparenza con cui vengono prese le decisioni di corresponsabilità negli incidenti, utili a far lievitare in modo esorbitante le tariffe.
Per tornare a quanto Bacchelli scriveva nel suo romanzo “Il mulino del Po”, ciò che in esso risalta sono le figure ed i personaggi, i caratteri di quella gente, la loro personalità, cose che, se non fossero state fermate sulla carta si sarebbero perse. Una società minore che attraversava i cambiamenti di un’epoca. Come saranno rappresentati e chi rappresenterà le figure di oggi? Parliamo di famiglie, imprenditori e imprenditrici, commercianti di quella parte del territorio che con le ripetute alluvioni non perdono solo il loro patrimonio materiale, ma la loro socialità e cultura.
Quello che le catastrofi a cui governanti inetti cercano di rimediare con un’assicurazione, è la rappresentazione di una perdita non solo materiale. È una cultura, una società, un modo di vivere che sarà perso senza che alcuno abbia tentato neanche di narrarlo.
Gianfranco Laccone, agronomo, presidenza nazionale ACU Associazione Consumatori Utenti